Certe guerre non finiscono mai. Conversazione con Pino Scaccia
di Alessandra Stoppini
Edizioni della Sera, 2011
€ 5
pp. 62
Pino Scaccia, storico corrispondente Rai e autore di numerosi saggi e reportage, è forse uno degli ultimi esempi di quel giornalismo di vecchia scuola che -sulle pagine dei quotidiani prima e in seguito nei post del suo raffinato blog “La torre di Babele”- ci ha accompagnato con onestà e sguardo lucido nel vortice degli avvenimenti più importanti della scena mondiale, sempre con la stessa capacità descrittiva precisa ma sintetica di chi ha osservato con i propri occhi la realtà che restituisce ai suoi lettori. Una passione totale per il mestiere di giornalista che non smette di esistere neanche dopo l’addio al lavoro di corrispondente e cronista, ma che al contrario trova nuova espressione nel sopracitato blog e nei sei libri finora pubblicati, attività a cui ha scelto di dedicarsi pienamente dal Maggio scorso.
L’autrice di questo libro (il cui titolo richiama una frase tratta dal blog di Scaccia), Alessandra Stoppini ci restituisce quindi per una volta una versione inedita del giornalista, non più intervistatore ma intervistato, pronto a dialogare con lei e con il lettore dello scenario mondiale odierno, di alcuni grandi stravolgimenti passati di cui è stato testimone, dei possibili scenari futuri. Ne deriva una lunga intervista in cui Scaccia cerca di ricostruire i motivi che l’hanno spinto ad approdare al mestiere di inviato, gli insegnamenti ricevuti dai grandi maestri, al contempo analizzando i conflitti passati e presenti, lo spartiacque dell’11 Settembre 2001, le guerre dimenticate, la sofferenza per i colleghi caduti.
È innegabile che un giornalista del calibro di Scaccia risulti più a suo agio nelle vesti di inviato, reporter, testimone diretto, capace di riconvertire su carta gli eventi di cui è stato osservatore e le impressioni che questi gli hanno suscitato. È per questo motivo quindi che “Certe guerre non finiscono mai” resta una lettura interessante per cercare di scoprire l’uomo dietro il reporter ed approfondire alcuni temi ricorrenti nei suoi articoli e nei suoi libri, pur rimanendo consapevoli che il mezzo più diretto ed esemplare per comprendere la sua visione sono più di 30 anni di articoli, approfondimenti e cronache.
Ma è sempre interessante conoscere la storia dietro una così lunga carriera, un percorso nato da una fortissima passione per due cose sognate da ragazzo: “Viaggiare e raccontare. Con un colpo solo ho esaudito entrambi i sogni” , che si sono trasformate quindi in quel mestiere di reporter imparato soprattutto sul campo. Perché come sostiene lo stesso Scaccia un buon reporter è composto da
“Cinque per cento di tecnica (che s’impara), cinque per cento di talento (se lo si ha) e il resto, il novanta per cento, di suola delle scarpe, come diceva Montanelli.”
È questo il segreto, un lavoro che si impara principalmente dall’osservazione diretta della realtà, sul campo, in cui oltre al talento servono tenacia e fatica perché “Reporter è soprattutto sudore”. Condivisibile o meno, è innegabile che la passione e lo studio da soli non bastino a formare un buon giornalista, tantomeno un inviato, e come tanti altri maestri anche l’esperienza di Scaccia può essere di stimolo e riflessione per quanti sognano questa professione.
La conversazione si sposta quindi verso le impressioni e le riflessioni che hanno suscitato alcuni degli avvenimenti cui si è trovato coinvolto, come giornalista in primis ma anche come uomo, soffermandosi sul significato della guerra, le sue atrocità, gli interessi che inevitabilmente vi si nascondono e la pena per quelle guerre appunto “che non finiscono mai” perché abbandonate all’oblio per mancanza di interesse da parte dei media, dell’opinione pubblica, delle istituzioni.
E non manca la riflessione sulla terribile pagina dell’11 Settembre 2001, i cui punti oscuri e conseguenze sono ancora difficili da comprendere appieno, così come la portata d’odio e paura che quel mattino di 10 anni fa ha portato nel cuore dell’Occidente.
Una chiacchierata sul mondo e i suoi conflitti insieme ad un testimone che ancora oggi non smette di sentirsi un privilegiato nel fare il lavoro più bello del mondo.
La conversazione si sposta quindi verso le impressioni e le riflessioni che hanno suscitato alcuni degli avvenimenti cui si è trovato coinvolto, come giornalista in primis ma anche come uomo, soffermandosi sul significato della guerra, le sue atrocità, gli interessi che inevitabilmente vi si nascondono e la pena per quelle guerre appunto “che non finiscono mai” perché abbandonate all’oblio per mancanza di interesse da parte dei media, dell’opinione pubblica, delle istituzioni.
E non manca la riflessione sulla terribile pagina dell’11 Settembre 2001, i cui punti oscuri e conseguenze sono ancora difficili da comprendere appieno, così come la portata d’odio e paura che quel mattino di 10 anni fa ha portato nel cuore dell’Occidente.
Una chiacchierata sul mondo e i suoi conflitti insieme ad un testimone che ancora oggi non smette di sentirsi un privilegiato nel fare il lavoro più bello del mondo.
Debora Lambruschini
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