Il mondo di Eva
di Sara di Furia
Marco Serra Tarantola editore, Brescia, 2010
€ 12,00
A dispetto del titolo e della (sbagliatissima) copertina; delle epigrafi, delle dediche, dei ringraziamenti e dei titoli dei capitoli; della esplicita adesione ad un genere narrativo di intrattenimento e modaiolo – l’urban fantasy, mi pare si dica; di qualche eccessivo sentimentalismo, di qualche caduta di tono e di qualche trascuratezza lessicale, a dispetto di tutto ciò, a me Il mondo di Eva di Sara Di Furia, alla sua prima prova romanzesca, è piaciuto. Prima ancora di argomentare e di dare un minimo di oggettività ad un’impressione del tutto personale su un libro che non aveva nulla per piacermi, devo dire che ne ho apprezzato soprattutto l’ingenuità, l’umiltà e l’onestà della rappresentazione e della scrittura, che mi sono sembrate deliberatamente scelte, in forte controtendenza rispetto all’andazzo corrente. Sara Di Furia sceglie un punto di vista, un linguaggio, uno stile e li segue con coerenza, quello di una giovane donna che, forse per l’ultima volta, voglia vivere una fantasmagoria infantile con tutto il trasporto di una stagione della vita ingenua, umile e onesta.
Evangeline, per tutti “semplicemente Eva”, voce narrante del romanzo è una giovane donna che durante una visita alla casa della nonna morta da poco, dopo aver trovato un misterioso diario, cade dalle scale che conducono al solaio. Niente di grave, sembrerebbe, ma dopo un sonno ristoratore, Eva si accorge che, ad eccezione della sua gatta e di un giovane bellissimo e sconosciuto, il mondo circostante sembra non accorgersi di lei. Da poco separatasi dal suo compagno, Tommaso, Eva si innamora fatalmente e follemente di Alex, il giovane sconosciuto dagli occhi verde smeraldo, che cavalca una potente moto bianca, all’occasione può disporre anche di una ruggente quattroruote bianca, ma sa andare anche in bicicletta (bianca, naturalmente), conosce Seneca, ama la pittura religiosa e invita Eva ad una mostra su Antonio Canova, dov’è esposta la statua Amore e Psiche, che incanta Eva e del cui mito lo stesso Alex fornisce ampia e approfondita narrazione. Insomma il mondo come una giovane donna, decisa a non staccarsi definitivamente dalle sue fantasie infantili, vorrebbe che fosse. Sennonché Alex, che sembrerebbe altrettanto innamorato, appare tormentato e incalzato da una pletora di fratelli e sorelle che vogliono richiamarlo ad un suo inconfessabile dovere. Durante una conferenza tenuta dalla sorella di Eva, Sofia, sulle esperienze pre-morte, trattate secondo il modello statistico e scientifico, la stessa Eva si rende conto di vivere proprio una di quelle esperienze, se non di essere addirittura morta. D’ora in avanti si scatena una fantasmagorica e titanica lotta tra angeli e diavoli per aggiudicarsi o l’anima di Eva o la natura angelica di Alex, che per amore si è ribellato al volere del Signore. Il finale sarà un po’ a sorpresa ed è bene che il lettore lo scopra da sé.
Perché il lettore dovrebbe accettare, anzi alla fine apprezzare, una trama e dei personaggi tanto inverosimili? Credo perché la giustificazione del punto di vista cui ho accennato prima è interna, coerente al romanzo stesso, non è demandata al genere narrativo, non è, cioè, esterna. Dopo essere caduta dalle scale e dopo il sonno ristoratore, Eva deve chiamare al telefono la sorella Sofia per scusarsi del ritardo con cui si presenterà al compleanno della nipote, Sofia risponde sorpresa e sempre più allarmata, sembra non riconoscere la voce della sorella, anzi sembra non poterla riconoscere, “Ma cos’è? Uno scherzo?” esclama, “non c’è abbastanza campo, il telefonino forse qui non prende”, ne conclude la stessa Eva. Ecco questo dialogo impossibile sigilla il patto tra l’Autrice e il Lettore che sono fuori dal romanzo, crea l’intercapedine entro cui il personaggio narrante potrà muoversi contro ogni logica e contro ogni verosimiglianza, patto che l’Autrice mostra di saper rispettare, evitando strizzatine d’occhio al lettore, ruffianerie commerciali o indulgenze alla propria vanità di scrittrice, uscendo magari dal quel punto di vista per segnare la propria superiorità di donna-del-mondo-reale. Sara Di Furia ha creato un mondo di mezzo, tra la vita e la morte, la realtà e la fantasia, tra l’età adulta e l’età infantile, un mondo sospeso entro il quale è possibile accettare le più improbabili fantasie. Una sospensione della razionalità che consente, per lo spazio di un romanzo, all’autrice di scrivere e al lettore di leggere con il cuore di un bambino. Un breve lampo, uno spiraglio sul quel cuore che tutti abbiamo avuto, e del quale la razionalità, le brutture della realtà ci consigliano continuamente di soffocare.
È probabile che coloro che pensano che la letteratura serva a cambiare il mondo o anche solo a conoscerlo meglio, guarderanno con degnazione a questo romanzo; chi, invece, come me, sente, vorrei dire sa, che la letteratura non serve a cambiare il mondo e che solo incidentalmente può tornar utile per conoscerlo meglio, ma ha, bensì, il compito di trovare (creare) forme capaci di conciliare, provvisoriamente, le antinomie costitutive dell’essere persone-del-mondo-reale, allora per questi ultimi Il mondo di Eva di Sara Di Furia ne ha scovata e perseguita una.
