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CriticaLibera - FRIEDA HUGHES: FANTASMI DAL PASSATO

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CriticaLibera - FRIEDA HUGHES: FANTASMI DAL PASSATO
-- di Debora Lambruschini --

Il confronto con la figura materna è un’esperienza che ogni figlia ha provato. Fin dall’infanzia, quando per gioco mettevamo i suoi vestiti per sentirci belle come lei, nell’adolescenza quando ci siamo ribellate al suo perbenismo, e fino all’età adulta quando ormai donne cerchiamo ancora il suo sguardo di approvazione. Alcune volte però questo confrontarsi con la propria madre può diventare un gioco pericoloso. Quando tua madre è Sylvia Plath, poetessa acclamata e donna inquieta,  è difficile non sentirsi schiacciare dal peso di una figura così ingombrante. E Frieda Hughes, che oltretutto è doppiamente figlia d’arte, è da tutta la vita che si confronta con la propria madre.
Una madre che non l’ha aiutata a crescere, perché si è tolta la vita una mattina d’inverno quando Frieda aveva solo tre anni, una donna fragile e tormentata, ma che ha saputo diventare grande ed immortale grazie alle sue poesie. Una vita breve come un raggio di sole in un giorno d’inverno, ma vissuta senza risparmiarsi niente, in perenne lotta con la Sylvia che era, sensibile e delicata e quella che avrebbe voluto essere, la grande poetessa sicura del proprio talento.

In quelle poesie, taglienti e dolorose come lame (che recentemente sono state riproposte qui in una selezioneda Laura Ingallinella), trapelano le paure, il dolore ed i fantasmi che l’hanno accompagnata tutta la vita, e proprio in quelle parole Frieda cerca la madre perduta, conosciuta troppo poco e la cui assenza peserà nella sua vita in modo inevitabile.
Forse proprio quella morte volontaria, per avvelenamento da monossido di carbonio dopo aver infilato la testa nel forno, ha contribuito a far crescere il mito della Plath, ed è inevitabile l’ossessione e la cinica curiosità dei media contro cui la figlia si spende da sempre, in battaglie giuridiche verso chi tenta di rubarle un altro pezzo di quella madre troppo ingombrante. Certo è che in tutto questo tempo non è stato risparmiato niente, ancora oggi dopo più di quarant’anni dal suo addio alla vita, si scrivono libri e si girano film, scavando alla ricerca di qualche particolare inedito, spiando nella sofferenza che nulla conserva di intimo e riservato.
Difficile quindi crescere all’ombra di una madre così celebre e di successo,convivere con il dolore causato dalla sua scelta finale, e ritrovare anche nella figura paterna un modello altrettanto difficile da emulare. Il percorso umano di Frieda non può quindi che essere travagliato, segnato da depressione, anoressia e conflitti con la matrigna, la bionda seconda moglie di Ted Hughes, che Frieda non sente abbastanza vicina, affamata d’amore com’è.
Numerosi viaggi e peregrinazioni alla ricerca di sé, di una propria identità e scopo, per placare quell’inquietudine che si porta dentro. Non è sola in questa lotta disperata contro i suoi fantasmi, come lei anche Nicholas, il fratello di qualche anno più grande, che combatte con la depressione e lo spauracchio della madre. Quel figlio che segnato da problemi personali sempre più difficili da sopportare e dall’aggravarsi della depressione decide di seguire Sylvia nel suo drammatico destino e il 17 Marzo di due anni fa si toglie la vita. A Frieda questa volta l’ingrato compito di dare notizia della sua scomparsa.
Eppure nonostante il pesante bagaglio emotivo che porta sulle spalle, sceglie di  esprimere la sua rabbia e il suo dolore proprio attraverso quell’arte che ha reso celebri i suoi genitori, ma non c’è solo la poesia per fare pace forse con il suo passato, ci sono la pittura - che le frutta premi e riconoscimenti -  i libri per bambini e le illustrazioni, lei eterna figlia che con fatica finalmente sembra trovare il giusto mezzo per esprimersi.
Tre raccolte di poesie, Wooroloo e Waxworks e l’ultima e più significativa Forty-five, 45 come le poesie che contiene, pubblicata al compimento dei suoi 45 anni, una per ogni anno di vita appunto. In quelle liriche c’è tutto il mondo interiore di Frieda, la sua sofferenza, il vuoto e il senso di abbandono, l’amore per il padre e la gelosia verso le sue numerose compagne, la disperazione per la morte di lui, ma anche alla fine la serenità che conosciuta con Lazlo Lukacs, pittore e suo compagno da tempo.
Ma soprattutto lei, Sylvia, e quel senso di violazione che sempre prova ogni volta che qualcuno scava nel suo passato.
E a tutti coloro che ancora cercano l’ennesimo dettaglio sulla celebre poetessa, reclamandola “come loro”, Frieda risponde malinconica e fiera: 
“E io che per tutto questo tempo pensavo/che più di ogni altra cosa lei fosse mia” (da “Lettori”, pubblicata sul Guardian).