di Vincenzo Rabito
Einaudi, 2007
pp. 411
“Un involontario manuale di sopravvivenza”: così lo ha definito Andrea Camilleri. E sembra proprio un Camilleri rustico e aspro questo sorprendente diario scritto alla fine degli anni ’60 da un anziano bracciante siciliano, semianalfabeta ma dotato di intelligenza e lucidità invidiabili, che narra la storia d’Italia del ‘900, passando attraverso i massacri delle guerre mondiali, la colossale farsa del Fascismo, l’avventura coloniale, l’avvento della Repubblica. Una storia (anzi, una Storia) vissuta e subita in prima persona e riportata fedelmente e in modo particolarissimo.
Einaudi, 2007
pp. 411
“Un involontario manuale di sopravvivenza”: così lo ha definito Andrea Camilleri. E sembra proprio un Camilleri rustico e aspro questo sorprendente diario scritto alla fine degli anni ’60 da un anziano bracciante siciliano, semianalfabeta ma dotato di intelligenza e lucidità invidiabili, che narra la storia d’Italia del ‘900, passando attraverso i massacri delle guerre mondiali, la colossale farsa del Fascismo, l’avventura coloniale, l’avvento della Repubblica. Una storia (anzi, una Storia) vissuta e subita in prima persona e riportata fedelmente e in modo particolarissimo.
Vincenzo Rabito dal 1968 al 1975, all’insaputa di tutti, scrive la storia della sua vita “maletratata e molto travagliata e molto desprezata” utilizzando una vecchia macchina da scrivere. Più di mille pagine a margine zero, praticamente illeggibili per l’uso del punto e virgola a separare ogni parola, scritto in un ostico quanto meraviglioso idioma italo-siciliano (qui il parallelo con Camilleri). Dopo la sua morte, il diario viene ritrovato dai figli e inviato al Premio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano dove nel 2000, definito “il capolavoro che non leggerete”, vince addirittura il primo premio.
Nonostante i rischi derivanti dalla difficile leggibilità, Einaudi decide di pubblicarne, nel 2007, una versione ridotta a quattrocento pagine, lasciando pressoché intatto il lessico in modo da restituire completamente il fascino e il sapore della narrazione, che sembra fatta da un cantastorie di strada e che inchioda il lettore alle pagine, rendendo impossibile staccarsi da ciò che è simile al procedere in una fitta giungla, faticoso e irto di ostacoli ma anche di continue sorprese che rapiscono e lasciano sbalorditi e increduli.
Rabito, classe 1899, attraversa guerre sanguinose e dopoguerra altrettanto problematici, costantemente impegnato a combattere la fame più che i nemici alla frontiera. È puro istinto di sopravvivenza, infatti, quello che porta Vincenzo ad approfittare di ogni situazione escogitando trucchi e sotterfugi per cercare di trarne beneficio; queste vicende, raccontate con il massimo candore e con disarmante realismo, rivelano la figura di un “ultimo”, un uomo solo costretto a lottare con qualsiasi mezzo di volta in volta contro Austriaci, esercito, carabinieri, burocrazia, padroni e caporali, in una guerra guerreggiata perfino fra le mura domestiche, con i problemi economici e con un matrimonio combinato non felice ma che gli dà tre figli, uno dei quali riuscirà a laurearsi rendendolo orgoglioso per questa sorta di rivincita sociale, unico risultato positivo di una vita ingrata.
Insomma, un libro imperdibile.
Stefano Crivelli