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Pillole d'autore - Emilio Cecchi di AMERICA AMARA

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Non c’è bisogno di dilungarsi in presentazioni per Emilio Cecchi (Firenze, 1884- Roma, 1966) uno dei grandi maestri della critica letteraria del Novecento in particolare della letteratura italiana e anglosassone. Scrittore e saggista, svolse anche un’intensa attività giornalistica caratterizzata da estrose osservazioni dei fenomeni culturali e America amara (1939) ne è una testimonianza, insieme a Messico (1932), Et in Arcadia ego (1936), Appunti per un periplo dell’Africa (1954).

In America amara sono raccolte, come scrive lo stesso Cecchi, “impressioni, osservazioni e memorie di due miei soggiorni abbastanza lunghi negli Stati Uniti e nel Messico”. Ed è ancora lui a rivelarci il perché del titolo: 
“Mi sedusse, per il titolo, un’allitterazione cui davano abbrivo: Amica America di Jean Giraudoux, Amusante Amérique di Adrien de Meeus, America primo amore di Mario Soldati. Seguitando per quella strada, e con nell’orecchio anche il maremma amara d’una canzone del vecchio bracciante toscano, ho forse finito per trovare un’assonanza ormai in ogni senso più esatta.”
Impressioni che si fanno letteratura, osservazioni che ci ricordano quanto l’America conservi ancora oggi del suo carattere descritto in queste pagine. Gli Stati Uniti che credono ancora ci sia un west ad attenderli e quel Messico violento sorvolato ancora da zopilotes, gli avvoltoi che si cibano di polvere e morte.

(Edizione di Riferimento: Emilio Cecchi, America amara, Franco Muzzio Editore, 1995)
Da sinistra: A. Bartoli, R. Longhi, E. Cecchi


GRATTACIELI
“Fu Bernhard Berenson che giungendo dal mare a Nuova York e scorgendo i primi grattacieli, li paragonò alle torri di San Gemignano. […] Ma un altro pellegrino americano, Henry James, che aveva con l’America un fatto personale, alla vista dei primi grattacieli non rattenne il sarcasmo e disse che a lui il profilo di Nuova York faceva solo venire in mente -un pettine che ha perso molti denti- […] Caddero la torre di Babele, le moli di Ninive e di Babilonia; e cadranno i grattacieli.”

IL PRESIDENTE E I SUOI SCUDIERI
“Quando gli scioperanti o disoccupati americani si mettono di picchetto davanti alle ditte e agli stabilimenti, sia per una semplice manifestazione di sciopero […] la polizia riconosce il diritto di manifestare a una rappresentanza di sette o otto e ordina agli altri di sciogliersi. […] Rabbiosamente il discorso cadeva di continuo su questo ritornello - Quattordici dollari alla settimana per mantenere tutta una famiglia- […] E dalle vetrine e sui marciapiedi l’ammasso dei prodotti e gli avvisi pubblicitari del sapone da barba, dei busti , delle calze e della salumeria, proclamano a vivace ottimismo l’incrollabile ottimismo dell’industria americana […] che vuol persuaderci della sua incrollabile volontà di servire. Il nostro ideale è di render felice il cliente.”

INTELLETTUALI E DILETTANTI
“Quando nel dopoguerra, Clemenceau tornò da un viaggio in America, i cronisti sulla banchina di Le Havre gli chiesero la sua opinione degli americani. […] egli se la sbrigò in due battute : - Non hanno idee generali. E fanno un pessimo caffè- […] Gli americani non hanno idee generali, ammettiamolo. Ma nessun popolo è così persuaso d’averne. […] Nulla, d’ordinario, riesce più misero, monotono e più denutrito d’una conversazione americana […] Quando sono prudenti e servili, la loro evasività arriva ad un punto che vi scoraggia e disarma. A un’obbiezione che manda all’aria tutte le loro difese, rispondono con un sorriso […] non la raccolgono. […] Sentirsi sicuri mentalmente e materialmente: questo è il grande quesito, l’unico e vero ideale americano”

DOMENICA IN HARLEM
“Triste la domenica in terra puritana. […] Fortunatamente, al quartier negro la domenica non viene presa in un senso così letterale. Nelle prime ore del pomeriggio, in certi bracci di strade chiuse ai veicoli, si organizzano grandiose partite di hockey su pattini. Sui marciapiedi assiste una folla d’ogni colore […] sono fisionomie, specialmente di donne, pur giovani, che in una loro umiliata immobilità serbano qualcosa di pazzo e vociferante; quasi che i volti siano rimasti paralizzati, nell’atto d’urlare, senza che più si senta la voce.”

PICCOLA BORGHESIA NEGRA
“Circa trent’anni fa, con le loro musiche e danze, i negri cominciarono ad affermarsi nei locali di moda. Ed effettuarono così una grande conquista. Parlo degli svariatissimi ritrovi di Harlem , frequentati in massima parte da negri urbanizzati. I quali sono ormai incapaci ad accogliere la loro stessa musica e danza, senza le alterazioni che le resero gradite agli americani, eppoi in Europa; mentre sembra che, agli autentici negri che vivono in Africa, la musica del jazz riesca pochissimo accetta. Si tratta di una corruzione reciproca, fra servi e padroni. […] Nei teatrini di Harlem, si pensa ai negri del sud, che hanno a un dito dal collo la corda di canapa: si pensa a loro come a gente, nella sua miserabile dignità e solitudine, in confronto beata.”


