Pillole d'autore: Wisława Szymborska

Nel parlare comune, che non riflette su ogni parola, tutti usiamo i termini: mondo normale, vita normale, normale corso delle cose... Tuttavia nel linguaggio della poesia, in cui ogni parola ha un peso, non c'è più nulla di ordinario e normale. Nessuna pietra e nessuna nuvola su di essa. Nessun giorno e nessuna notte che lo segue. E soprattutto nessuna esistenza di nessuno in questo mondo. A quanto pare i poeti avranno sempre molto da fare.
Così Wisława Szymborska (1923-2012) concluse il suo discorso in occasione del conferimento, nel 1996, del Premio Nobel per la letteratura. L'assegnazione di quel premio fece scalpore: la poetessa polacca era quasi sconosciuta. Da allora, però, la sua lirica di piccole cose, frutto di un'incessante, più che cinquantennale ispirazione (pubblica ininterrottamente dal 1945) si è ritagliata un posto di primo piano nell'affetto dei lettori italiani. Nell'edizione completa pubblicata da Adelphi (per la produzione fino al 2009), è possibile apprezzare l'intensa «gioia di scrivere» che informa il suo verso, ed è un vero peccato poter soltanto intuire la musicalità delle sue scelte metriche in lingua originale. Il mondo di Wisława Szymborska è delicato e dialogico, un vero sermo lirico che presuppone un rapporto paritario con il lettore. In questo discorso, oggetti comuni della quotidianità prendono vita e significato: cipolle, bicchieri di vino, foglietti illustrativi e date sul calendario. Il risultato è una poesia in cui l'espressione non è fine a sé stessa, e l'individualità ben tornita di chi scrive permette, meglio di qualsiasi altra cosa, che espressioni e immagini ci parlino di noi.
 
IL 16 MAGGIO 1973

Una delle tante date
Che non mi dicono più nulla.

Dove sono andata quel giorno,
che cosa ho fatto – non lo so.

Se lì vicino fosse stato commesso un delitto
- non avrei un alibi.

Il sole sfolgorò e si spense
senza che ci facessi caso.
La terra ruotò
e non ne presi nota.

Mi sarebbe più lieve pensare
di essere morta per poco,
piuttosto che ammettere di non ricordare nulla
benché sia vissuta senza interruzioni.

Non ero un fantasma, dopotutto,
respiravo, mangiavo,
si sentiva
il rumore dei miei passi,
e le impronte delle mie dita
dovevano restare sulle maniglie.

Lo specchio rifletteva la mia immagine.
Indossavo qualcosa d'un qualche colore.
Certamente più d'uno mi vide,

Forse quel giorno
trovai una cosa andata perduta.
Forse ne persi una trovata poi.

Ero colma di emozioni e impressioni.
Adesso tutto questo è come
Tanti puntini tra parentesi.

Dove mi ero rintanata,
dove mi ero cacciata –
niente male come scherzetto
perdermi di vista così.

Scuoto la mia memoria –
forse tra i suoi rami qualcosa
addormentato da anni
si leverà con un frullo.

No.
Evidentemente chiedo troppo,
addirittura un intero secondo.
DEVO MOLTO A QUELLI CHE NON AMO

Devo molto
a quelli che non amo.

Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.

La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.

Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l'amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.

Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come una meridiana,
capisco
ciò che l'amore non capisce,
perdono
ciò che l'amore non perdonerebbe mai.

Da un incontro a una lettera
passa non un'eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.

I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.

E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che trovi su ogni atlante.

È merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perché mobile.

Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.

«Non devo loro nulla» -
direbbe l'amore
su questa questione aperta.
LA CIPOLLA

La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
Fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.

La cipolla, d’accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.

In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.


Laura Ingallinella