Dante a Palermo (3)
(Verosimile al 50%)
7. Tornati a casa e passata la tristezza, Dante si dedicò alla ricerca disperata di un lavoro. Nonostante le conoscenze letterarie e le capacità intellettive (oggi c’è qualcuno in grado di immaginare -soltanto immaginare- complessivamente ciò che Dante ha scritto?), trovava parecchie difficoltà. Una notte, il Sommo mi svegliò schiaffeggiandomi. Inizialmente non capii cosa egli mi dicesse, perché sentivo la sua voce come se provenisse da un imbuto. Pensai fosse esploso il WC[1] e corsi alla toilette a verificare. Ma il gabinetto se ne stava quieto, lindo, addirittura con la tavoloccia abbassata. Lo salutai carezzando la ceramica e tornai a letto. Dante mi aspettava in stanza, con il volto un po’ arrabbiato. Mi schiaffeggiò ancora e mi accompagnò in cucina, perché dovevo udire “pregiate parole”. Così feci. Lo seguii, mi sedetti e poggiai sul tavolo, tra le briciole di pane, i resti della cena, i piatti e i bicchieri (non sparecchia mai nessuno in questa casa!) carta e penna per prendere appunti. Il Sommo mi disse che gli era apparso in sogno il Maestro Virgilio il quale, in videoconferenza dal suo monolocale nel Limbo, aveva raccontato una profezia. La riassumo. Seguendo l’andamento delle ultime borse, e applicando una teoria derivata dal gioco elettronico Tetris agli indici, sommando poi tutti i valori alle vendite di cioccolato e antidepressivi, Virgilio aveva ricavato l’anno esatto in cui l’umanità sarebbe ritornata all’agricoltura; tale fase venne definita, con poca fantasia, “ritorno all’agricoltura”. Ma ecco la parte più bella. Il poeta mantovano aveva affidato a Dante un compito: scrivere un libro di grammatica universale. Quando gli chiesi quale utilità avesse un libro simile, soprattutto in un mondo come quello contemporaneo (e in vista del “ritorno all’agricoltura”), egli mi schiaffeggiò per l’ennesima volta e mi rispose che un libro di grammatica universale sarebbe stato fondamentale per evitare conflitti generati dall’incomprensione dei popoli durante lo scambio globale dei semi e la divisione delle terre da coltivare. «E l’inglese?», domandai, «Non è una lingua universale? Abbiamo speso milioni di euro, ridotto l’insegnamento della letteratura italiana, dell’arte, della musica, e abbiamo perduto l’uso di alcune parole per questa lingua? Che ce ne facciamo dell’inglese? E di tutti gli interpreti e i traduttori?». Dante mi disse che l’inglese era la lingua del petrolio e del computer, non della terra (capii in parte cosa volesse dire con ciò). Pur di ritornare a dormire, gli dissi che la sua idea era meravigliosa e promisi che la mattina seguente lo avrei aiutato a scrivere il libro. Alle cinque e trenta fui risvegliato dal Sommo con i suoi gentilissimi schiaffi, e dopo la colazione mi misi al lavoro. Dante aveva preparato tutto: macchina da scrivere, registratore audio per i pensieri fugaci, thermos di due litri pieno di caffè, tranci di sfincione per i carboidrati, vassoi di cannoli per i zuccheri e una decina di bottiglie di Zibibbo se ci fosse mancata l’ispirazione (cioè: nel caso in cui le Muse, come spesso accade, preferiscano fare shopping, piuttosto di aiutare gli scrittori in crisi). Ciò che il Poeta aveva scritto era soltanto il titolo: “Liber de arte grammatica et de inflatio mentis”. Mi piacque immediatamente. Gli autori dai quali decidemmo di ricavare informazioni erano Panini, Raimondo Lullo, John Wilkins e Gottlob Frege. La forma adottata, invece, una sorta di dialogo con assiomi, corollari e dimostrazioni. Da dove iniziare? Proposi, innanzitutto, di scegliere una citazione famosa, da utilizzare come sintesi del nostro libro. Non trovando un punto in comune, decidemmo di inserire due citazioni. La mia era un verso tratto dalle “Purificazioni” di Empedocle, la sua fu la famosa “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io…” (Dante eliminò il pronome “io”, e aggiunse -carinissimamente- il mio nome). Poi, pensai che sarebbe stato opportuno inserire una prefazione. Qui, non avevamo dubbi: l’avremmo commissionata a Gennarino O’ Sentimentale, il pasticciere, che è laureato in lettere classiche ed è uno degli intellettuali più importanti che conosca[2]. L’uomo scrisse quaranta pagine di prefazione, in dialetto napoletano[3]. Il contenuto variava da un’analogia tra la grammatica italiana e la pasticceria (faccio un esempio: la farina è il soggetto, la ricotta zuccherata il complemento oggetto, ecc.) per sfornare torte e proposizioni senza errori, a come analizzare la poesia basandosi su una corretta interpretazione delle emozioni; poi, seguivano le istruzioni per costruire uno scaldabagno che permettesse l’analisi logica sotto la doccia con il vantaggio dell’acqua calda ogni mattina (risulterà utile quando ritorneremo all’agricoltura), terminando con una teoria sulle metafore associate alle papille gustative (che ci servirà per essere gentili e sentire la propria dolcezza in bocca). Le pagine ancora bianche del “Liber de arte grammatica et de inflatio mentis” aspettavano di essere imbrattate dall’inchiostro mio e di Dante. Sì. Ma mancava la questione centrale: cosa raccontare?
