Une lecture
di Roland Cailleux
di Roland Cailleux
Le Rocher, “Collection Motifs”, Paris 2007
[Ed. orig. Gallimard 1947]
pp.475
€ 10,00.
Roland Cailleux (1908-1980), medico e scrittore poco prolifico (5 romanzi scritti tra il 1935 e il 1980), è autore scarsamente noto in patria, nonostante la stima e l’amicizia degli scrittori più famosi e influenti del suo tempo (Gide, Viallatte, Gracq, ecc.). Pressoché sconosciuto in Italia, dove non è mai stato tradotto, tra le sue opere merita una menzione particolare questo curioso romanzo, Une lecture, che mette al centro del suo sviluppo narrativo la lettura di Alla ricerca del tempo perduto di Proust da parte del protagonista, Bruno Quentin, imprenditore di successo nel campo del commercio all’ingrosso di cristallerie.
Il romanzo, ambientato tra Parigi e l’entroterra della Costa Azzurra nel 1936, è nettamente scandito in tre parti. Nella prima parte l’autore presenta il personaggio principale, Bruno Quentin, una serie di personaggi minori, l’ambiente professionale ed esistenziale entro cui si muovono e i rapporti di parentela, d’amore e d’amicizia che li legano. Nella seconda parte, Bruno si scopre affetto da tubercolosi: deve abbandonare l’aria insalubre della capitale e allontanarsi da tutto ciò che lo circondava e che rifletteva perfettamente il suo benessere di uomo che s’è fatto da sé e che si gode i frutti sociali della sua riuscita. Quasi per caso, comincia a leggere il romanzo proustiano e in breve si sente invaso e vinto da un modo tutto diverso di guardare a sé e al mondo: tutte le sue certezze di disinvolto uomo di mondo sono sconvolte e si rende conto di aver vissuto dentro una corazza fatta di amor proprio, abitudini e frivolezze. Bruno rimette in discussione non solo il suo presente, ma anche il suo passato e la chiave di volta di questo guardarsi dentro sta in questa constatazione di semplice lettore: (traduco come meglio posso)
Roland Cailleux (1908-1980), medico e scrittore poco prolifico (5 romanzi scritti tra il 1935 e il 1980), è autore scarsamente noto in patria, nonostante la stima e l’amicizia degli scrittori più famosi e influenti del suo tempo (Gide, Viallatte, Gracq, ecc.). Pressoché sconosciuto in Italia, dove non è mai stato tradotto, tra le sue opere merita una menzione particolare questo curioso romanzo, Une lecture, che mette al centro del suo sviluppo narrativo la lettura di Alla ricerca del tempo perduto di Proust da parte del protagonista, Bruno Quentin, imprenditore di successo nel campo del commercio all’ingrosso di cristallerie.
Il romanzo, ambientato tra Parigi e l’entroterra della Costa Azzurra nel 1936, è nettamente scandito in tre parti. Nella prima parte l’autore presenta il personaggio principale, Bruno Quentin, una serie di personaggi minori, l’ambiente professionale ed esistenziale entro cui si muovono e i rapporti di parentela, d’amore e d’amicizia che li legano. Nella seconda parte, Bruno si scopre affetto da tubercolosi: deve abbandonare l’aria insalubre della capitale e allontanarsi da tutto ciò che lo circondava e che rifletteva perfettamente il suo benessere di uomo che s’è fatto da sé e che si gode i frutti sociali della sua riuscita. Quasi per caso, comincia a leggere il romanzo proustiano e in breve si sente invaso e vinto da un modo tutto diverso di guardare a sé e al mondo: tutte le sue certezze di disinvolto uomo di mondo sono sconvolte e si rende conto di aver vissuto dentro una corazza fatta di amor proprio, abitudini e frivolezze. Bruno rimette in discussione non solo il suo presente, ma anche il suo passato e la chiave di volta di questo guardarsi dentro sta in questa constatazione di semplice lettore: (traduco come meglio posso)
”c’era un troppo grande contrasto tra la vita facile e raffinata che aveva conosciuto questo figlio unico [Marcel, il personaggio narrante della Ricerca], malaticcio e nervoso, troppo viziato dalla madre (per non dire delle zie e della nonna e di Françoise), e il precoce apprendistato che Bruno aveva dovuto fare della morte, delle responsabilità e della ruvidezza della vita”.
Ma nonostante questo contrasto Bruno sente che Proust, attraverso il suo personaggio narrante, sta parlando anche a lui e di lui, sta stuzzicando corde profondamente sepolte nel suo io più puro e autentico.
Nella terza parte, Bruno, reso forte dai dubbi e dal disagio procuratogli dalla sua lettura e dalle sue riflessioni, torna al suo vecchio mondo cercando di adeguarsi non tanto alla realtà, quanto al suo nuovo modo di vedere la realtà, mettendo a frutto in termini di riflessione critica e consapevole questo nuovo atteggiamento, traducendolo in comportamenti concreti, sebbene non deterministicamente lineari, e senza abbandonarsi alle derive del disadattamento, del solipsismo o della ribellione anarchica o autodistruttiva.
