di Fabio Ognibene
Edizioni Smasher, 2010
12 €
Ancora domani gioca a carte scoperte: svela la sua essenza fin dalla prima pagina. Delimita con frasi secche e smunte, pescate dalle parti di J. Fante e T. Capote, le estremità del suo territorio; lo fa con onestà e senza la pretesa di spostare di pagina in pagina le bandierine di confine, senza la smania di conquistare zone sempre più ampie quanto a sviluppo narrativo e a riflessioni sciorinate. Innalza il muro di uno smagato surrealismo giocoso e 'leggero' da una parte, dall'altra quello di storie di sesso, di scontri e incontri di corpi e di pensieri liofilizzati gravitanti attorno al bel culo di turno. L'anima del libro – anche se a ben vedere si coglie in questo romanzo l'orgoglio titanico di chi l'anima l'ha rispedita a nuotare tra i cascami di una filosofia spazzata via dal nichilismo nietzschiano e dai suoi epigoni – sta nel centro esatto tra questi due estremi.
«Se mai dovessi parlare di amore o di stelle uccidetemi», scriveva il buon Bukowski. Fabio Ognibene, invece, guarda le stelle e, neanche troppo di rado, parla anche d'amore; ma non tradisce l'etica che alligna nelle pagine del vecchio Buk e che, in buon sostanza, è quel che spinge a sottrarsi a ogni tipo di narcisimo onanistico.
«Se mai dovessi parlare di amore o di stelle uccidetemi», scriveva il buon Bukowski. Fabio Ognibene, invece, guarda le stelle e, neanche troppo di rado, parla anche d'amore; ma non tradisce l'etica che alligna nelle pagine del vecchio Buk e che, in buon sostanza, è quel che spinge a sottrarsi a ogni tipo di narcisimo onanistico.
Come spesso succede, la Letteratura si concede tutta, tutta nei suoi cangianti vestiti di rabbia, bella forma, speranza, suadente sintassi, a chi depone la presunzione di acciuffarla rincorrendola in ogni dove. La Fortuna sarà pure cieca, ma la vera Letteratura ci vede benissimo e di certo si tiene alla larga da chi tenta di ingraziarsela sfornando disamine infinite sull'universo e sull'uomo che sono invariabilmente capolavori per i loro autori e ottimi imballaggi per pescivendoli e per chiunque altro.
Torniamo a Ognibene e al suo romanzo sapientemente mascherato. Mascherato, dacché a una prima lettura si rischia di non cogliere neppure la sua cifra tragica, catapultati tra le tattiche dell'amico Nabu per far colpo sulle avventrici del bar («[...] c'è una severa tecnica scientifica, cosa credete, ho fatto studi di una certa complessità per arrivare a padroneggiarla») e improbabili reciproche minzioni sul parquet da ripulire per ore, sporcato dal Prode – il protagonista – e Melissa, sua collega che «legge nel pensiero». Ci sono poi Greta ed Eva, professora la prima e studentessa la seconda, amanti clandestine aventi per alcova l'appartamento del Prode (affittato per la verità a Greta soltanto). E ci sono gli amici, Sante e Nabu, che imbastiscono nella solita osteria monumenti di cinismo con compiaciuta ironia («[...] mi hanno detto che non era l'anima, era solo un tumore ai polmoni», e di rimando: «Ah, per fortuna, l'hai scampata bella!»), paladini di un mondo in cui solo gli allocchi si ostinano a credere che la vita abbia un senso, e che magari attecchisca persino dove c'è amore e poesia:
«Le parole non hanno più nessun potere di evocazione, cazzo, nessuno. Sennò non sarebbe così difficile oggi scrivere una grande poesia. Invece. Non solo è difficile. È impossibile. La poesia oggi non c'è più».
Sante parla d'amore nella sua trasmissione in radio, e lo fa riducendolo (o ingigantendolo, a seconda dei punti di vista; in ogni caso semplificandolo) a una questione di chimica. Cita la rivista Psychoneuroendocrinology e analizza la funzionalità della molecola Ngf.
Nabu continua a sperimentare le sue teorie per fare conquiste e spara a zero sulla frenesia che si impossessa del nostro operatore sanitario ogni volta che torna a cullare il ricordo di Alice, il vero amore attorno a cui orbita ogni suo pensiero.
Nabu continua a sperimentare le sue teorie per fare conquiste e spara a zero sulla frenesia che si impossessa del nostro operatore sanitario ogni volta che torna a cullare il ricordo di Alice, il vero amore attorno a cui orbita ogni suo pensiero.
Eppure, nessuno dei tre disillusi compagni sa davvero prestar fede a quel guscio che è la visione disincantata e ironica dell'universo, guscio dentro cui celano le proprie debolezze. Tali ai loro occhi e ai loro occhi soltanto, non a quelli del lettore che, già conquistato dalla dissacrante ironia della combrincola, si intenerisce nel veder cedere ogni componente di fronte alle donne che di quel fragile guscio neanche si accorgono. Sanno, insomma, vedere l'uomo al di là del soldato sbandierato dalla divisa.
Ma una maschera, magnifica, come abbiamo accennato sopra, la indossa l'intero romanzo. Se spesso viene spontaneo sorridere e a volte ridere di gusto, è consenguentemente altrettanto inevitabile avvertire con forza la precarietà esistenziale dell'intero trio e soprattutto del personaggio principale. Eterno indeciso, intimorito dalla presenza femminile, non si schiude al turbinio di eventi che popolano il libro; li subisce, o li cerca con sostanziale passività, perso com'è nella rievocazione degli ultimi istanti trascorsi con Alice.
Merita di essere ricordata anche la figura magnifica di Magda, prostituta quarantenne che irrompe un paio di volte soltanto all'interno della narrazione; due discrete e silenziose apparizioni di una donna che è l'incarnazione dell'accoglienza – scarna, dimessa, sincera – e della comprensione così preziosa ogni volta che il disorientamento interiore e il cicaleccio del mondo superano il livello di guardia. È Magda a inchiodare il protagonista alla sua incertezza, a fargli ascoltare nel silenzio che non mitiga il disagio i balbetti in cui cade chi, come lui, davanti a una mano di carte (e ci vuol poco a identificare il mazzo con la vita) non sa sceglierne una. Le parole della donna, vuote di ogni pretesa espressiva, si caricano di calore trasformandosi di fatto in abbracci incondizionati.
Ancora Domani è un eccezione all'interno dell'attuale panorama letterario italiano, per ciò che dice e per il modo in cui lo dice. È scritto benissimo, e già questa è sempre più una rarità. È estremamente godibile, si lascia leggere d'un fiato e la scorrevolezza non è la figlia non voluta della banalità.
L'augurio, che faccio anche a me stesso ben sapendo quanto sia indigesta la lettura di molte sedicenti “nuove promesse”, è che i giovani autori guardino alla grave levità di questo breve romanzo e assimilino quanto di buono possiede ma non ostenta.
L'augurio, che faccio anche a me stesso ben sapendo quanto sia indigesta la lettura di molte sedicenti “nuove promesse”, è che i giovani autori guardino alla grave levità di questo breve romanzo e assimilino quanto di buono possiede ma non ostenta.
Marco Giorgerini