8) Trovammo il contenuto del “Liber de arte grammatica et de inflatio mentis”! In realtà, scopiazzammo le sceneggiature di vari film e le incollammo tra loro. Poco importa, perché il “ritorno all’agricoltura” avrebbe presupposto la perdita di tutto il patrimonio culturale mondiale (come un incendio della biblioteca di Alessandria al quadrato) e, di fatto, non sarebbe stato possibile un plagio. Ne venne fuori il racconto di una teenager che voleva diventare a tutti i costi una modella e una cantante, che riuscì a realizzare il suo sogno, che fu dimenticata dal pubblico e cadde in depressione, che la terra fu invasa da alieni, che un virus infettivo minacciava l’umanità, che la teenager scoprì di avere poteri soprannaturali, che aiutò alcuni astronauti a raggiungere Marte, che sposò un principe che dopo un bacio si trasformò in rana, che lo tradì con un maghetto con gli occhiali, che fece un calendario per i camionisti, che scrisse un libro di poesie, che divenne la dittatrice dell’universo, che dovette rifare gli esami di maturità, che instaurò un regime dopo aver letto le opere di Mary Wollstonecraft e Kate Millet, che si trasformò in formica regina e che insegnò ai suoi figli (nel periodo definito “ritorno all’agricoltura”) i principi del “Liber de arte grammatica et de inflatio mentis”. Questa era la prima parte, definita “metafisica”. La seconda, che chiamammo “etica”, trattava della nuova umanità: i figli della formica regina, annoiati dalla pace, si divisero in fazioni[4] con propri dialetti e, formando una nuova grammatica, si illusero di avere un’anima; distrussero la formica regina e formarono le società, le multinazionali e le tasse, e vissero fino al nuovo “ritorno all’agricoltura”, annunciato da un poeta catapultato nel futuro, producendo strane opere che chiamarono “arte” e con l’ossessione di non sapere perché si trovassero al mondo. Lesse le bozze Gennarino O’ Sentimentale, che le giudicò: «Nu babà!». Ecco come funzionava la grammatica universale. L’esistenza era divisa in dieci categorie le quali, a loro volta, erano divise in generi e specie. A ogni categoria era assegnata una lettera. Per esempio, in riferimento alla prima categoria: “x” significa “essere vivente”, “xy” significa “uomo/donna”, “xy-1” significa “animale/pianta”, ecc. Altro esempio, in riferimento alla quarta categoria: “q” significa “uva”, “qz” significa “vino”, “qzs” significa “grappa”, ecc. Attraverso uno schema era possibile costruire parole o frasi, partendo da una radice. Facilissimo. Erano esclusi i generi maschile e femminile (ormai superati), le consonati troppo arroganti, le vocali tranne la “i” (perché neutra -infatti, sta nel mezzo- e facile da scrivere), la copula (in quanto, finché si è nell’esistenza e non si scopre altro, essa non ha nessun senso), la domanda “che cos’è?” (perché tutto è spiegato all’interno delle dieci categorie), la logica matematica per evitare paradossi logici (come nel caso seguente: “questa proposizione dice il falso, la proposizione precedente dice il vero”, oppure: “p è q, ma forse q è p, ma p sa di essere q, e q sa di essere p, ma q sente di essere p, e q sente di essere p, p non vorrebbe essere q, e nemmeno q vorrebbe essere p, dunque p è q, q è p, ma chi lo sa se p è q o q è p, e se loro vogliono esserlo?”, ecc.) e buona parte dei complementi. Scrivemmo ininterrottamente notte e giorno per una settimana. Avendo terminato tutte le scorte alimentari (sia quelle del frigorifero, sia quelle della dispensa), cercammo dei fondi per finanziare il progetto e le nostre pance. Ovviamente, nessun editore si dimostrò con noi, e con l’umanità, lungimirante; e Fulippu Ogghiu Friutu, l’unico con una capacità di astrazione superiore alla media, non volle affatto aiutarci, anzi volle rimborsati i pacchi di cracker e i formaggini che Dante e io mangiammo. Mi rivolsi alla responsabile nel negozietto di intimo femminile in cui lavoravo, la quale decise di sostenere economicamente ciò di cui avevamo necessità e la distribuzione del “Liber de arte grammatica et de inflatio mentis” in cambio di un editoriale, poesiole avanguardiste e spazi pubblicitari tra una pagina e l’altra. Chi ha detto che la letteratura contemporanea è in agonia?
