in

“Della rabbia, della tenerezza”. Dei ricordi…

- -


 Della rabbia, della tenerezza
di Carlo Gremo
Puntoacapo, 2010

€ 12
pp. 96

È notte. Forse una notte perduta di qualche anno fa, forse una notte della mente. Il lirismo di Carlo Gremo, guidato dai ricordi, o da […] lucciole, stelle […], si trova a contemplare gli amori passati e le vecchie amicizie. Gremo sale su una collina, come un viaggiatore alla ricerca di se stesso, per scrutare la pianura sottostante, per scrutare e “sentire” la bellezza di un luogo familiare, per ascoltare […] il mormorio degli alberi che fanno cintura alla cattedrale, […] il rincorrersi delle nuvole nel cielo terso. […], per permettere agli occhi, gli occhi sicuri di un poeta, di passeggiare […] sul profilo delle montagne, […] nel continuo dei canaloni e dei crinali […], nel […] luccichio dei pendii innevati […]. Sì, leggerissimi fiocchi di neve vengono giù, coprendo silenziosamente i tetti rossi di una cittadina medievale. Gremo pesca dal taschino della giacca il suo taccuino, acuisce lo sguardo allentando con calma il nodo della cravatta, e annota: […] venerdì 22 gennaio 2010 (tormenta e gelo) […]. Il suo cuore diviene un ribollio di versi, un dialogo con un amico della città, baci a ragazze bionde con lunghe gambe, sorrisi ghiacciati. Semplicemente, […] tristezze addomesticate […], diventate assonanze:
[…] Come stella cadente
sono esploso nel cielo,
un attimo, un fuoco
e un poco ho capito,
ho capito che l’uomo
è inutile al mondo,
è un graffio
un insulto,
una mania suicida,
la vita un sospiro
evaporato e sparso,
che lascia una goccia
che il vento disperde. (Pag. 27).

Uno sforzo metafisico, uno slancio verso la comprensione di tutto ciò che fugge, mediato dalla malinconia: «Non sempre le mie poesie sono tristezza o malinconia -aggiunge-, forse quasi mai. Spesso si tratta di rabbia mischiata a tenerezza per situazioni che mi vanno contropelo, per quello che ritengo sia cecità ed inutilità. Qualche volta le mie poesie vanno un po’ per i fatti loro, lo ammetto, in una sconnessione spazio-tempo non proprio gradevole».
E così, alternando versi e racconti, Gremo ci impone delle domande: dove finiscono i ricordi? Lascia veramente impronte la vita? Con rabbia e con tenerezza… con il sole che finalmente splende sulla pianura, e attraverso i fiocchi di neve trasformati in vaganti note di Liszt che si sciolgono nelle orecchie, l’autore risponde:
[…] Trattieni la notte,
queste nostre anime randagie,
errabonde sui tetti delle case,
tra le guglie della cattedrale,
attorno all’orologio,
dondolanti fra le foglie…
[…] Trattieni la notte,
la nostra vita,
il nostro tempo,
la tua bellezza,
i sospiri,
i pudori e i sudori,
il tuo profumo,
il tuo amore. (Pag. 93).
Dunque? «Secondo me, i ricordi sono inutili - conclude -. Ci tengono sulla terra. Insomma, sono convinto che i ricordi siano una palla al piede, che bloccano la nostra possibilità di spiccare il volo. E la vita, con i ricordi, la vita lascia certamente impronte su di noi, sui familiari, su chi frequentiamo. Ma è come un’orma leggera, impressa sulla neve da un uomo che cammina mentre gioca con i suoi pensieri. Un’orma, che soltanto l’amore può addolcire».

Dario Orphée