Zagreb
di Arturo Robertazzi
Aisara, Cagliari 2011
pp. 124
€ 14,00
“Tu lo hai letto in cartaceo o in digitale?”. Questa la domanda che ho fatto ad un amico non appena riposto Zagreb sul mio comodino. Dopo aver passato gli ultimi mesi a discutere di editoria digitale ed ebook, è nata spontanea una considerazione: Zagreb va letto su carta. Perché è un libro polveroso, fatto di fango e muffe. E quando leggi della guerra e della sua cruda desolazione, toccando le pagine ruvide assapori la vischiosità dell’aria pesante; e quel rumore del foglio che gira aprendoti la strada ad un nuovo terribile fiume di parole, per un momento rompe il silenzio interiore che il racconto ha creato.
Puntare! Mirare! Sparare!
A volte, invece, quando la storia fa un passo indietro ai periodi di chiacchiere, risate e caffè all’italiana, quando tra le lacerazioni di mura sporche e precarie si intravede un raggio di sole e il verde dei prati, anche lì il leggero soffio d’aria che provocano i fogli, regala un respiro, un sospiro di sollievo.
Lasciamo andare la bicicletta. Corriamo verso il fiume che scivola creando schiume bianche e deboli mulinelli, e crolliamo sulla sabbia umida di aprile. Guardo il sole, stringo gli occhi, e guardo il sole.
«Pensi a lei?» Dražen rompe il silenzio.
Sospiro.
Questo di Arturo Robertazzi è uno degli esordi più coraggiosi che io abbia avuto occasione di leggere. Scrivere della ex Jugoslavia e raccontare la follia del conflitto non è un compito facile soprattutto se si ci si allontana dalla cronaca per scegliere un percorso differente. I personaggi sono “il frutto della fantasia dell’autore”, così si legge in fondo al libro; eppure sembra tutto molto reale e, probabilmente, lo è stato davvero.
Lo studio e la ricerca che ci sono alla base si percepiscono ma non emergono, ed è sufficiente una città, Zagabria, per dire quanto basta sul periodo storico in cui si collocano gli eventi. Il resto lo fa il conflitto interiore di un uomo, la guerra, quella dell’anima, tra il “dovere” e l’amore, tra il disprezzo di sé e le ripetute giustificazioni cui si lega l’altalenarsi dello stato d’animo del lettore, sospeso tra rabbia, disprezzo, pietà; confuso tra pensieri irrazionali e domande cui è difficile dare risposta, spaventato da paure che non appaiono più così lontane.
Mi sentivo dire quelle parole, recitare quella parte, ma cos’ero diventato? La risposta era semplice: eravamo nemici.
E solo per una casualità noi della base eravamo i più forti.
Ma se ci fossero stati loro al nostro posto, non avrebbero forse fatto lo stesso?
E se quel potere fosse stato nelle mani di Dražen, cosa avrebbe fatto lui al mio posto?
Avevo forse scelta? Io dovevo farlo.
Zagreb mi ha spiazzata perché è trasparente. Non nasconde né enfatizza, ma semplicemente racconta ed emoziona, e ti lascia lì, fragile e piccola, come una bambina stretta in un cappotto blu.
Silvia Surano
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