di Leonard Cohen
Fandango libri, 2003
pp. 288
€ 16,00
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Beautiful losers è un libro da assumere per via endovenosa. Anzi, no, troppo asettico, detto così. È un libro da farsi in vena, e già suona meglio. Nell'impossibilità di farlo, se ne può dire qualcosa, ma è come descrivere un orgasmo.
Leonard Cohen, forse il maggior cantautore di sempre, pubblica il romanzo nel 1966, dopo alcune raccolte poetiche che lo avevano già consacrato come il più dotato poeta canadese contemporaneo e una prova narrativa ancora un po' acerba. Sono ben presenti alcune delle tematiche di fondo della scrittura coheniane, che riemergono peraltro anche in molte sue canzoni, ma tutto è centrifugato, mescolato in ogni parte e in ogni senso. Lo stile da enciclopedico ed erudito si fa scanzonato e leggero, non di rado ironico; poi torna affilato e saggistico. E dalla purezza spirituale di una vergine irochese del XVII secolo lo sguardo fruga tra le nudità esibite e sporche di ogni sorta di liquido organico e poi indugia sui segni di un dio non confessionale che è abissalmente distante dal cielo.
In qualche modo, un intreccio raccontabile c'è. Ma naturalmente, come spesso succede nella letteratura contemporanea – e questa è letteratura vera, non il vezzo di un cantautore che vuol presentarsi come eclettico – il vero senso del libro non sta lì. Non sta nella trama, sta nelle molte zone sfumate, negli incisi, in quel che non è pienamente riferibile. Non a caso, sia detto tra parentesi, il libro dovete leggervelo.
Torniamo a noi. Su tutto c'è la storia d'amore del protagonista, estrema e irreale, con il “Giglio delle rive del fiume Mohwak”: Catherine Tekakwitha. La narrazione si muove su due piani temporali distinti, oscillante com'è tra la cristianizzazione delle tribù indiane in Canada durante il diciassettesimo secolo e la vita confusa del narratore, di Edith sua moglie e di F., amico, amante, modello e antimodello di entrambi, durante i caoticissimi anni Sessanta.
La condizione esistenziale che dà il via alla storia e rappresenta un'ombra da scongiurare continuamente è l'aridità di una «mente polverosa, piena della spazzatura di forse 5000 libri» (p.21). Il protagonista A., di cui conosciamo solo l'iniziale, è mosso dal faustiano impulso a godere di una vita che non abbia l'odore di muffa e il colore dei libri ingialliti. L'alternativa al grigiore alla cerebralità vuota di sentimenti è però ricercata in un passato irrecuperabile. Il vecchio studioso si serve delle sue carte e delle sue ricerche, causa prima dell'attuale stallo emotivo, per approfondire la conoscenza delle tribù indiane e per compiere l'impresa titanica di stabilire un contatto con la ragazza irochese vissuta.
È una storia d'amore visionaria e poetica, che a ben vedere non è altro che la “narrativizzazione” delle domande di senso che attanagliano da sempre l'umanità. È il tentativo estremo di connettere il passato al presente per beffare la bussola impazzita della casualità del mondo (del resto già il filosofo greco Alcmeone, nel VI secolo a.C., sosteneva che gli uomini sono prede della morte per il fatto che non sanno ricollegare il principio con la fine). A pagina 36 leggiamo:
Le cose più disparate del mondo, le diverse ali del paradosso, le due facce del problema, interrogativi da m'ama non m'ama, la coscienza a forma di forbici, tutte le polarità, le cose e le loro immagini e le cose che non hanno ombra, e solo le esplosioni quotidiane nelle strade, questa faccia e quella faccia, una casa e un mal di denti, esplosioni che hanno solo il nome composto da lettere differenti, il mio ago perfora tutto ciò, e io, le mie fantasie avide, tutto quello che è esistito e che esiste, siamo parte di una collana di incomparabile bellezza e priva di significato.
