Consigli ai naviganti da un marinaio di terra
di Roberto Carlo Delconte
Quaderni della Biblioteca "P.A. Soldini", 2011 (I ed. 2010)
184 pp., € 10,00
Non c’è pagina del libro di
Roberto Carlo Delconte che sia priva di una citazione, se non colta almeno
significativamente riflessiva, a partire dall’introduzione o meglio, come viene
definita dallo stesso autore, dalla “quasi prefazione”. Qui l’autore, con stile sobrio e
discorsivo, cerca di spiegare i diversi motivi, e il “tormentato” processo, che l’hanno
indotto a scegliere il titolo del libro.L’analisi non è per niente
sterile vista la stridente dicotomia tra il titolo principale, “lezioni castelnuovesi”, dal sapore
provinciale, e il sottotitolo, “consigli
ai naviganti da un marinaio di terra”, quasi filosofico o coleridgiano.
E’ lo stesso Delconte a
precisare:
L’aggettivo ‘castelnuovese’ acquista per me non una valenza campanilistica, chiusa e riduttiva della mia esperienza umana e culturale, ma - al contrario - rappresenta un approdo di salvezza [il grassetto è mio] per il suo valore dimostrativo di verità vissuta, provata e concreta.
Questo approdo rileva due fondamentali
aspetti.Il primo, legato ai “consigli ai naviganti”, è che questo “marinaio
di terra” vorrebbe “offrire, con il massimo possibile di chiarezza, un forte
stimolo alla riflessione” e per questo ricorre in maniera estesa a diversi
pensatori o a personaggi illustri, antichi o moderni, in particolare dell’area
cattolica. Il secondo aspetto riguarda
invece l’importanza data alla vita vissuta, intesa sia come
riflessione spirituale sia come episodi di vita quotidiani (anche se raccontati
da altri o provenienti da letture sparse) curiosi e istruttivi o curiosamente
istruttivi.
Il libro si divide in tre
rubriche: Oblò, Clessidra castelnuovese e Accordi e mantiene una struttura quasi
da blog, con sprazzi di pensiero e un’asistematicità credo voluta.La prima parte è più religiosa, a
volte teologica, e pertanto più ardua o meno interessante da leggere per un non
credente.In realtà alcune delle
riflessioni-citazioni contenute in questa parte sono delle vere perle di
saggezza, di sobrietà e tolleranza, con riferimenti (tra gli altri) a
Yourcenar, Pasteur, Coelho, Eistein, Bobbio, Turati.
La rubrica di mezzo (“pagine di
un diario privato”) è la più rappresentativa del titolo e anche quella più
interessante. Le “lezioni castelnuovesi” di cui parla Delconte non sono, come si può
pensare di primo acchito, quelle “impartite” dall’autore ma quelle a lui donate
dagli amici castelnovesi: lezioni non elargite o da elargire ma ricevute,
acquisite come prezioso insegnamento. Castelnuovo Scrivia è un piccolo paese
piemontese ai confini con la Lombardia che può vantare di aver dato i natali al
cinquecentesco novelliere boccacciano Matteo Bandello e al giornalista
scrittore Pier Angelo Soldini, autore di tre libri molto interessanti: La forma
della foglia, Il cavallo di Caligola, Il giardino di Montaigne. Di questi illustri predecessori
Dalconte trae, quasi come un’eredità biologica-geografica, la concezione
dell’esistenza umana costantemente costellata da “infinità di episodi e ‘mistura
d’accidenti’ che comportano la rinuncia a “stabilire categorie e legami, di
rappresentare tutto” e dove l’unica possibilità è “fissare, caso per caso,
quello che colpisce in ordine alla stravaganza, al particolare,
all’imprevedibile del reale” (cit. Donatella Donati, Il novelliere di Matteo
Bandello).
L’ imprevedibilità con Delconte diventa
opportunità di riflessione.Succede questo, ad esempio, nella
“lezione castelnuovese” della Fuga in
moto dove l’episodio raccontato da Gramellini (giornalista noto a un vasto
pubblico grazie alla rubrica all’interno della trasmissione tv Chetempochefa)
diventa l’occasione per riflettere sul valore del lavoro e il suo rapporto con
il senso dell’esistenza: un orologiaio, compagno di Obama, racconta che avevano
entrambi dei sogni, uno voleva diventare presidente degli Stati Uniti e l’altro
appunto orologiaio: “ce l’abbiamo fatta tutt’e due” dirà quest’ultimo con
orgoglio.
Oppure ne Il consigliere invisibile dove si riflette sull’uomo che “guarda
le apparenze e considera di più l’autorità del soggetto parlante piuttosto che
la verità delle parole dette” (a chi non è mai successo di esprimere le stesse
opinioni di una persona “autorevole”, senza ottenere lo stesso entusiastico trattamento?). In altre parti, invece, prevale il gusto per gli aneddoti, come negli Orologi bizzarri, dove l’autore racconta di aver presentato un
giorno un orologio guasto all’orologiaio che stupito gli fa notare che
l’orologio aveva la stessa identica ora (e minuti) di quando si era fermato: una
curiosa e strana coincidenza (“esisterà il caso?”).O ancora nelle Confessioni di un salumaio dove un salumiere presentava a tavola
un salame intero ai propri ospiti-clienti perché aveva notato che, quando era
servito a tavola ben tagliato, gli ospiti tendevano a consumarne di più
(“geniale trovata o basso calcolo di trattenuta ospitalità?”).
L’ultima rubrica, più breve,
contiene delle riflessioni un po’ più laiche e vagamente filosofiche. Il titolo Accordi è probabilmente legato ad una frase di P.A. Soldini:
Essere in disaccordo [il grassetto è mio] con il proprio tempo può essere anche una colpa.
L’intenzione dell’autore sembra,
infatti, quella di trovare una sintesi (accordo) tra la realtà vissuta e l’impegno
necessario per affrontarla, di essere figlio partecipe del proprio tempo, anche
quando le riflessioni o gli argomenti sono più generali o atemporali.
Su Soldini, Dalconte ritorna
spesso in tutto il libro, a volte eccedendo ( ci sono ben cinque citazioni tra
le otto pagine della prefazione e quasi tutti gli Accordi sono sviluppi esplicativi del pensiero del giornalista de “La
Stampa”), ma lo possiamo ritenere un omaggio, dovuto e comprensibile, ad un
acuto scrittore, ingiustamente ancora poco conosciuto al grande pubblico.Un libro dunque di vasto respiro,
con ampi spunti, troppe citazioni, alcune ripetizioni (effetto indiretto dello
stile aneddotico), qualche banalità (nel senso che esprime a volte concetti di ordinaria
e diffusa conoscenza), e qualche imperdonabile errore di editing.
Dostoevskij diceva: “Vuoi essere
universale? Parla del tuo villaggio”. Roberto Carlo Delconte parla appunto del suo villaggio per essere
universale, con moderata umiltà ma con vasta cultura e verace passione, “senza
alcuna superbia, ma anche senza alcuna eccessiva timidezza”.
Giuseppe Savarino
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