di Paola Mastrocola
Guanda, 2011
€ 17.00
pp. 280
Dico soltanto che la scuola non ha più ragion d'essere. E quindi dovremmo smettere di fingere di farla. Tutto qui.
Liberiamo i giovani dalla costrizione dello studio, d'accordo. Ma liberiamo anche lo studio, adesso braccato dai pedagogisti all'ultima moda.
Paola Mastrocola, insegnante liceale torinese, abbandona la sua narrativa fantasiosissima di Più lontana dalla luna o della Barca nel bosco, per tornare a quella vena satirico-saggistica, a tratti leggermente pamphlettistica, che aveva reso famosissimo La scuola raccontata al mio cane (2004). Ma forse, con questa nuova opera il piglio satirico si complica di amarezza.
L'opera si divide in tre sezioni; le prime due costituiscono le partes destruentes del libro, e denunciano la situazione attuale dell'istruzione e della scuola italiana. Muovendosi con grande libertà tra esperienze vissute in prima battuta come insegnante e citazioni aggiornatissime tratte da libri e giornali, Paola Mastrocola presenta la deriva dell'idea tradizionale di scuola, e l'incapacità delle istituzioni di prendere una posizione dopo gli anni Settanta. Non sono solo i disastri ortografici a spaventare l'autrice, ma il sostanziale disinteresse dimostrato per la lettura e per mettersi in gioco:
I ragazzi di oggi sono di una povertà lessicale sconcertante: possiedono poche parole per dire quel che vogliono dire; quando leggono, ne "saltano" moltissime perché non ne conoscono il significato; infine, usano impropriamente alcuni termini credendo che vogliano dire una certa cosa mentre ne vogliono dire tutta un'altra.Avere un lessico ristretto e improprio significa perdere l'aggancio con la realtà, non riuscire a tradurla in linguaggio, non esprimere i propri pensieri e non capire quelli dell'altro. Nell'era della comunicazione è un bel paradosso.
Disabitudine al pensiero, alla riflessione, allo stare (fermi) su un concetto [...]. Si tratta della mente, non della grammatica: di un vuoto strutturale, quindi (quindi!) grammaticale, linguistico.
Secondo la Mastrocola, a peggiorare la "disabitudine al pensiero" concorrerebbero le nuove prove di maturità che, da qualche anno a questa parte, hanno accantonato il classico tema, per il saggio breve: il primo portava a misurarsi con la propria creatività; il secondo, al contrario, impone l'impersonalità e diventa un tipo di scrittura informativa, un copia-incolla di documenti pre-ordinati.
Altro grande punto interrogativo è il futuro della scuola in questo mondo sempre più tecnologico. Pur dichiarandosi favorevole allo sviluppo informatico, la Mastrocola confessa la sua preoccupazione davanti a tanti piccoli homines videntes e zappientes, ovvero schiere di ragazzi sempre più portati a una comunicazione visiva che richieda una limitatissima concentrazione. Ad esempio, l'iPad, strumento utilissimo anche secondo la Mastrocola, permette di leggere e-book in totale comodità, ma chi avrà la costanza di leggere un intero libro, senza continue distrazioni di mail in arrivo, ricerche estemporanee, ecc.? Come sempre, lo strumento ha potenzialità immani, ma sta al soggetto sfruttarle al meglio e non subirle apaticamente.
La paura che si arrivi a una "demenza digitale di massa" (Frank Schirrmacher) c'è, e non è poi tanto lontana, se si leggono le previsioni di Monsieur Thélot circa la scuola del futuro in sede europea. La Mastrocola riporta stralci del discorso di Thélot, i suoi vaghi e disaccorti auspici per una totale rivoluzione della scuola verso una "scuola dell'esperienza" ipertecnologica che faccia a meno dello studio e degli attuali metodi, per mettere i ragazzi in primo piano. Senza remore, l'autrice dimostra tutte le sue perplessità per le contraddizioni intrinseche al discorso del francese, e teme che la proposta europea, già appoggiata dalla Gelmini e, prima ancora, da Berlinguer, possa trasformarsi nella soppressione delle materie umanistiche. E se cavalcare la vena della moda tecnologica lasciasse un incolmabile vuoto culturale nelle generazioni future? In fondo non siamo poi così lontani da un'apocalisse della letteratura, se consideriamo
gli ultimi dati di Tullio De Mauro, secondo i quali il "70% degli italiani è pressoché analfabeta o analfabeta di ritorno, cioè fatica a comprendere testi, non legge niente, nemmeno i giornali".
E d'altra parte,
Perchè un ragazzo abbia voglia di leggere, è necessario innanzitutto che lo sappia fare. Se non se ne sente capace, farà altro, non avrà certo voglia di sottoporsi a una tale devastante frustrazione.
Dunque, la questione è più complessa di quanto si usi credere, dal momento che pare del tutto saltato il "codice" letterario, e paradossalmente "nessun autore è più autorevole, tutti gli studenti sono competenti":
tutto è stato amabilmente invaso dal pubblico in nome di una legge non scritta ma sacrosanta: che tutti possono intervenire, sempre e dovunque [...]. A nessuno viene negato un microfono, anzi, credo che non sia più pensabile alcun tipo di trasmissione se non basata sull'intervento diretto del pubblico.
Molte concause portano la Mastrocola a denunciare la deriva scolastica, alcune frutto del buonsenso comune, altre decisamente fini e originali. Col suo stile sempre ameno e avvincente, alla portata di tutti, tra tirate di orecchie a famiglie, insegnanti, politici, pedagogisti, si giunge all'ultima sezione, che possiamo considerare una proposta per la scuola del futuro:
Mi piacerebbe che i giovani potessero scegliere fra tre direzioni ben distinte. Non sono capace di fare una proposta operativa e reale. Ma posso provare a dire quello che ho in mente, in modo estremamente semplice. Una scuola per il lavoro. Una scuola per la comunicazione. Una scuola per lo studio.
Molto più semplice della divisione liceale approvata dalla Gelmini, si avrebbero solo tre tipologie di scuola: Work-school, communication-school, knowledge-school. Tuttavia, la prima rivoluzione richiesta dovrebbe avvenire in famiglia, e consisterebbe nel lasciare i ragazzi liberi di scegliere se studiare materie "inutili" (termine usato più volte per indicare materie la cui applicazione non avviene nella vita pratica), o seguire il trend della comunicazione o scegliere di lavorare (la Mastrocola porta innumerevoli esempi di "artes" ormai segnate dal pregiudizio sociale presso molte famiglie). La tre scelte hanno a suo parere la stessa nobiltà, purché rispettino le inclinazioni dei singoli e non i sogni egoistici dei famigliari. Molto originale e apprezzabile l'idea che in tutte e tre le tipologie scolastiche si insegnino ancora non tanto le materie umanistiche, ma il piacere di leggere, ascoltare musica o guardare quadri, ovvero che si dia a tutti la stessa possibilità di apprezzare le arti, senza imporre versioni di Cicerone o analisi artistiche dei crocifissi di Giotto a studenti di falegnameria.
Nonostante la lunghezza della recensione, vi faccio presente che questi sono solo alcuni piccoli spunti tratti dall'opera della Mastrocola. La lettura integrale vi rivelerà tanti sottomondi di cui non faccio cenno, argomenti e informazioni che rendono l'opera al passo coi tempi, disincantato quadro del presente e fioca speranza per un futuro minato.
Gloria M. Ghioni
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