Il sogno di Scipione
di Marco Tullio Cicerone
editore Sellerio, Palermo 2008
a cura di Solaro G.Sellerio
con testo latino a fronte
Il Sogno di Scipione è il titolo con il quale ci è pervenuta la parte finale del De Repubblica, dialogo in sei libri scritto da Cicerone. La composizione dell’opera risale al periodo 54-51 a.C , il modello di riferimento è sicuramente il mito di Er, che tratta dell’immortalità dell’anima ed è collocato alla fine della Repubblica di Platone .
Il Somnium ebbe una tradizione manoscritta indipendente dal resto dell’opera, la cui estrapolazione risale, probabilmente, a Macrobio, il quale scrisse un relativo commento “Commentarii in Somnium Scipionis” databile al 430 d.C.
Il testo del De republica fu ritrovato nel 1819, pubblicato e conservato nel celebre palinsesto Vaticano latino 5757, da quell’Angelo Mai a cui Leopardi dedicò una celebre canzone.
Lo stile alto e ricercato del Somnium, che contrasta con il tono argomentativo che caratterizza le pagine del De repubblica, si esplica nella ricercatezza lessicale con l’impiego di termini arcaici (ad esempio templum nel senso di spazio) e di espressioni preziose; nella ricercatezza a livello fonico con allitterazioni continue (vita via, luce lucebat) ed effetti sonori; nella ricercatezza a livello di immagini con la scelta di metafore pregnanti nella loro elementarità come quella del corpo-prigione e infine, nella ricercatezza a livello sintattico con periodi ampi e subordinate che si intrecciano.
Scipione Emiliano, che fu il distruttore di Cartagine nel 146 a.C , è il protagonista principale, a cui durante il sonno appare in sogno il nonno Scipione Africano, il celebre vincitore di Annibale a Zama nel 202 a.C.
Cicerone certamente non concorda con Epicuro per il quale il sogno si riduce ad una entità provocata dalla percezione degli atomi senza alcuna validità profetica, tiene invece presente la teoria aristotelica relativa al sogno , in cui i residui delle discussioni, dei pensieri e delle azioni durante la veglia si tramutano in fatti onirici. Cito Cicerone:
Hic mihi - credo equidem ex hoc quod eramus locuti : fit enim fere ut cogitationes sermonesque nostri pariant aliquid in somno tale,quale de Homero scribit Ennius, de quo videlicet saepissime vigilans solebat cogitare et loqui – Africanus se ostendit (…).
Fu allora che mi apparve l’Africano (credo certamente perché avevamo parlato di lui. Talvolta accade infatti che i nostri pensieri e i nostri discorsi generino al sonno qualcosa di simile a ciò che Ennio scrive a proposito di Omero, a cui evidentemente durante il giorno era solito pensare e del quale era solito parlare molto spesso).
Il sogno in questa storia è un desiderio di vita ultraterrena, dunque a coloro che si domandano se Cicerone credesse o meno nell’immortalità dell’anima, l’autore stesso risponde con il dato del sogno per descriverla, o più che altro per immaginarla. L’esigenza umana di crearsi degli universi che siano imperituri nasce dallo stato di malessere e disillusione nei confronti della vita fattuale; l’inappagamento si tramuta in riproduzioni divine e nella mancata accettazione che un corpo sia solo un contenitore materiale come la bara lo è di un corpo, e che quel corpo stesso, al quale si rivolgono smisurate preghiere, non senta in realtà un bel niente.
Premettendo che Cicerone crede che il sogno rivelatore sia un privilegio del buon princeps, annunciatore della missione politica e della sua giustezza, di conseguenza si meriteranno il paradiso solo i dotti -con i loro intelletto superiore- i grandi uomini politici e coloro che, suonando uno strumento musicale, hanno imitato il suono del movimento delle sfere celesti.
Ma ora l’Africano ci ammonirebbe: perché continuiamo a rivolgere le nostre attenzioni alle cose terrene? Perché Scipione Emiliano continua a guardare quel puntino spento quando ha intorno tutto l’universo?
Non c’è gloria sulla terra rivela il vecchio. L’unico trionfo è quello divino raggiungibile onorando la giustizia verso la famiglia ma soprattutto verso lo Stato, che è una società di molti uomini fondata sul diritto e l’utilità comune.
Bisogna segnalare, inoltre, l’evidente influsso che il Sogno di Scipione ha avuto non solo sull’Eneide di Virgilio, ma anche sulla Divina Commedia: il tema del viaggio ultraterreno rivelatore del destino dei personaggi delle citate opere, crea un parallelismo tra il Somnium, il VI libro dell’Eneide e il canto XVII del Paradiso, in un rapporto tra gli attori che Stefano Casarino definisce da docente (Africano, Anchise, Cacciaguida) a discente (Emiliano, Enea, Dante). In più Dante emula la cosmologia di Cicerone e il sistema di suoni celesti :mentre per il primo questa musica astrale risuona solo nella mente del poeta che ha compiuto il percorso di purificazione, per l’altro può essere udita in sogno.
Cum pateat igitur aeternum id esse quod se ipsum moveat, quis est qui hanc naturam animis esse tributam neget?(Poiché , dunque , è evidente che è eterno ciò che si muove di moto proprio, chi potrebbe negare che all’anima sia stata attribuita siffatta natura?)
Iniziano insomma a vivere coloro che muoiono e “quella che voi chiamate vita è morte“ dice Cicerone.
Tutto sommato potrebbe essere una chimera.
Isabella Corrado
Isabella Corrado