DONNE AL RISTORANTE
“Un’intera mitologia si è ispirata, e in parte continua a ispirarsi, alla prepotenza, all’intrepidezza e alla volontà di dominio della donna americana.[…] In realtà converrebbe parlare anche della tristezza e umiliazione della donna americana […] Sono le legioni delle donne rimaste a mezzo: le donne che non hanno una casa e che sarebbero riuscite splendidamente se ne avessero avuto una. Quelle che pagano le spese dell’immenso sciopero familiare americano, che scontano l’universale paura della schiavitù domestica […] Sono le muliebri popolazioni della sessualità spostata, imperfetta, inibita, frustrata. […] Nell’attrazione sessuale, il puritanesimo scorse soprattutto i pericoli della carne e gli inviti del vizio. […] E ancora oggi, specialmente negli Stati dell’est, ogni moto di sentimento e sensualità è prevenuto e circondato di tali sospetti […] La dignitosa zitella […] con il suo lavoro mal retribuito, con la sua malinconica rinuncia […]Meglio forse essere sfruttata e battuta dal più immondo degli amanti; ma con l’orgoglio d’aver tentato di credere in qualcosa e qualcuno all’infuori di sé. […] E le tre vecchine […] che solevo ritrovare in un ristorante […] e disse ad un tratto una : Last night I had a vision of China

I GIARDINI DELLE MAGNOLIE
“Da Washington a Charleston, nel Carolina del Sud, sono circa millecento chilometri, pari a venti ore d’autobus tutte filate. […] Intanto, sotto ai vostri occhi, l’America cambia fisionomia. Sembra che chilometro dietro chilometro essa risalga nel proprio passato. Gradatamente i bianchi diminuiscono e i neri si moltiplicano[…] M’ero svegliato di colpo per lo scossone della fermata […] e m’accorsi che ormai nell’autobus s’era in pochi. […] questo è l’ordine dei posti: le donne bianche nella prima fila di sedili; in mezzo, come una compatta guardia del corpo, i bianchi dell’altro sesso; e dietro, maschi e femmine, la gente di colore. Era notte alta. Trasudava nell’aria rinchiusa quel caratteristico sentore dei negri, afoso e lievemente ferino […] I negri non lo avvertono. Ma, in compenso son più che sicuri di sentir esalare da noi bianchi un caratteristico e gelido odorino di morto.”

DONNE ALLA FINESTRA
“Non ho mai capito perché, a Città del Messico, la strada sopra tutta sventurata e disonorata, debba proprio intitolarsi al più puro e antico eroe nazionale. “a la grande alma di Guatimozino”. […] Le facciate dei casotti sono a tinte violente: giallo, verde, viola, celeste. […] D’accordo con i regolamenti di polizia, ciascun casotto è fittato per un periodo d’alcune settimane ad una donna. Per regolamento è vietato alle donne d’uscire sulla strada; ma le guardie chiudono un occhio […] Più di solito le donne aspettano affacciate alla finestra, sporgendosi come busti in altorilievi e dipinti […] Nessuna che manifestasse una ricerca di bellezza; non un nastro, un fiore, una collanina d’un soldo; ma accettandosi con la propria sorte […] segnate come galeotti dal numero sul muro, accanto alla porta.”

FIESTAS
“Come avesse nome il paesino dove vidi la festa degli uomini che cavalcavano i tori (in messicano la chiamano jaripeo) ho ancora da saperlo esattamente. […] La strada era profondamente incassata tra filari d’eucalipti e macerie; e nessuno avrebbe pensato che dietro ci fosse una chiesa e un piazzale pieno di gente. […] D’un tratto proprio mentre si passava, scoppiò selvaggiamente una fanfara di trombe e tromboni. […] Era come aver alzato il coperchio d’una scatola. […] O come quando in campagna da bambini si sollevava una pietra e sotto si vede un formicaio, con gli anditi che si incrocicchiano […] Era un villaggio poverissimo […] pieno d’un sentore imporrato, ruinoso, splendidamente catastrofico […] qualche cosa di simile all’odore luttuoso di fiori putrefatti, che rimane in una camera mortuaria. E in contrasto: l’affermazione di una vitalità così prepotente e primordiale.”

RITORNO
“ … il transatlantico venne assalito da sciami e nuvole di coleotteri della forma di maggiolini […] Si posavano i maggiolini sui bianchi bastingaggi; entravano fra il collo e la camicia alla gente; si aggrappavano con gli zampini fra i capelli alle donne che strillavano. […] Quando il piroscafo ebbe fatta altra strada, i maggiolini non volavano più. Gran parte erano ormai spiaccicati sulle tavole del ponte ormai semideserto. Vennero i marinai con i loro buglioli e accuratamente lavarono le tracce di cotesto massacro"

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Introduzione e selezione a cura di Maria Teresa Rovitto