Mariapia Veladiano - La vita accanto


La vita accanto
di Mariapia Veladiano
Einaudi Stile Libero, Torino 2010

pp. 172

€ 16.00

Perché l'amore è così, senza memoria e senza futuro, non sa che i giorni possono svegliare le storie passate.

Hanno parlato in molti della Vita accanto, romanzo d'esordio di Maria Pia Veladiano: in parte per la vittoria acclamatissima del Premio Calvino nel 2010, e pochi giorni fa perché s'è classificanto secondo con 74 punti all'edizione 2011 del Premio Strega. I giudizi sui quotidiani si sono moltiplicati in poche ore (eccone un assaggio sul sito dell'Einaudi) e sui blog il romanzo ha spopolato, in bene e anche in male. Tacciato di essere melenso e fintamente poetico, o di rispettare la moda del romanzo profondo solo in superficie (e si scusi il gioco di parole) che tanto avvince il pubblico femminile.
Non la penso così. Se ho scelto di parlare anch'io della Vita accanto è perché il romanzo mi ha colpito pur nella sua semplicità, e nonostante la seconda parte risenta di una scrittura frettolosa, non più così dedita al dettaglio. Ad appassionare è la storia, una delicata vicenda di spazi chiusi alla Jane Austen, tra desiderio di affermazione e terribile rassegnazione all'emarginazione per via della propria bruttezza fisica. Così la protagonista Rebecca, io-narrante della vicenda, filtra le proprie conoscenze attraverso l'alienante dicotomia di vita sociale e vita covata in quel nido che dovrebbe essere la casa, e che invece è spesso prigione non annunciata:
So che potrei vivere diversamente, se fossi più brillante, più capace di dimenticare il mio aspetto. Ma non ci riesco e vivo così, chiusa qui fino al tramonto, con un lavoro che mi lascia nascosta.

Attorno a lei, Lucilla, amichetta di scuola, estroversa e diametralmente opposta a Rebecca; Maddalena, paziente del padre medico della protagonista, rimasta drammaticamente vedova e senza figli, autenticamente affezionata a Rebecca. Affettuoso ma debole, il padre è una figura affascinante e poetica, incapace però di rompere il muro di silenzio della moglie, caduta in uno stato depressivo di cui si capisce ben poco. La donna,  apparentemente estranea al mondo e disinteressata all'affetto rispettoso della figlia, lascia che Rebecca sia amata da Maddalena, e trascorre le sue giornate in un'apatia che la porterà al suicidio.
A Rebecca non resta quindi che muoversi tra i ricordi della madre, per colmare la sua naturale fame di verità. Ad accompagnare la ricerca, la musica, che la ragazza coltiva fin dalla più tenera età, e che idolatra con quelle sue mani bellissime di pianista. Solo il suo talento permette a Rebecca di ricevere la tanto desiderata approvazione del mondo esterno, nonostante la stessa ammissione al conservatorio risulti problematica per via della sua bruttezza (quale futuro avrà una musicista così?). I suoi sostenitori più accaniti sono la prorompente, appariscente musicista di casa, zia Erminia; il maestro di conservatorio De Lellis; e la madre di lui, apprezzata quanto enigmatica pianista di fama mondiale, ritiratasi (forse) per problemi neurologici e detentrice di grande saggezza.

Tra complessi e spesso deludenti rapporti sociali e l'immensa soddisfazione di tasti bianchi e tasti neri, Rebecca snoda la sua vita fino all'età adulta, con una sensibilità spiccata, a tratti eccessivamente matura, altrove naturalmente fragile.
Il romanzo si muove tra toni e mezzitoni di colore, proprio come le pareti azzurrate della casa teatro dell'azione, senza impennate narrative: anche i colpi di scena smuovono dalla fissità della trama, ma con delicatezza. Come una favola contemporanea, che preferisce al lieto fine improbabile il naturale corso degli eventi, La vita accanto narra senza sconvolgimenti stilistici la modesta fuga di un'infelice dalla sua predetta inettitudine.

Gloria M. Ghioni