di Tommaso Landolfi
a cura di Idolina Landolfi
Adelphi, Milano 1993
1^ edizione: 1964
€ 12.00
pp. 137
Conoscendo i precedenti di Landolfi, il lettore che gli sia affezionato saprà perdonargli questo pastiche? (Giacinto Spagnoletti)
Un romanzo distante dall'ironia landolfiana, costruito su una trama esilissima e su un linguaggio così iperbolico e artificioso, senza il minimo cenno di divertimento. Anche per questo, forse, Un amore del nostro tempo è stato affossato nella dimenticanza: pubblicato per la prima volta nel 1964, ripreso solo nel 1992 nella raccolta delle opere per la casa editrice Rizzoli, e attualmente è disponibile per le cure amorevoli che Adelphi ha sempre dedicato alle opere di Landolfi.
Scarso successo di pubblico, plateale insuccesso critico: anche i landolfiani per eccellenza, quali Spagnoletti, Gramigna, Pedullà e Bo parlano di un' "opera mancata", e non risparmiano giudizi anche molto negativi. Come nota Idolina Landolfi nell'efficace postfazione, un elemento in comune a tutte le recensioni è l'incertezza nel giudicare l'opera e nel collocarla nel panorama dell'autore e della letteratura coeva.
Innanzitutto, il tema di base risale alla tragedia greca: trattasi di un amore incestuoso tra fratelli, Anna e Sigismondo. I due, dopo le prime ritrosie, cedono al sentimento e alla passione, conducendo una vita appartata nella casa borghese ereditata dai genitori. Davanti al seppur tiepido rischio di essere scoperti, i protagonisti scelgono di fuggire in un'isola lontana, dove credere il figlio nato dal loro amore, e qui, ormai vecchi, riconsiderano la loro scelta.
Una trama scarna, appunto, priva dell'idillio ma anche di qualsivoglia punizione divina per aver oltraggiato le leggi della natura: niente a che fare con la tragedia didascalica greca; niente, d'altra parte, con il più leggero romanzo borghese. La scelta di narrare la vicenda in prima persona secondo il punto di vista di Anna, resetta ulteriormente le considerazioni precedenti: come si colloca l'opera? Quale messaggio ha nascosto Landolfi?
Secondo alcuni, si potrebbe forse trattare di una gigantesca parodia del genere sentimentale-amoroso. In quest'ottica, i dialoghi artefatti e oltremodo gonfi denuncerebbero le modalità espressive della società agiata, impegnata a costruire periodi sintatticamente complessi, nascondendo il significato dietro ampollose perifrasi. Lo stesso Sigismondo, in un passo dell'opera, si lamenta della sua loquela e chiede perdono alla sorella più accomodante:
"... E così, Anna, nulla mi era dato, compartito... 'Compartito': tolleri queste parole gonfie che per qualche condanna non so evitare?". "Sì le tollero; e perché d'altronde dovresti evitarle se son le tue?... Tollero quasi tutto, di te". (p. 62)
Molto emerge da questa citazione: il carattere remissivo di Anna è una costante, sebbene la ragazza, del tutto ingenua all'inizio della vicenda, dimostri una buona capacità di resistere alla passione del fratello. Al tempo stesso, Sigismondo, più sicuro della passione della sorella, chiede continue conferme ad Anna. I dialoghi gonfi, che per qualche condanna non sanno evitare, contraddicono il titolo, unica spia che colloca la vicenda in tempi recenti. Un'atmosfera acronica, in cui la storia non fa nemmeno capolino e il luogo è uno sfocato locus amoenus, porta in "un certo splendido ozio parodistico" (Baldacci).
Le molteplici perplessità che suscita l'opera - ne ho citate solo alcune, ma vi assicuro che è pieno di controsensi e di simboli ancora da svelare - richiedono una nuova attenzione critica, nonché un ripensamento da parte dello stesso lettore di Landolfi. Libro enigmatico, a tratti conturbante, a tratti irritante.
Gloria M. Ghioni
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