La prima parte (pre-proustiana, diciamo così) si avvale di uno stile nervoso, frenetico, dove prevalgono i dialoghi e una affabilità colloquiale di maniera tutta giocata sull’esteriorità. È uno stile che riflette una vita “trepidante e irriflessa”. Ma già questa prima parte presenta un’impostazione originale rimarchevole: non è un personaggio inquieto e pensoso che incontra e si scontra con altri personaggi e situazioni perfettamente a loro agio nel mondo, è, al contrario, un personaggio perfettamente integrato che si incontra con personaggi un po’ ai margini (un’attrice di scarso successo, uno scrittore-insegnante insoddisfatto, ecc.) posando su questo mondo un occhio disincantato e sicuro di sé. Nella seconda e terza parte, l’irruzione della lettura di Proust impone un deciso cambio di stile, che si fa analitico, ricercato e sintatticamente complesso. Cailleux già nella sua opera d’esordio aveva dato prova di saper padroneggiare stili e atteggiamenti diversi (quasi un predecessore della Zizette di Queneau), qui il passaggio da uno stile all’altro è anche un segno mimetico di quanto quella lettura abbia inciso sulla vita di quel personaggio (per altro lo stile proustiano di Cailleux è la manifestazione della profonda assimilazione della lezione di vita che quello stile vuole trasmettere e non ha nulla di parodico). Un’imitazione che gli ha consentito di mettere tutto Proust
Nella terza parte, Bruno, reso forte dai dubbi e dal disagio procuratogli dalla sua lettura e dalle sue riflessioni, torna al suo vecchio mondo cercando di adeguarsi non tanto alla realtà, quanto al suo nuovo modo di vedere la realtà, mettendo a frutto in termini di riflessione critica e consapevole questo nuovo atteggiamento, traducendolo in comportamenti concreti, sebbene non deterministicamente lineari, e senza abbandonarsi alle derive del disadattamento, del solipsismo o della ribellione anarchica o autodistruttiva.
La prima parte (pre-proustiana, diciamo così) si avvale di uno stile nervoso, frenetico, dove prevalgono i dialoghi e una affabilità colloquiale di maniera tutta giocata sull’esteriorità. È uno stile che riflette una vita “trepidante e irriflessa”. Ma già questa prima parte presenta un’impostazione originale rimarchevole: non è un personaggio inquieto e pensoso che incontra e si scontra con altri personaggi e situazioni perfettamente a loro agio nel mondo, è, al contrario, un personaggio perfettamente integrato che si incontra con personaggi un po’ ai margini (un’attrice di scarso successo, uno scrittore-insegnante insoddisfatto, ecc.) posando su questo mondo un occhio disincantato e sicuro di sé. Nella seconda e terza parte, l’irruzione della lettura di Proust impone un deciso cambio di stile, che si fa analitico, ricercato e sintatticamente complesso. Cailleux già nella sua opera d’esordio aveva dato prova di saper padroneggiare stili e atteggiamenti diversi (quasi un predecessore della Zizette di Queneau), qui il passaggio da uno stile all’altro è anche un segno mimetico di quanto quella lettura abbia inciso sulla vita di quel personaggio (per altro lo stile proustiano di Cailleux è la manifestazione della profonda assimilazione della lezione di vita che quello stile vuole trasmettere e non ha nulla di parodico). Un’imitazione che gli ha consentito di mettere tutto Proust
“come un grande soprabito dentro una piccola valigia” (Vialatte, nell’appassionata prefazione).L’intreccio narrativo schematico e prevedibile (ma non a tesi), la rigida linearità cronologica, le scolastiche descrizioni fisiche dei personaggi e quelle degli ambienti quasi da romanzo ottocentesco (come se la descrizione dell’esteriorità fosse il passaggio privilegiato per l’interiorità), qualche lungaggine, qualche facile sovrapposizione tra i personaggi della Ricerca e quelli di Une lecture allontanano il romanzo di Cailleux dalla sensibilità dello smaliziato lettore contemporaneo, ciononostante proprio quest’aria gozzaniana di “cose buone di pessimo gusto” è parte integrante del fascino di questo romanzo, quasi che, come il suo grande modello, abbia scelto di essere “inaccoutumé” (inattuale).
Nella sterminata bibliografia critica e biografica su Proust capita talvolta di incontrare riferimenti ad una lettura dell’opera proustiana “ingenua”, a quelle che sono state le prime spontanee impressioni che la Ricerca ha prodotto sul lettore. La lettura pre-critica rimane quasi un fondo più o meno inespresso di tante analisi critiche del più alto livello. Ecco, il romanzo di Cailleux è proprio il migliore omaggio che un lettore, invaso e vinto da Alla ricerca del tempo perduto, poteva offrire a quel messaggio di nobilitazione di sé che il romanzo proustiano offre a che voglia accoglierlo. Cailleux ci ricorda che ognuno di noi rischia di diventare
“un canarino che si ricorderà di essere stato un cigno”.
Paolo Mantioni
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