Steve Jobs
di Walter Isaacson
Mondadori, 2011
pp. 642
€ 20
Abbiamo imparato a portarci in tasca un migliaio di brani; abbiamo capito che un pc può essere potente ma anche bello come un oggetto di design; abbiamo riso e pianto tornando un po’ bambini (se più non lo eravamo) con dei film d’animazione che definire “cartoni animati” è decisamente riduttivo.
E negli ultimi anni abbiamo scoperto che telefonare e mandare sms non sono più le attività principali di un telefono cellulare e ci siamo avvicinati con curiosità ma anche con un certo timore reverenziale ad una “tavoletta” di cui per un pezzo non ne abbiamo capito fino in fondo il significato.
Tutto questo – e molte altre cose- è stato possibile in buona parte grazie alle intuizioni di Steve Jobs, il fondatore della Apple scomparso lo scorso Ottobre. In questi vent’anni in cui quel ragazzo di Cupertino ha in qualche modo rivoluzionato il nostro modo di guardare alla tecnologia, abbiamo imparato a conoscerne la divisa standard con cui sistematicamente si presentava in pubblico, il gusto per quelle presentazioni ad effetto seguite da ovazioni da rockstar, le dichiarazioni dirette e la sottile ironia mista ad una mai celata sicurezza di sé e del marchio che rappresentava.
Ma la verità è che lui, Steve –come se davvero per un po’ fosse stato uno di noi- non lo conoscevamo: vedevamo in lui il sogno, la follia visionaria, la scintilla nello sguardo di un ex pirata di Cupertino rimasto in qualche modo sempre legato alla cultura hacker. Ne intuivamo forse la forse personalità e un po’ di quella stravaganza da figlio degli anni ’70, i capricci da primadonna, la cura quasi maniacale per i dettagli. Tuttavia del carattere ruvido, delle manie, delle carenze affettive, delle lotte e delle sconfitte, forse non sapevamo nulla, stregati come tanti da quel carisma travolgente che sapeva emanare.
Il merito maggiore di Walter Isaacson, già autore di celebri biografie ed ex caporedattore di “Time”, è quindi quello di averci restituito nelle 608 pagine dell’unica biografia autorizzata di Jobs, il ritratto finalmente a tutto tondo dell’uomo dietro il mito, senza false celebrazioni, timori o speculazioni, soltanto il profilo completo e sincero di un’icona del nostro tempo. Il risultato è una biografia ricca ed estremamente dettagliata, frutto di una lunga ricerca libera da qualsiasi interferenza da parte di Jobs, che ha potuto leggere queste pagine prima della scomparsa nella sua casa di Palo Alto lo scorso Ottobre.
Isaacson ripercorre l’ascesa che ha portato Steve dal garage della casa di famiglia alla creazione della Apple, le prime sfide e progetti, la sua estromissione, l’avventura con la Pixar, fino al suo reintegro nell’azienda quasi colata a picco, e gli ultimi progetti, in un percorso mai facile, scandito da successi e ovation di pubblico così come da cadute e azzardi clamorosi.
Ma è anche e soprattutto dicevamo la storia di un uomo dalla personalità estremamente ingombrante, sicuro del proprio potenziale al punto da considerarsi libero da ogni condizionamento e imposizione sociale, dal carattere scostante, a tratti iracondo, capace di manipolare la realtà e le persone che lo circondano che finiscono inevitabilmente per infatuarsi di quel capo stravagante, quasi impossibile da accontentare, che non conosce limiti né mezze misure. Dalle eccentriche –e insane- abitudini alimentari intervallate da digiuni, alle esperienze giovanili con LSD, la propensione a trascurare l’igiene personale, la sregolata vita sentimentale di gioventù, fino alle crisi isteriche, i licenziamenti, la difficoltà di fare team, i rancori e le sofferenze.
Eppure, dietro un carattere tanto difficile e ingombrante il mito non viene intaccato: è l’uomo capace di farsi assorbire completamente da un progetto fino a renderlo perfetto, che non si lascia scoraggiare dai limiti imposti dalla tecnologia ma sempre pronto a superarli, con la stessa maniacale attenzione per funzionalità e dettagli, dalle scocche all’imballaggio fino agli Apple Store, veri e propri templi dell’icona Apple. La caparbietà che contraddistingueva Jobs e la passione cieca in ogni suo progetto, impossibili da contenere, e spesso inconciliabili con la vita privata di marito e padre spesso distratto e assente.
E poi la malattia: l’incapacità di Jobs di affrontare una situazione che non può controllare ne distorcere, il rifiuto a cui seguono le battaglie per sconfiggerla, la momentanea ripresa, il male che consuma sempre più. L’ultimo definitivo ritiro dall’amata Apple e quel passaggio di testimone ad uomo tanto diverso da Jobs eppure egualmente devoto alla società e ai principi che ne hanno fatto la storia.
