Pillole d'autore: Milo De Angelis

Milo De Angelis (1951), poeta contemporaneo, ha esordito con Somiglianze (1976), uno dei libri di poesia più memorabili di quel decennio. Qui il demone dall’analogia è immesso in scorci urbani, destrutturandoli. L’assolutezza del gesto atletico, la biologia opposta alla storia (siamo nell’attivismo degli anni Settanta!) e un dialogismo a frammenti sono alcune costanti dell’opera. Con Millimetri (1983) lo stile si raggruma, viene percorso da verticalità che rende il dettato quasi impenetrabile. La dimensione referenziale si riaffaccia in Terra del viso (1985) e Distante un padre (1989) che portano a sintesi le spinte dei primi due libri. Con Biografia sommaria (1999), composta dopo dieci anni di silenzio creativo, De Angelis scopre una narratività meno lacerata, aperta persino alla musicalità delle rime, mentre negli ultimi due libri, Tema dell'addio (2005, scritto dopo la tragica morte della moglie e poetessa Giovanna Sicari) e Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010) un lirismo più pacato e riflessivo, che però non rinnega un senso tragico dell’esistenza, ritorna sui temi ossessivi dell’autore. Lo stile magnetico e potente di De Angelis ha influenzato molti poeti coetanei e più giovani, sfociando a volte nell’estremo dell’epigonismo. Vorrei ricordare anche il racconto La corsa dei mantelli (1979), i saggi di Poesia e destino (1996) e la sua attività di traduttore dal latino e dal francese.

Nella selezione qui proposta (non spaventatevi per la lunghezza: se i primi versi vi conquistano, vi dispiacerà di arrivare così presto alla fine) ogni libro è rappresentato da una poesia, con l’eccezione di Distante un padre, dove mi è parso necessario dare rappresentanza anche alle poesie in dialetto monferrino, un unicum nel corpus deangelisiano. Tutte le poesie, a eccezione dell’ultima (tratta da Quell’andarsene nel buio dei cortili, Mondadori 2010) sono tratte da Poesie (Mondadori, 2008) che raccoglie tutta la produzione precedente.



Da Somiglianze

La luce sulle tempie

Che strano sorriso
vive per esserci e non per avere ragione
in questa piazza
chi confida e chi consola di colpo tacciono
è giugno, in pieno sole, l’abbraccio nasce
non domani, subito

il pomeriggio i riflessi
sui tavoli del ristorante non danno spiegazioni
vicino alle unghie rosse
coincidono con le frasi
questa è la carezza

che dimentica e dedica
mentre guarda dentro la tazzina le gocce
rimaste e pensa al tempo
e alla sua unica parola d’amore: “adesso”.

Da Millimetri

Giunge luglio per i morti

Giunge luglio per i morti
che sentono nell’assedio
di ogni fiore
una giustizia remota. E un
cappio di carta
rinasce a più non posso
nella storia
della terra, vasta, ripida,
cose e cose, vesti bianche e tarlate,
contadini nascosti
nel frumento. O ancora
più dentro, dovunque urlino
i crisantemi. Facendo la spola
tra i muri della testa e
una chiamata interurbana, questo minuto
viene contato;
e l’urna – delizia anch’essa
dei mescolati magnanimi –
ha detto basta.

Da Terra del viso

Memoria (III)

Mi attende, nel legno, una fila di elmi
lenti uomini lungo la campagna
sono una fine che non diventò solenne

seguendo un morso qualsiasi, aggiustando
le coperte e le calze, nell’intero e nel mezzo

della radio la figura appare,
senza nulla, occhi attaccati
al nervo, seno terrestre

la materia si strappava già… forse
quaranta gradi… il pendio nel bisturi

Milo, perché lo cerchiamo qui?
… perdeva sangue… anche lei…
una mascella rotta… non parlava…

i feriti si confondono, nella faida,
l’inchiostro sparisce, incendiato,
un pensiero bianco senza peso

agile schermitrice che vidi bianca
al Saini, un sabato pomeriggio,
mio padre, memore, ci accompagnava
dentro la neve, in salita

eravamo qui?... dicembre?...

