Immunitas. Protezione e negazione della vita
di Roberto Esposito
Biblioteca Einaudi, 2002
€ 18.00
pp. 212
Radiografati al check-in dell’aeroporto, dalla scatola cranica, ai peli più nascosti, solitamente visibili soltanto al microscopio; intrappolati tra le porte blindate della banca, con quaranta gradi, fetore nauseabondo e quella vocina martellante che recita: “lasciare gli oggetti metallici nella cassettiera, lasciare gli oggetti metallici nella cassettiera…”; vaccinati freschi per prevenire chissà quale virus, proveniente dallo starnuto di un maialino, o dalla radice ammuffita di un ortaggio; con lozioni disinfettanti per le mani nella propria borsa, perché ossessionati da germi armati di kalashnikov; osservati dall’alto dai satelliti; ingozzati di cibi sempre più light, poco nutrienti ed estremamente lassativi; sempre più mascherati, sempre più asettici, mai se stessi, senz’anima… Non è un film di fantascienza, ma la nostra triste contemporaneità. È la vita che ha paura della vita, la vita negata da se stessa. Su questo tema, ma seriamente analizzato, e con tanta filosofia da sfondo, riflette Roberto Esposito in Immunitas. Esposito, che insegna Filosofia Teoretica a Napoli, influente autore del pensiero politico di questi ultimi anni, nel compilare un’analisi sulle condizioni della nostra società, sofferente a causa delle sue stesse contraddizioni, ci offre anche un dettagliato panorama riguardo la sensibilità degli individui del mondo di oggi. La “narrazione” presente in Immunitas attraversa diritto, teologia, antropologia e biopolitica; il tema della ricerca, si può sintetizzare in questi termini: per salvare la vita, costantemente a rischio da attacchi provenienti da più fronti, vengono adottati dei sistemi “immunizzanti” (non è affatto fuori strada chi facesse un’analogia tra tale ragionamento e il termine “immunità” usato in medicina), i quali, con la loro azione di difesa, portano a un esito spesso non esattamente positivo. L’eccessiva cura, ma sarebbe meglio dire “prevenzione” (poiché la cura avviene solo successivamente alla malattia) rischia di soffocare ciò che doveva solamente difendere: la vita. Il risultato è pessimo: aver prodotto un mondo “buio”, racchiuso in un piccolo angolo, senza spiragli. A dar luce, sono le riflessioni dei più grandi pensatori della modernità e della contemporaneità, dalla Weil a Luhmann, da Marquard alla Haraway, sapientemente cucite da Esposito.
Centrale nel libro, non solo fisicamente, è il capitolo dedicato alla “compensatio”. La “compensazione”, che collega il passaggio della interpretazione umana dal quadro teologico a quello antropologico («La categoria che collega teologia e antropologia, all’interno del medesimo lessico immunitario, è quella di “compensazione”». Pag. 95), e che si pone come una necessità umana al fine di scampare alle imperfezioni (Marquard), al negativo insomma, ci presenta insieme la debolezza e la forza dell’umanità, racchiuse in un’unica tensione:
«Compensazione non è mai, propriamente, un atto affermativo, positivo, originario - ma piuttosto derivato, indotto, provocato dalla necessità di negare qualcosa ce a sua volta contiene una negazione. Anziché un’azione, una reazione - un contraccolpo, o una controforza, rispetto a un colpo da parare o una forza da neutralizzare in una forma che ristabilisca l’equilibrio iniziale». (Pag. 97)
Che animale curioso, l’uomo.
Dario Orphée
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