di Albert Camus
Gallimard, 1951
Denso, serrato, stringente, alieno da ogni tentazione meramente fabulatoria, questo lucido e magnifico saggio di Camus definisce con rigore filosofico la fondazione metafisica e storica della ribellione. La finitudine della condizione umana, la malattia, il male, il dolore inducono la ribellione metafica, l’urgenza di una ragione, di un senso. All’anelito metafico l’uomo ha storicamente trovato risposta nella trascendenza – divina, fino all’Illuminismo, storica, nell’epoca moderna. Ma la trascendenza presuppone la totalità, la cancellazione o la distruzione di tutto ciò che la nega. È essa stessa a creare la servitù (la negazione della libera espressione dello spirito) e l’ingiustizia sociale, che fondano a loro volta la necessità storica della ribellione. Il ribelle, distante in egual misura dal conformismo fideistico e dal nichilismo, nonché dalla pigra indifferenza, vive nella continua tensione del divenire e nell’angosciante e vitalistica contraddizione insanabile inerente ad ogni vivente.
La linea oltre la quale il ribelle afferma di non poter permettere che si vada, il colmo insuperabile della servitù e dell’ingiustizia al quale l’uomo contrappone l’affermazione di sé e della porzione di umanità che lo accomuna ai suoi simili, è dentro la storia. È una linea mobile, sia nell’individuo che nella società, cionondimeno è una linea metafisicamente fondata (come e più del dovere morale), perché al di là di essa, nel suo livello più basso c’è solo la morte. La fomula pseudocartesiana “io mi ribello, dunque noi siamo” è insieme metafisica e storica. In questa prospettiva, metafisica e storica, Camus giunge a dare fondamento ontologico all’arte e la sottrae ad ogni giustificazione succedanea o contingente.
Anche l’arte è questo movimento che esalta e nega allo stesso tempo. «Nessun artista tollera il reale», dice Nietzsche. E’ vero: ma nessun artista può fare a meno del reale. La creazione [artistica] è esigenza di unità e rifiuto del mondo. Ma lo rifiuta a causa di ciò che gli manca e in nome di ciò che, talvolta, è. La ribellione si fa osservare qui, fuori dalla storia, allo stato puro, nella sua complicazione primitivae fondatrice, verrebbe da aggiungere (e il quel “talvolta” c’è tutta la forza del sì alla vita che è vivo e operante in Camus e in tutti gli scrittori che hanno rinunciato alla trascendenza religiosa o storica, ma non a dare un fondamento ontologico alla vita). Su questa base finalmente l’arte non è più (o non è solo) una forma di conoscenza o una forma di espressione dello spirito, è una dimensione metafisica, è l’aspirazione ontologica all’unità e all’ordine che non si libera del peso e della responsabilità del caos.
Paolo Mantioni