9) Proprio mentre Dante e io scrivevamo il “Liber de arte grammatica et de inflatio mentis”, Fulippu Ogghiu Friutu, che tornava dal supermercato e dal sexy shop, ci informò delle alte probabilità di impatto sull’Italia settentrionale di un satellite. Fulippu, che è un convinto sostenitore delle teorie cospirazioniste, ci disse che quella del satellite era una delle «ennesime prove per calcolare la capacità di reazione del popolo italiano in caso di minacce di vario genere». Secondo le teorie seguite da Fulippu, una società segreta internazionale, «la stessa che detta le mode, scrive i codici a barre e gli oroscopi, stampa i denari, nasconde le chiavi di casa, decide i tramonti e le albe, il passaggio dall’ora legale a quella solare e viceversa, i cambi delle stagioni, avvelena le acque minerali, crea i virus e i vaccini, le forme delle nuvole, ci dice cosa leggere, cosa mangiare, dove andare in vacanza, dove parcheggiare l’automobile, che cambia a nostra insaputa la scadenza dai prodotti alimentari, i prezzi del petrolio e, spesso, ci suggerisce cosa pensare (e fa tutto questo per puro divertimento)», avrebbe immesso un microchip, in grado di autodistruggersi, nel cervello di alcuni individui del nord Italia per testare il grado di paura e la “creatività organizzativa” in caso di impatto. «Lo hanno fatto anche con noi meridionali durante la guerra libica, qualche mese fa», disse. «Secondo me, stavolta c’è qualcosa di più grosso, di più grosso del petrolio… forse uno scontro tra ufo. Per questo motivo, miei cari, ho fatto la spesa. Non si è mai paranoici abbastanza in questo mondo», e mostrò fiero i sacchetti di plastica riciclata[5] strapieni di “riserve”. Questa notizia, tragica poiché non è per niente bello sapere di essere delle pedine nelle mani di società segrete, ci sconvolse. E così, Dante e io decidemmo di dedicare un capitolo del “Liber de arte grammatica et de inflatio mentis” alle teorie di Fulippu, intitolato “De veritate humanae: quaestiones et responsa Fulippu Ogghiu Friutu” (non sapevamo come declinare il nome del nostro coinquilino). Fulippu volle che fosse scritta in versi, che iniziasse in questo modo:
“S’i fosse foco, arderei ‘l mondo;
s’i fosse vento, lo tempestarei;
s’i fosse donna, i’ lo governerei…”,
s’i fosse vento, lo tempestarei;
s’i fosse donna, i’ lo governerei…”,
e che terminasse in maniera trionfale:
“I’m on the edge of glory
And I’m hanging on a moment of truth
Out on the edge of glory
And I’m hanging on a moment with you
I’m on the edge…”.
And I’m hanging on a moment of truth
Out on the edge of glory
And I’m hanging on a moment with you
I’m on the edge…”.
