Primo punto. Dialogo.
Monte pellegrino, ore: 05:30 a.m. Il sole, che sta per sorgere, illumina debolmente il golfo di Palermo. Un uomo sulla quarantina, un giornalista, con “Il critico come artista” tra le mani si dirige verso il punto più alto del Monte, dove lo attende Oscar Wilde. I due si incontrano e, dopo i saluti, ha inizio una conversazione.
Giornalista: La ringrazio per la disponibilità, ma perché ha voluto che ci incontrassimo qui?
Wilde: Ritengo che l’alba alle sue spalle le stia rispondendo.
L’uomo si volta. Rimane qualche attimo ad osservare l’orizzonte, smarrito. Poi, ritorna in se stesso ascoltando questa domanda.
W: Ha letto il mio libro?
G: Sì.
W: Non voglio sapere se il testo le è piaciuto, né che tipo di recensione scriverà sul quotidiano; piuttosto se esso avrà un giorno la possibilità di diventare il testo canonico dei critici artistici e letterari.
G: Prima di rispondere, vorrei che mi aiutasse a risolvere un dubbio: era così necessario trasformarsi in personaggi di una recensione-dialogo, nonostante nel suo libro (cioè l’edizione italiana oggi nelle librerie) ve ne sia una di grande qualità, come quella di Silvio Perrella, che, inoltre, ritengo insuperabile?
W: Non saprei. Siamo frutto della fantasia dell’autore di questa recensione. Tuttavia, non c’è nulla di male nel dialogare.
G: Questo mi fa sorridere: Ne “Il critico come artista”, lei riflette tanto sull’importanza dell’immortalità nell’arte. Si contraddice?
W: Adesso è lei che mi fa sorridere: nel libro ho scritto anche che il critico è irrazionale; non ricorda? Dunque, come la mettiamo?
L’uomo, perplesso, cerca nel vuoto una risposta.
W: Voglio aiutarla. La critica è più creativa della creazione; essa, a volte, rivela ciò che neanche l’artista comprende nella sua opera. E il critico è un “eletto”, poiché vede ciò che nessuno vede.
G: Ma raramente i critici sono in grado si scrivere quello che hanno scoperto.
W: Uomo meschino! Lei pensa che il dialogo tra Gilbert ed Ernest de “Il critico come artista” sia risolto in se stesso?
G: Cosa intende dire? Che i critici nascondono, all’interno dei loro scritti, argomenti che pochi sono in grado di scoprire?
Silenzio. Wilde storce il naso.
W: Non ha ancora risposto alla mia domanda: il libro avrà un giorno la possibilità di diventare il testo canonico dei critici artistici e letterari?
G: Perché le interessa così tanto? Un uomo immorale non dovrebbe avere a cuore le sorti della critica…
Secondo punto. Epilogo.
E invece, è proprio questa la base. Nei due bellissimi saggi, intitolati “Il critico come artista” e “L’anima dell’uomo sotto il socialismo”, Oscar Wilde tenta di riportare il logos ai suoi binari: da un lato, vi è presente una cura per il pensiero artistico, perdutosi negli anni di Wilde (forse anche nei nostri) tra gli articoli di cronaca sui quotidiani o, riguardo all’arte figurativa e plastica, allontanatasi dalla bellezza greca; dall’altro, una cura per la società, fornendo delle prospettive ben precise al fine di ristabilirla. Ora, la domanda: perché tanto scrupolo da parte di Wilde? Perché sta tutto nella ricerca della bellezza il senso, per godere del piacere che essa dà all’anima. Per realizzare ciò, è necessaria una forma di governo che aiuti gli uomini a fare il bello: tale forma è il socialismo, secondo Wilde. “L’anima dell’uomo (,) sotto il socialismo”, potrà dunque vivere intensamente perché -è semplice il concetto- non soffrirà più: ella si occuperà soltanto di se stessa. Senza la critica, e il pensiero critico, resta davvero poco di bello, sia nell’arte che nella società. Chissà se il Giornalista del dialogo qui sopra ha capito.
Dario Orphée