ringraziando chi da sempre ragionò in noi
guardando il salto di Valere Brumel
due e ventotto, anche lui un russo

due luoghi del cervello, due visioni
di contrappasso, ogni cosa
puntuale nella sua puntuale data

molti, tra i più stanchi, si rinchiusero
nella tenda con un po’ di rum

era il sole, il più finto sole delle
vostre lettere, da Milano, da Casale,
nascoste sotto il vestito da guastatore

… krassivi… krassivaia… un minuto…
una zona nuda… non parlava…. un colpo ancora
alle nostre gole e infinite gocce

padre, cupo padre del cielo, non
posso vederti, ti cerco con l’atlante
e con questa radio, giro le manopole
con le mani e i denti, dò colpi

se oggi taci ancora, accettando
un solo colore per il regno degli amici,
ultima, angelicata fame.

Da Distante un padre


Proteggimi mio talismano

Marta abbiamo trovato la cassetta
che un mattino nascose nella sabbia,
nell’urto, nella tastiera, marta
una figura umana non ultimata porta
quello che resta del suo accento, ma
domandava sempre verso un vetro, ma
non c’eravamo e il vestito cadde
sull’asfalto marta c’era un segno di
scarlattina dove inizia il petto, la
doppia giustizia, il doppio abitacolo,
la madre di piuma che noi lasciamo.

Staseira

A sent doe vos ch’as sercu e besbìu
– doe vos d’na man ch’a so bianca
Stasera ven avzin: “s’it vije, mi viju”.

Le masnà, con dos miseire, son contente,
i son volasne via. A sent che la poesia
l’è tüta lì: fà l’univers con gnente.

(Stasera). Sento due voci che si cercano e bisbigliano / due voci di una mano che so bianca / stasera vengono vicino: “se tu vegli, io veglio”. // Le bambine con due miserie sono contente, / sono volate via. Forse la poesia / è tutta lì: fare l’universo con niente.

Da Biografia sommaria

Semifinale

La Doxa mi chiede per chi voterò. La voce
è di un ragazzo che, dall’altra parte, respira. Non so
quale chiarezza dentro la rovina. Tutto
ritorna qui, confine del luogo. Quel non parlato
di chiodi per terra. Il Professor D’Amato spiegava
un pronome… nemo: nessuno, non nemo: qualcuno. Nessuno
giungerà oltre le vene, è semplice, ragazzi. Qualcuno
è scomparso o comunque non dà notizie. Il postino
mi consiglia di guardare meglio nella buca,
anche in quelle vicine. Guarderò. Neminem
excipi die
: per nessun giorno ho fatto eccezione. Morire
è dunque perdere anche la morte, infinito
presente, nessun appello, nessuna musica
di una chiamata personale. Oltre le vene che furono rito
e dimora, milligrammo e annuncio, grido infinito
di gioia o di soccorso, nessuno mai
oltre queste vene. È semplice, ragazzi, nessuno.

Da Tema dell’addio (2005)

Quando su un volto desiderato si scorge il segno
di troppe stagioni e una vena troppo scura
si prolunga nella stanza, quando le incisioni
della vita giungono in folla e il sangue rallenta
dentro i polsi che abbiamo stretto fino all’alba,
allora non è solo lì che la grande corrente
si ferma, allora è notte, è notte su ogni volto
che abbiamo amato.

Da Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010)

Giungono, stanno giungendo. Sono brandelli
di un’estate. La vecchia
ha in braccio proprio lui,
con le ginocchia macchiate di catrame.
Solo, occultato nel buio dell’indomani,
corre ancora dieci metri. L’altro, nella luce
artificiale del Campo Pirelli,
salta uno e novantuno
e poi scompare. Tu guardi sempre lì
e a volte, con gli occhi fissi, cominci ad applaudire.
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Selezione dei testi e nota introduttiva a cura di Davide Castiglione