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Vincenzo Lisciani Petrini, Quarti di sole e luna

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Quarti di sole e luna 
di Vincenzo Lisciani Petrini 
Giovane Holden Edizioni, Massarosa (Lu), 2010

pp. 78
€ 15,00
 
L’esordio poetico del giovane Vincenzo Lisciani Petrini affidato allo smilzo e denso volume Quarti di sole e luna è decisamente promettente. Per cercare di coglierne il cuore pulsante, o, più prosaicamente, il motivo ispiratore o la necessità d’essere, conviene forse partire da ciò che questo libro non è. Come ogni libro di poesia, bello o brutto, non ha la pretesa di affermarsi sul mercato editoriale, dunque non presenta nessun patteggiamento con esigenze estranee alla necessità espressiva. Non è la manifestazione di una vaga e indistinta, più o meno squisita, sensibilità. Ancora: non è l’espansione sul creato di un io ipertrofico ed egocentrico (tutt’altro, almeno nella prima e seconda sezione). Se all’assenza dei summenzionati difetti si aggiungono i meriti della vivacità formale e della conseguente profondità e autenticità dei contenuti siamo a buon punto. Ma avviciniamoci ancora un po’, descriviamolo dall’esterno. Il libro è suddiviso in 4 sezioni molto diverse tra loro sul piano della scelta e della ricerca espressiva: Elegie, Arabeschi, Epigrammi, Quarti di sole e luna, tra la seconda e la terza sezione campeggia il Poema della croce, prosa poetica, il congedo è affidato ad un breve componimento, Al di là di ogni scelta si erse la vita. La prima sezione è composta di poesie in distici di versi lunghi inframmezzate da versicoli allineati a destra, rappresentano ricordi d’infanzia o situazioni d’adulto, nei quali la parola del poeta, tesa a dar conto anche e soprattutto di altri personaggi, e l’umile e, vorrei dire, primordiale realtà del mangiare, del bere, dello scaldarsi, scontano una irredimibile lacuna, una sfasatura: 
“E’ tutto sconvolgente e il pulpito in cui mi trovo è senza sostegni/e tutto mi sembra una grande teca su cui appiattire il naso”. 
Se nella prima sezione la sperimentazione formale non aveva intaccato l’intelligenza letterale dei componimenti, nella seconda, Arabeschi, brevi prose poetiche, la voce lirica si frantuma in un continuo cambio del soggetto dell’enunciazione. Ne risulta un vortice nel quale la presa del senso letterale delle parole sembra dissolversi nel passaggio e nell’indistinzione tra io, tu, e terza persona; tra il perfetto e l’imperfetto dei verbi; tra il presente e il passato; tra l’animato e l’inanimato; tra la fantasia e la realtà; tra l’animale e l’umano. È la sezione più ardua, più sperimentale, epperò più originale tra tutte e che trova forse la sua definizione metaforica in una frase del successivo Poema della croce “l’occhio sfavilla cambiando il sembrare”. Epigrammi, terza sezione, si compone di 15 brevi poesie monostrofiche di impostazione più tradizionale. Tra il nono e decimo epigramma succede qualcosa: dopo aver cercato lo “sciocco/ordine tra macerie e molliche” (V epigramma) o cercato “di capire se non sia meglio essere/un pesce” (VII epigramma), il poeta riceve la grazia del “preciso avvenimento” (IX epigramma), e il “segno: una torcia fiammante/nell’oscurità” (X epigramma). Confortato, ma non conciliato o del tutto pacificato, dalla luce della fede, nell’ultima sezione, Quarti di sole e luna, il poeta percorre le strade devastate dal conflitto arabo-israeliano, coglie i segni della comune umanità sociale e religiosa (la fede del poeta ha un carattere a-confessionale e sembra voler aderire al Dio di tutti), ma anche della divisione, della scissione tra sé e la realtà e tra la realtà e l’ideale. Così “al di là di ogni scelta si erse la vita/e con ella molto altro/ma anche molto niente e dure miserie”, congeda una lettura che ha percorso la frattura tra la parola e il mondo, le insidie dell’impossibilità della comunicazione, le ansie del male di vivere, la speranza della fede e, infine, la prova controversa delle macerie morali e materiali.
Non so se sono riuscito a cogliere il cuore pulsante di questo libro, ma è sicuramente un suo merito permettere al contempo un florilegio di versi, immagini, frasi di grande energia comunicativa e riconoscerne un disegno compositivo che ha un suo consapevole significato. 

Paolo Mantioni