Fuori dal sogno, a fianco di A., vive Edith. Rivive, anzi, nelle parole di F. e dell'amico, dacché la narrazione si apre col cadavere della donna sul «fondo del pozzo dell'ascensore». Uccisa per cosa? Per chi? Ma Beautiful losers non ha la consistenza di un giallo. Ha piuttosto la dispersione di un labirinto, con le diramazioni e i vicoli ciechi chiarissimi, con ogni evidenza, nella mente dell'autore che è ben lungi dallo smarrirsi nel dedalo di immagini che crea. Coi repentini cambi di direzione congegnati, in buona misura, dall'ingombrante presenza di F. È quest'ultimo, di fatto, a immettere nel romanzo una quota di tensione, un rovello interiore attivo nei personaggi, e nel lettore, dalla prima all'ultima riga.
F., dicevamo. Ovvero un modello per il protagonista che è a sua volta un modello per F: «C'era una profonda carità nel modo di succhiarmelo. Lo odiavo, ne abusava. Ma oso pensare che che tu sia l'incarnazione delle mie maggiori aspirazioni». È, quella tra lui e A., un'amicizia torbida che si realizza e si annulla in un erotismo sfrenato, forse la manifestazione massima dell'Energia a cui più volte si fa riferimento.
F., dicevamo. Ovvero un modello per il protagonista che è a sua volta un modello per F: «C'era una profonda carità nel modo di succhiarmelo. Lo odiavo, ne abusava. Ma oso pensare che che tu sia l'incarnazione delle mie maggiori aspirazioni». È, quella tra lui e A., un'amicizia torbida che si realizza e si annulla in un erotismo sfrenato, forse la manifestazione massima dell'Energia a cui più volte si fa riferimento.
«Dio è vivo. La magia è in azione». Questo è un altro punto nodale: il contrasto tra il dio irrazionale e imprevedibile che scorre lungo i giorni disordinati di vite in cerca di un senso che sfugge e il dio nel cui nome Catherine si lascia morire, dopo aver abbracciato il cristianesimo, in un delirio mistico di abnegazione di sé. In chiusura dal libro ci imbattiamo proprio nell'elenco dei 'miracoli' della vergine, invocata per secoli da frotte di malati miracolosamente guariti, spesso dopo essersi affidati a feticci della Santa (il crocefisso che aveva al collo al momento della morte, la terra della sua sepoltura...), segni di una religione ambigua tra oscura superstizione e luminosa estasi.
Chiudiamo con le parole dell'autore, tratte da una lettera al suo editore nel 1965, che rendono bene l'idea della grandezza di questo testo e la misura della difficoltà nel descriverlo.
Chiudiamo con le parole dell'autore, tratte da una lettera al suo editore nel 1965, che rendono bene l'idea della grandezza di questo testo e la misura della difficoltà nel descriverlo.
Spinto da solitudine e disperazione, un uomo dei nostri tempi che vive a Montreal tenta di curarsi invocando il nome e la vita di Catherine Tekakwitha, una giovane irochese convertita dai gesuiti nel XVII secolo, e la prima vergine indiana che abbia fatto Voto di Castità. Ossessionato dal ricordo di sua mogli Edith, che si è suicidata nel pozzo di un ascensore, e tiranneggiato nei pensieri della presenza di F., un potente e misterioso personaggio che vantava occulte facoltà ed era l'amante di Edith, l'uomo intraprende un viaggio sfrenato e inquietante nei paesaggi dell'anima. È un viaggio impossibile da descrivere, e impossibile da dimenticare... Beautiful losers è una storia d'amore, un salmo, una Messa Nera, un monumento, una satira, una preghiera, un grido, la mappa di luoghi sconfinati, uno scherzo, un affronto di cattivo gusto, un'allucinazione, una noia un irrilevante sfoggio di virtuosismo malato, un trattato gesuitico, un ghigno fazioso, una scatologica stravaganza luterana, in breve: una sgradevole epica religiosa di incomparabile bellezza.
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