Indubbiamente, venne fuori un poema che la critica avrebbe accolto favorevolmente, o comunque avrebbe apprezzato il “sincretinismo” poetico, l’originalità “linguisticale”, la scorrevolezza “melodiosica”, la sintassi “asetticante”, la punteggiatura “biologistica” e altre strane parole “post-post-contemporanee” rubate ai designer e ai semiologi. Al termine del poemetto, Dante e io ci appisolammo sulla sedia. Strano, ma ci ritrovammo nello stesso sogno: eravamo, entrambi, il cavaliere addormentato di Raffaello che giace sotto l’albero di alloro[6]. Si avvicinarono a noi, cioè a me e a Dante dentro il corpo del cavaliere, due donne: una era in tailleur e aveva in mano tantissimi bollettini postali (tasse da pagare, con scadenza immediata), l’altra era in bikini e aveva in mano un mojito (tirava fuori la lingua e leccava sensualmente le labbra). Con il Sommo ci chiedemmo cosa scegliere e, mentre si ragionava, le donne si trasformarono in cavalli: quella in tailleur divenne uno splendido cavallo bianco e quella in bikini divenne un temibile cavallo nero. Noi due non eravamo più sdraiati, ma guidavamo una biga, alata per la precisione. A un tratto, ci scontrammo con uno scuolabus. Scesero, furenti, Plotino e Marsilio Ficino con il foglio giallo e blu della “Costatazione amichevole”. Qui ci svegliammo. C’era Fulippu Ogghiu Friuto, con il casco e completamente nudo, coperto soltanto da un cinturone legato alla vita, che stava smontando la casa. Gli dissi: «Notizie del satellite?». Lui rispose: «Quale satellite?», e ci guardò come se volesse ammonirci. Su un pezzo di carta scrisse: “NESSUN SATELLITE. STATE ZITTI. STO CERCANDO LE CIMICI. COMPRATE LA CARTA IGIENICA: L’HO DIMENTICATA”, e con una ventosa si diresse verso il lavabo per sturarlo. Riguardo al satellite, nei giorni seguenti leggemmo sui quotidiani che i calcoli erano errati, ma soltanto di qualche migliaio di chilometri. Siamo in buone mani[7].
Dario Orphée
[1] Forse stavo sognando questo.
[2] Gennarino, qualche anno fa, ha inciso alcune sue poesie sulla spiaggia di Mondello per protestare contro gli editori che non lo hanno mai preso sul serio. Purtroppo, le poesie sono state cancellate dal mare e dai bagnanti pochi minuti dopo.
[3] Il napoletano è, a mio avviso, uno dei dialetti italiani più belli.
[4] Tra le fazioni, vi erano: chi non credeva che tutto fosse stato originato dalla formica regina, chi credeva che tutto fosse stato originato dalla formica regina, chi credeva che al pianeta terra ci fossero attaccati un paio di joystick e un caricabatterie, chi credeva che la vita fosse un sogno, chi credeva che la vita fosse un incubo, chi credeva che la vita fosse il raglio di un ciuchino, chi credeva che l’universo fosse il vomito di un buco nero, chi credeva di appartenere a una razza superiore, chi credeva di possedere sangue con i colori dell’arcobaleno, chi credeva che tutti fossero fratelli, chi credeva che tutti fossero cugini, chi credeva che nessuno fosse parente, chi pensava di essere stato scelto, chi voleva la secessione perché era del nord dunque superiore a quelli del sud, chi voleva la secessione perché era del sud dunque superiore a quelli del nord, chi era dell’est e andava verso ovest, chi era dell’ovest e non sapeva dove andare, chi intendeva trovare una soluzione al caos abolendo l’aristocrazia, chi intendeva trovare una soluzione al caos abolendo il proletariato, chi voleva la proprietà privata, chi voleva l’assenza del governo, chi riteneva che gli scimpanzé avessero capacità magiche, chi invece pensava che un totalitarismo avesse risolto ogni problema, chi era bianco e aveva paura dei neri, che era nero e aveva paura dei bianchi, chi voleva il caffè zuccherato, chi voleva il caffè amaro, chi la pasta al dente, chi non voleva la minestra, chi si sentiva bello e odiava i brutti, chi era brutto e veniva condannato come se fosse colpa sua, chi era ricco e soffocava i poveri, chi voleva l’acqua privatizzata, chi voleva l’energia nucleare, chi esercitava la virtù, chi rispettava l’ambiente, chi rispettava i cani, chi rispettava solo i gatti, chi non voleva il passato, chi non voleva il presente, chi non voleva il futuro, chi solo i congiuntivi, chi pensava che le fazioni servissero a poco, chi era incerto, chi era deluso, ecc.
[5] Quelli che puzzano di pollo fritto e che ti permettono di compiere un paio di metri: dalle casse, alle porte automatiche del supermercato.
[6] Il nome del dipinto è “Il sogno del cavaliere”, del 1504, conservato alla National Gallery di Londra (ma perché si trova a Londra?).
[7] Riguardo a Fulippu, invece, niente da dire. A tarda notte fuggì e, per circa un paio di giorni, perdemmo le sue tracce. Fu rinvenuto alle pendici dell’Etna da un gruppo di geologi islandesi i quali, gentilmente, lo riaccompagnarono a casa. È la decima volta che accade.