A dispetto del titolo e della (sbagliatissima) copertina; delle epigrafi, delle dediche, dei ringraziamenti e dei titoli dei capitoli; della esplicita adesione ad un genere narrativo di intrattenimento e modaiolo – l’urban fantasy, mi pare si dica; di qualche eccessivo sentimentalismo, di qualche caduta di tono e di qualche trascuratezza lessicale, a dispetto di tutto ciò, a me Il mondo di Eva di Sara Di Furia, alla sua prima prova romanzesca, è piaciuto. Prima ancora di argomentare e di dare un minimo di oggettività ad un’impressione del tutto personale su un libro che non aveva nulla per piacermi, devo dire che ne ho apprezzato soprattutto l’ingenuità, l’umiltà e l’onestà della rappresentazione e della scrittura, che mi sono sembrate deliberatamente scelte, in forte controtendenza rispetto all’andazzo corrente. Sara Di Furia sceglie un punto di vista, un linguaggio, uno stile e li segue con coerenza, quello di una giovane donna che, forse per l’ultima volta, voglia vivere una fantasmagoria infantile con tutto il trasporto di una stagione della vita ingenua, umile e onesta.
Evangeline, per tutti “semplicemente Eva”, voce narrante del romanzo è una giovane donna che durante una visita alla casa della nonna morta da poco, dopo aver trovato un misterioso diario, cade dalle scale che conducono al solaio. Niente di grave, sembrerebbe, ma dopo un sonno ristoratore, Eva si accorge che, ad eccezione della sua gatta e di un giovane bellissimo e sconosciuto, il mondo circostante sembra non accorgersi di lei. Da poco separatasi dal suo compagno, Tommaso, Eva si innamora fatalmente e follemente di Alex, il giovane sconosciuto dagli occhi verde smeraldo, che cavalca una potente moto bianca, all’occasione può disporre anche di una ruggente quattroruote bianca, ma sa andare anche in bicicletta (bianca, naturalmente), conosce Seneca, ama la pittura religiosa e invita Eva ad una mostra su Antonio Canova, dov’è esposta la statua Amore e Psiche, che incanta Eva e del cui mito lo stesso Alex fornisce ampia e approfondita narrazione. Insomma il mondo come una giovane donna, decisa a non staccarsi definitivamente dalle sue fantasie infantili, vorrebbe che fosse. Sennonché Alex, che sembrerebbe altrettanto innamorato, appare tormentato e incalzato da una pletora di fratelli e sorelle che vogliono richiamarlo ad un suo inconfessabile dovere. Durante una conferenza tenuta dalla sorella di Eva, Sofia, sulle esperienze pre-morte, trattate secondo il modello statistico e scientifico, la stessa Eva si rende conto di vivere proprio una di quelle esperienze, se non di essere addirittura morta. D’ora in avanti si scatena una fantasmagorica e titanica lotta tra angeli e diavoli per aggiudicarsi o l’anima di Eva o la natura angelica di Alex, che per amore si è ribellato al volere del Signore. Il finale sarà un po’ a sorpresa ed è bene che il lettore lo scopra da sé.
Perché il lettore dovrebbe accettare, anzi alla fine apprezzare, una trama e dei personaggi tanto inverosimili? Credo perché la giustificazione del punto di vista cui ho accennato prima è interna, coerente al romanzo stesso, non è demandata al genere narrativo, non è, cioè, esterna. Dopo essere caduta dalle scale e dopo il sonno ristoratore, Eva deve chiamare al telefono la sorella Sofia per scusarsi del ritardo con cui si presenterà al compleanno della nipote, Sofia risponde sorpresa e sempre più allarmata, sembra non riconoscere la voce della sorella, anzi sembra non poterla riconoscere, “Ma cos’è? Uno scherzo?” esclama, “non c’è abbastanza campo, il telefonino forse qui non prende”, ne conclude la stessa Eva. Ecco questo dialogo impossibile sigilla il patto tra l’Autrice e il Lettore che sono fuori dal romanzo, crea l’intercapedine entro cui il personaggio narrante potrà muoversi contro ogni logica e contro ogni verosimiglianza, patto che l’Autrice mostra di saper rispettare, evitando strizzatine d’occhio al lettore, ruffianerie commerciali o indulgenze alla propria vanità di scrittrice, uscendo magari dal quel punto di vista per segnare la propria superiorità di donna-del-mondo-reale. Sara Di Furia ha creato un mondo di mezzo, tra la vita e la morte, la realtà e la fantasia, tra l’età adulta e l’età infantile, un mondo sospeso entro il quale è possibile accettare le più improbabili fantasie. Una sospensione della razionalità che consente, per lo spazio di un romanzo, all’autrice di scrivere e al lettore di leggere con il cuore di un bambino. Un breve lampo, uno spiraglio sul quel cuore che tutti abbiamo avuto, e del quale la razionalità, le brutture della realtà ci consigliano continuamente di soffocare.
È probabile che coloro che pensano che la letteratura serva a cambiare il mondo o anche solo a conoscerlo meglio, guarderanno con degnazione a questo romanzo; chi, invece, come me, sente, vorrei dire sa, che la letteratura non serve a cambiare il mondo e che solo incidentalmente può tornar utile per conoscerlo meglio, ma ha, bensì, il compito di trovare (creare) forme capaci di conciliare, provvisoriamente, le antinomie costitutive dell’essere persone-del-mondo-reale, allora per questi ultimi Il mondo di Eva di Sara Di Furia ne ha scovata e perseguita una.
“In cuor mio speravo che la nonna nel suo quaderno avesse raccontato di un amore capace di rendere più sopportabili i dolori della vita”.
Questo, mi pare, è stato l’intento ingenuo, umile e onesto dell’Autrice.
Paolo Mantioni