Il respiro del Minotauro |
Parla, la pittura di Daria Musso: con un linguaggio grammaticalmente essenziale, privo di aggettivi e… ordinato. Parla di antichi miti, per esempio, raccontati in forme nuove. Oppure raccontati in “non-forme” -come lei stessa mi ammonisce-. Perché effettivamente, all’interno di questa produzione, ci troviamo al di là dell’astratto. Ci troviamo, infatti, di fronte la nascosta struttura del colore, finalmente plasmata per i nostri sensi imperfetti. Osservando, tuttavia, l’occhio riposa su forme geometriche perfettamente incatenate tra loro, senza perdersi (lo sappiamo bene: l’occhio vuole dei limiti). Le divisioni, ammesse dal pennello della Musso, risultano eleganti e per nulla stridenti, nette e sapientemente alternate: «Per la mia ricerca, sarebbe più corretto parlare di una “non-forma” -dice-. Il vero protagonista è il colore, o il contrasto tra luce (bianco) e assenza di luce (nero)». Originale appare il collegamento tra il dinamismo dei miti greci e l’armonia dei contrasti di luce. E originale appare anche l’espressione finale, composta da una scelta cromatica ben meditata, rivolta soprattutto alla riflessione intima del fruitore:
«Affido alle scelte cromatiche la trasmissione delle emozioni! Ecco perché, dal mio punto di vista, è scorretto limitare le emozioni circoscrivendole in una “forma”: sarebbe inappagante».
La vendetta di Medea |
Cosa, invece, è appagante? «Vorrei precisare che la forma è per me inappagante. Mi spiego meglio: ritengo che lasciare dilagare il colore in ampie campiture, talvolta anche “martoriate”, esprima meglio le mie emozioni. È una scelta professionale. Amo il figurativo: talvolta me ne lascio affascinare totalmente. Ci sono artisti figurativi che raggiungono livelli altissimi di lirismo che mi commuove profondamente… Ma questo non è il mio linguaggio. Avendo fatto studi artistici, ho imparato la “grammatica” del disegno. Quando ero al Liceo, facevo anche ritratti ad acquerello. Anche adesso, ogni tanto, riprendo a disegnare per non perdere la mano, così come riprendo l’acquerello, che adoro! È un divertimento. Fare un dipinto che esprima veramente la mia essenza, però, mi porta immediatamente a disfarmi della forma. Ho bisogno solo di colore. La pittura, figurativa o astratta che sia, l’arte, in tutte le sue espressioni, deve coinvolgere. Può emozionare, turbare, creare perplessità, divertire… non importa. Deve trasmettere qualcosa. A me, accade solo se c’è un “contenuto”. Per altri non so…». Qui il contenuto è la raccolta di miti, ovviamente rielaborati. La scelta pittorica aiuta a cogliere qualche aspetto del mito che nei racconti orali, a volte, sfugge? «Non penso proprio! Quando dipingo, focalizzo la mia attenzione su un personaggio del mito o su un accadimento». E come? «Mettendomi nei panni del “mostro” o del “dannato”, oppure calandomi nell’atmosfera che si crea nel momento in cui avviene qualcosa. Ma è tutto filtrato dalla mia soggettività. Racconto con il mio linguaggio ciò che mi è stato raccontato, nulla di più. Amo i Miti, in particolare quelli greci. Sono stati le mie prime letture e mi accompagnano da tutta la vita! Ne ho sempre ricercato l’essenza e non ho mai smesso di studiarli. Era fatale che la mia ricerca pittorica vi si intrecciasse. È una passione, così come la musica e la letteratura. È una scelta. Inoltre, il mito fa parte dell’immaginario collettivo, è un codice condiviso che, in qualche modo, mi avvicina al fruitore. E poi, se avessi intitolato un quadro semplicemente “Mostro greco”, non avrebbe avuto la stessa efficacia de “Il respiro del Minotauro”. Difatti, il Minotauro lo conosciamo tutti, ma, evocarne il respiro, l’ansimare, vederlo prigioniero del labirinto… questo sposta l’attenzione sulla sofferenza del “mostro”, che altro non è che un “diverso”. A questo punto, il Mito esprime molto più di quanto siamo abituati a cogliere!».
Musicista |
Tra i quadri della Musso, tutti i quadri, c’è qualcosa (dico qualcosa, perché non saprei come definire ciò che penso) di enigmatico. L’ho chiamato “equilibrio”. Ovviamente, si troverà parecchio dislivello nel leggere: “enigmatico”, e poi aggiungere subito dopo “equilibrio” (anche se non è equilibrio, è così che mi piace che possa chiamarsi). Con “Musicista” e “Spartito”, esposti a Castel dell’Ovo, sono giunto alla fine di un sentiero. Cosa ho trovato? Ho trovato una domanda, non difficile da prevedere: Daria Musso che equilibrio cerca? I dipinti rivelano di essere influenzati dalla polarità (dei colori, delle forme). Si notano, in ognuno, due forze di varia intensità, che agiscono in direzioni opposte e che, per via della struttura scelta, convergono a un fulcro. Vicendevolmente, dunque, tutto è distribuito in modo da apparire bilanciato. Nel “Musicista”, viene espressa la precisione di un professionista che si occupa di note, con un unico punto di contrasto: forse l’errore, forse l’autonomia (la libertà stessa della musica).
Spartito |
Nello “Spartito”, le increspature morbide che lentamente affiorano dal fondo nullo, ci illustrano la soglia tra silenzio e melodia, sigillate da un pentagramma essenziale. Mi ripeto: che equilibrio cerca? «Non è facile trovare la risposta. Cerco l’equilibrio, perché è armonia. Lo cerco, ma non lo possiedo. Lo cerco, lo so riprodurre, lo riconosco, ma non mi appartiene. Talvolta mi possiede. Possiede le mie creazioni perché mi è necessario. È l’attimo perfetto che precede il caos. Insomma, non è facile rispondere. Per me colore e forma hanno un suono. Si chiama Sinestesia. Quando progetto un quadro sento questi suoni e, se non trovo l’armonia in tutte le minime parti, avverto un dissonanza sgradevole, stridente, fastidiosa, irritante. Allora ricomincio. Scompongo e ricompongo l’immagine fino a quando “sento” l’armonia che cerco. O la dissonanza che cerco. Altra cosa che caratterizza la mia produzione artistica è l’essenzialità: pochi elementi, pochi colori. Alla ricerca dell’armonia pura, spoglio l’immagine delle parti superflue, la sfrondo il più possibile fino ad arrivare ad un suono pulito, netto. In questa ricerca sono maniacale. Deve corrispondere tutto precisamente alle mie intenzioni, sia nella forma che nel colore. Posso impiegare anche diversi giorni per appiccicare un pezzettino di carta che farà la differenza nel dipinto». La differenza, o la cura, infatti, si nota.
Dario Orphée
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