La camera di sangue e altri racconti
di Angela Carter
Feltrinelli, 1995
pp. 200, € 5,16
Siamo nel pieno della gender fiction, la narrativa di genere (nel caso specifico: femminista). Ma per essere più precisi, quella di Angela Carter è una genderized fiction, una letteratura d'innesto. Tutti i suoi romanzi e racconti, infatti, trattano il tema della sessualità lavorando su modelli letterari. In particolare, un fondo comune della sua narrativa consiste nella fusione di due generi opposti: i lazzi della commedia erotica e certa letteratura fantastica o macabra. L'etichetta d'uso comune, infatti, è quella di realismo magico. Ne risultano storie in cui lo stridore tra lo straordinario e la spiccata disinvoltura del narratore non servono che a un solo scopo: presentare situazioni archetipiche e stimolare la discussione su di esse. Si tratta di una letteratura assai poco ingenua, anzi scopertamente ammiccante. Il lettore ideale della Carter non è di certo un fine psicologo, ma ha sul proprio scaffale Freud, il marchese de Sade e la migliore letteratura gotica angloamericana.
Il gioco tra fantastico ed erotico, finemente calibrato nei romanzi, in The Bloody Chamber and Other Stories si fa ostentato. Le sue storie sono riscritture delle più note fiabe di Perrault (Barbablù, Cappuccetto rosso, La Bella e la Bestia, Il gatto con gli stivali) e propongono un gioco a carte scoperte: l’ironia agisce come un acido corrosivo, che scardina la fiaba come genere letterario e rivela un volto nuovo in questo bagaglio collettivo di storie. La corrosione opera fondamentalmente su tre vie rispetto all’originale fiabesco: scavo di senso, aggiunta di senso, corruzione di senso.
La premessa teorica della Carter può riassumersi in un principio-base della psicanalisi: le storie per l’infanzia, dal contenuto apparentemente innocente, in realtà vogliono dire qualcosa di più. Molto spesso, si tratta di allegorie che cercano di spiegare per imagines la perdita della verginità e la natura violenta del sesso. La stessa autrice ha dichiarato in un'intervista del 1985:
La mia intenzione non era scriverne nuove "versioni" o, come è stato orribilmente pubblicato nell'edizione americana del testo, fiabe "per adulti", ma estrarre il contenuto latente dai racconti della tradizione.
Le riscritture di Angela Carter tengono sempre presente questo assunto. A volte lo portano persino alle estreme conseguenze: è il caso del racconto che dà il titolo alla raccolta, La camera di sangue, in cui la vicenda di Barbablù non è soltanto la storia di un uxoricida seriale, ma è legata a ben più pesanti pratiche di perversione sessuale (è il racconto in cui il sadismo è più palese) e di voluttuosa degradazione (il tema dei gigli che, sul punto di marcire, emanano un profumo più intenso ci rimanda a tanta letteratura decadente: le orchidee di Huysmans, ma anche il Pascoli del Gelsomino notturno e della Digitale purpurea). Una delle numerose occorrenze nel racconto:
Mio marito (…) aveva riempito la stanza di gigli, al punto da farla sembrare il laboratorio di un imbalsamatore. Tutti quei gigli stanchi, le cui pesanti corolle ondeggiano ora emanando la loro fragranza insolente e greve, memore di carni troppo a lungo viziate…
Nel gioco della riscrittura, le possibilità si moltiplicano e così gli esiti: La corte di Mr Lyon e La sposa della tigre nascono dalla stessa fiaba (La Bella e la Bestia) ma, se il primo è sostanzialmente fedele a tutti gli elementi narrativi – a parte un certo gusto per il particolare «storicizzante», come l’apparizione qua e là di un telefono o un taxi in corsa accanto a cavalli e castelli desolati – il secondo usa più forza sull’originale, fingendo che la «Bella» in questione sia persa dal padre al tavolo da gioco (topos, quello del gioco d’azzardo, assai presente nella letteratura femminista dai pamphlet del XVIII secolo) e consegnata quindi a un uomo-tigre.
La Carter raggiunge i risultati migliori proprio quando stravolge inaspettatamente le storie. Il lieto fine, infatti, può esserci se la Bestia torna uomo ma anche se, allo stesso modo, in un coup de théâtre degno di una metamorfosi ovidiana, è Bella a diventare la bestia:
L'eco delle sue fusa scosse la casa alle fondamenta, fece danzare anche le pareti. Pensai: Crollerà tutto quanto, e si disintegrerà.Si faceva sempre più vicino finché non sentii il rozzo velluto della sua testa contro la mano, e poi una lingua, rasposa come la carta vetrata. Mi leccherà via la pelle!E ogni colpo di quella sua ruvida lingua sfogliava uno strato di pelle, strati della mia vita nel mondo, lasciando spazio a una lucida coltre di pelo. Gli orecchini tornarono a essere acqua e mi scivolarono giù per le spalle. Ne scossi le gocce dalla pelliccia incantevole.
La prosa di Angela Carter è sensuale e immaginifica. Riesce a virare senza soluzione di continuità da un registro stilistico all’altro: un narrato sinuoso e salterino, in cui un gatto con gli stivali può diventare paraninfo e tuttofare figaresco per le prodezze erotiche del suo padrone, e una madre può arrivare a cavallo per salvare la propria figlia decapitando con una spada il mostro di turno. Tutto all’insegna di un saldo controllo della materia linguistica, in cui i sensi – specialmente il tatto – controllano tutto, persino la sintassi.
Laura Ingallinella