Un ritratto completo, che non ha mancato di suscitare alcune polemiche, ma che resta ad oggi il più sincero omaggio a Jobs, al genio e all’uomo, capace nonostante tutto di ispirarci con la freschezza della sua visione: “Stay hungry, stay foolish”.
di Walter Isaacson
Mondadori, 2011
pp. 642
€ 20
Abbiamo imparato a portarci in tasca un migliaio di brani; abbiamo capito che un pc può essere potente ma anche bello come un oggetto di design; abbiamo riso e pianto tornando un po’ bambini (se più non lo eravamo) con dei film d’animazione che definire “cartoni animati” è decisamente riduttivo.
E negli ultimi anni abbiamo scoperto che telefonare e mandare sms non sono più le attività principali di un telefono cellulare e ci siamo avvicinati con curiosità ma anche con un certo timore reverenziale ad una “tavoletta” di cui per un pezzo non ne abbiamo capito fino in fondo il significato.
Tutto questo – e molte altre cose- è stato possibile in buona parte grazie alle intuizioni di Steve Jobs, il fondatore della Apple scomparso lo scorso Ottobre. In questi vent’anni in cui quel ragazzo di Cupertino ha in qualche modo rivoluzionato il nostro modo di guardare alla tecnologia, abbiamo imparato a conoscerne la divisa standard con cui sistematicamente si presentava in pubblico, il gusto per quelle presentazioni ad effetto seguite da ovazioni da rockstar, le dichiarazioni dirette e la sottile ironia mista ad una mai celata sicurezza di sé e del marchio che rappresentava.
Ma la verità è che lui, Steve –come se davvero per un po’ fosse stato uno di noi- non lo conoscevamo: vedevamo in lui il sogno, la follia visionaria, la scintilla nello sguardo di un ex pirata di Cupertino rimasto in qualche modo sempre legato alla cultura hacker. Ne intuivamo forse la forse personalità e un po’ di quella stravaganza da figlio degli anni ’70, i capricci da primadonna, la cura quasi maniacale per i dettagli. Tuttavia del carattere ruvido, delle manie, delle carenze affettive, delle lotte e delle sconfitte, forse non sapevamo nulla, stregati come tanti da quel carisma travolgente che sapeva emanare.
Il merito maggiore di Walter Isaacson, già autore di celebri biografie ed ex caporedattore di “Time”, è quindi quello di averci restituito nelle 608 pagine dell’unica biografia autorizzata di Jobs, il ritratto finalmente a tutto tondo dell’uomo dietro il mito, senza false celebrazioni, timori o speculazioni, soltanto il profilo completo e sincero di un’icona del nostro tempo. Il risultato è una biografia ricca ed estremamente dettagliata, frutto di una lunga ricerca libera da qualsiasi interferenza da parte di Jobs, che ha potuto leggere queste pagine prima della scomparsa nella sua casa di Palo Alto lo scorso Ottobre.
Isaacson ripercorre l’ascesa che ha portato Steve dal garage della casa di famiglia alla creazione della Apple, le prime sfide e progetti, la sua estromissione, l’avventura con la Pixar, fino al suo reintegro nell’azienda quasi colata a picco, e gli ultimi progetti, in un percorso mai facile, scandito da successi e ovation di pubblico così come da cadute e azzardi clamorosi.
Ma è anche e soprattutto dicevamo la storia di un uomo dalla personalità estremamente ingombrante, sicuro del proprio potenziale al punto da considerarsi libero da ogni condizionamento e imposizione sociale, dal carattere scostante, a tratti iracondo, capace di manipolare la realtà e le persone che lo circondano che finiscono inevitabilmente per infatuarsi di quel capo stravagante, quasi impossibile da accontentare, che non conosce limiti né mezze misure. Dalle eccentriche –e insane- abitudini alimentari intervallate da digiuni, alle esperienze giovanili con LSD, la propensione a trascurare l’igiene personale, la sregolata vita sentimentale di gioventù, fino alle crisi isteriche, i licenziamenti, la difficoltà di fare team, i rancori e le sofferenze.
Eppure, dietro un carattere tanto difficile e ingombrante il mito non viene intaccato: è l’uomo capace di farsi assorbire completamente da un progetto fino a renderlo perfetto, che non si lascia scoraggiare dai limiti imposti dalla tecnologia ma sempre pronto a superarli, con la stessa maniacale attenzione per funzionalità e dettagli, dalle scocche all’imballaggio fino agli Apple Store, veri e propri templi dell’icona Apple. La caparbietà che contraddistingueva Jobs e la passione cieca in ogni suo progetto, impossibili da contenere, e spesso inconciliabili con la vita privata di marito e padre spesso distratto e assente.
E poi la malattia: l’incapacità di Jobs di affrontare una situazione che non può controllare ne distorcere, il rifiuto a cui seguono le battaglie per sconfiggerla, la momentanea ripresa, il male che consuma sempre più. L’ultimo definitivo ritiro dall’amata Apple e quel passaggio di testimone ad uomo tanto diverso da Jobs eppure egualmente devoto alla società e ai principi che ne hanno fatto la storia.
Un ritratto completo, che non ha mancato di suscitare alcune polemiche, ma che resta ad oggi il più sincero omaggio a Jobs, al genio e all’uomo, capace nonostante tutto di ispirarci con la freschezza della sua visione: “Stay hungry, stay foolish”.
Debora Lambruschini