Benito Cereno
di Herman Melville
Feltrinelli, 2008
5,50 €
È seduto sulla poltrona del barbiere, uno di quei barbieri all’antica, che per farti la barba usano una specie di impalcatura che ti tiene fermo il mento e tutta la testa. Il suo viso è imbrattato di schiuma bianca e lui è lì, fermo immobile. Nella stessa stanza c’è un altro uomo: non è un barbiere, è solo quello che tiene in mano la lama. È bella affilata, ma se la passa comunque sul dorso della mano. Poi c’è un altro uomo, che di mestiere fa il capitano di una nave. Anche lui è lì e guarda. Qualcosa gli dice che non è solo una normale rasatura, dettata dall’esigenza dell’uomo, eppure non riesce a capire cosa ci sia che non va. Anche l’uomo immobile, con la faccia schiumata è un capitano, ma di un’altra nave. E il barbiere, un negro, è un membro di questo secondo, dannato legno.
Con la mano tiene la lama e la tende verso il suo capitano. E intanto parla. L’altro capitano ascolta, ma non riesce a capire tutto. Non le parole, ma cosa significano messe tutte insieme. il colore nero della mano del barbiere fa contrasto con il bianco della schiuma. La lama si avvicina al viso. Il negro continua a parlare. Il suo capitano trema. Qualche goccia di sangue cola dalla lama.
Oltre Moby Dick, Melville ci ha lasciato un tesoro e questo Benito Cereno è solo uno di quei gioielli. Letteratura di mare, letteratura di un mistero che non si nasconde sotto le acque, ma che è lì, sul ponte di quel Bachelor’s Delight, sotto gli occhi di Amasa Delano, l’americano, che tutto vede, ma nulla riesce a comprendere.
Nell’edizione Feltrinelli il racconto è arricchito da una pregevole prefazione di Roberto Mussapi (che tra l’altro è anche il traduttore) che ripercorre gli antefatti di questo racconto, riprende le vicende di fatti reali che probabilmente lo hanno ispirato (e che certo Melville conosceva), e lo mette in mezzo a tanti, consacrati, capolavori del mare.
Fabio Mercanti