Chiaroscuri
Alessandro Castagna
puntoacapo Editrice, 2011
pp. 64
L’esordio poetico di Alessandro Castagna è all’insegna di una delicatezza che raccoglie le diverse sollecitazioni, le diverse tonalità dell’esperienza (l’epifania del paesaggio, la ferita momentanea di un’incomunicabilità, la dedica a figure care o scomparse, la riflessione scaturita da un viaggio), il più possibile senza alterarne la prima percezione, o risonanza, nel soggetto poetico.
Soggetto e oggetto convivono, smussati, in un chiaroscuro le cui gradazioni dicono di una reticenza al giudizio, alla volontà di modificare che è propria della ragione: qui la scrittura si affida spesso a un’osmosi sensuale, al contatto prima della sua rielaborazione intellettuale. A tal proposito, nella sua bella prefazione, il poeta Stefano Maldini parla a ragione di una “volontà di non arrestarsi mai a un’impressione definitiva” e di “spazi nuovi, assolutamente fluidi”, che sono “luoghi privilegiati di transito e di trasformazione su cui spesso si concentra l’attenzione dell’autore”.
Chiaroscuri come presenza sfumata di diversità dunque; ma anche, più concretamente, come indice di sensibilità pittorica già nel titolo del libro e dell’eponima sua prima sezione. Sensibilità rilanciata anche dalla seconda sezione, Acquerelli, dove si concentrano i testi più ancorati al paesaggio: quello delle colline toscane, dove l’autore si reca di frequente; ma anche di realtà metropolitane, benché còlte nei loro aspetti meno stranianti: un giardino a Milano, stilizzato dal ricordo, o le “ombre ballerine” a far visita al cimitero ebraico di Berlino.
In particolare, una miscela riuscita di evocazione lirica e risalto dell’immagine è in Moncigoli:
A Moncigoli, il sole preme vasto
sui silenzi, gli ulivi oltre le siepi.
Il mio cane e io, sul ciglio strada,
solo la luce contro.
Meno direttamente legata al paesaggio, ma altrettanto sensibile a rifrazioni cromatiche, anche di natura psicologica, è la sezione Chiaroscuri, che si apre con Sala d’attesa, a mio parere una delle poesie più riuscite del libro, dove uno sfondo cittadino compenetra un incontro assolutizzato nell’attimo di un’affermazione, con passi di memoria luziana:
“Lo vedi? Quello
è il mio tempo”
mi disse breve,
senza commiserarsi,
dal gorgo del suo dolore.
Altrove, la scomposizione rischia l’astrattezza, e si ha la sensazione di un testo irrisolto (“L’occhio fruga gli spiragli, / cerca un appiglio, ferisce l’orizzonte. / Poi inciampa: s’accorda / alle distanze della notte”): questi esiti, pochi per la verità, testimoniano un apprendistato inevitabilmente in fieri, in cui comunque una giusta disposizione all’autocritica e al miglioramento daranno senz’altro frutti all’altezza delle più riuscite poesie di questo libro.
Come Museo ebraico, diversa dalla maggior parte delle altre poesie, sia per tema sia per stile e svolgimento: rapidi accenni all’architettura del museo (zigzagante, iconica della storia ebrea nei millenni) si intrecciano con lacerti di storia drammatica, in un ritmo percussivo e solido come il cemento. Per averne un’idea, riporto la terza e ultima strofa della poesia:
L’asse della continuità che porta
alla memoria lucida, allo sguardo
nello sguardo – tragitto arduo, sali
i mille gradini, ma non contare! –.
La stella tormentata è un edificio
zigzagante, le pareti di zinco
alzano le mani, implorano almeno
di non dimenticare.
È questo un Castagna più narrativo, che si confronta più apertamente, che “rischia” di più insomma; e credo che l’asse menzionata nel testo sia anche una di quelle da seguire e approfondire nelle opere future dell’autore, senza per questo rinunciare a quella capacità quasi orientale di rendere l’istante di per sé e con pochi tratti efficaci, come in La mia dimora: “La mia dimora / un filo di silenzio questa sera / i cinque girasoli, i moscerini / che ronzano nell’aria”.
Delle rimanenti sezioni, Distanze è forse la più intensa, incentrandosi sui rapporti umani, sulla difficoltà della vicinanza, sulla sua troncatura tragica o comunque inevitabile, come nelle toccanti A mia nonna e Tornerà in luce. È singolare che, proprio in questa sezione, venga dato spazio al tema metapoetico e/o metalinguistico, a lasciare intendere che spesso le distanze sono tali perché la comunicazione non si attua, come in Mai giunse la risposta:
Mai giunse la risposta
all’indirizzo atteso,
orfane le sillabe
sul fondo scuro
della posta.
(Il filo s’è spezzato,
lacero il suono
fra i due nomi)
Sul piano metapoetico, non mancano accenni orfici, che però mi sembrano meno credibili: “Ho varcato la soglia, / toccato la poesia: / le mani si sono insanguinate” (Si stringe la tua voce). In generale, allo stupore del paesaggio delle due prime sezioni si sostituisce la constatazione di una crisi, sinceramente sofferta ma mostrata con pudore. Naturale contraltare, la positività di Rinascite, sezione in cui il soggetto si rigenera disperdendosi empaticamente nella natura e nel cosmo: “ma è adesso che mi perdo / se il cielo s’inchina / e cade sulle dita. // Ed ecco che rinasco, / me stesso dietro l’altro”. A questo olismo, a questa capacità di ricomposizione e intrecciarsi di trascendenza e immanenza, non è certo estraneo l’influsso di poetesse e scrittrici care a Castagna (Emily Dickinson in primis, ma anche Virginia Woolf e Antonia Pozzi), al punto che spesso le citazioni dalle loro opere, più che integrare il discorso dell’autore, sembrano addirittura indirizzarlo o esserne la premessa. Se una piena maturità poetica si può realizzare solo dopo un distacco critico dalle stesse voci amate, l’averle già così profondamente ascoltate e fatte proprie è tuttavia un punto ineludibile di partenza, una condizione necessaria alla poesia.
Davide Castiglione
Davide Castiglione
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Alessandro Castagna è nato nel 1978 a Milano, città dove tutt’ora risiede. Insegna inglese e italiano come lingua seconda. Alcune sue poesie sono apparse sull’antologia Tredici Cadenze, Giovani poeti in Pavia (puntoacapo, 2011) e sulla rivista Farepoesia. Il suo sito personale è AlessandroCastagna1978