Vino e Pane
di Ignazio Silone
Mondadori, 1955
Vino e Pane di Ignazio Silone, al secolo Secondo Tranquilli (1900- 1978), uscito nell’edizione definitiva Mondadori nel 1955, s’iscrive nell’ambito della narrativa meridionalista degli anni ’30, molto diversa da quella verista della fine dell’800, quella cioè di Verga, di Capuana e de Roberto.
di Ignazio Silone
Mondadori, 1955
Vino e Pane di Ignazio Silone, al secolo Secondo Tranquilli (1900- 1978), uscito nell’edizione definitiva Mondadori nel 1955, s’iscrive nell’ambito della narrativa meridionalista degli anni ’30, molto diversa da quella verista della fine dell’800, quella cioè di Verga, di Capuana e de Roberto.
Alvaro, Brancati e, in parte, Silone, accompagnano il loro grido di protesta sociale con un moto di nostalgia verso un mondo che va scomparendo. La città, nella fattispecie Roma, rappresenta la realtà, il vero, mentre la campagna abruzzese dei cafoni ha connotazioni ancora tardo romantiche, liriche, è popolata di figure ottocentesche e attraversata da un senso della natura panico e mistico.
Laddove, fra ottocento e novecento, il reale perde senso, si fa simbolo e decadenza, l’opera dei meridionalisti oscilla fra naturalismo e simbolismo. Possiamo dire che Verga passa attraverso d’Annunzio, che i Malavoglia s’intridono del lirismo delle Novelle della Pescara.
Il prete tardò a tornare nella locanda. Si sedette sul ciglio erboso della strada, oppresso da molti pensieri. Voci perdute si udivano in lontananza, richiami di pecorai, latrati di cani, sommessi belati di greggi. Dalla terra umida si levava un leggero odore di timo e di rosmarino selvatico. Era l’ora in cui i cafoni rientravano gli asini nelle stalle e andavano a dormire. Dai vani delle finestre le madri chiamavano i figli ritardatari. Era un’ora propizia all’umiltà. L’uomo rientrava nell’animale, l’animale nella pianta, la pianta nella terra. Il ruscello in fondo alla valle si gremiva di stelle. Di Pietrasecca sommersa nell’ombra, non si distingueva che la cervice di vacca con le due grandi corna arcuate sulla sommità della locanda.
È nostro convincimento che brani come questi non si possano né spiegare né insegnare, il lettore deve sentirli da solo, dentro di sé.
Vino e pane descrive l’angoscia dell’intellettuale di sinistra che vede crollare tutti gli ideali, ridotti a schemi e regole di partito, malvagi quanto il potere al governo che sfrutta e opprime la popolazione, i cafoni, ora rinominati “rurali”. La differenza fra il protagonista Pietro Spina e le altre figure letterarie di ribelli, immaginate da autori contemporanei di Silone, è l’inazione. Spina è costretto dalla malattia all’inattività, la sua rivolta è tutta interiore, sta nel passaggio da un nome all’altro, da Pietro a Paolo, don Paolo, (non a caso entrambi nomi di apostoli) per poi tornare di nuovo a Pietro senza preavviso. Pietro è il rivoluzionario, Paolo il finto prete, alla disperata, ma autentica, ricerca di Dio. La sua ribellione è interna, morale, intellettuale, per questo “Vino e pane” si configura come testo incerto fra romanzo d’azione e d’idee.
La figura di Luigi Murica, il giovane comunista infiltrato tra i fascisti ucciso dalla milizia, ha connotazioni fortemente cristologiche. Un intero capitolo, il penultimo, è dedicato al suo martirio che richiama la crocifissione, dove il vino e il pane sono quelli della comunione e rappresentano, com’è esplicitamente detto, l’unità, la fraternità, la solidarietà fra uomini.
Cristina Colamartini, l’aspirante novizia di cui Pietro s’innamora, raffigura l’innocenza, l’agnello sbranato dal lupo, e la sua morte ha tratti decadenti e sensazionali.
Matalena, Cassola, Sciatàp, Magascià e tutti gli altri protagonisti, sono figure realistiche ma anche simboliche, attingono al naturalismo di Zolà ma anche a d’Annunzio, a Mistral e allo stesso Verga di Storia di una capinera e di La lupa, bestia evocativa di lussuria, di pulsioni rimosse.
Egli mostrò sulla collottola della bestia il segno dell’amore, il morso profondo di una femmina. L’amore dei lupi è serio. Banduccia sapeva riconoscere da lontano gli urli dei lupi: l’urlo del pericolo, che il lupo lancia quando è attaccato con le armi; l’urlo della carnaccia, che vuol dire che ha trovato qualche bestia da sbranare e chiama i compagni, perché alle bestie non piace mangiare da sole; l’urlo dell’amore, che vuol dire che avrebbe bisogno di una femmina e non si vergogna di farlo sapere.
Patrizia Poli
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Riferimenti bibliografici:
Ignazio Silone, Introduzione a Vino e pane, Oscar Mondadori, 1970
Romano Luperini, Il Novecento, 1981
Salinari Ricci, Storia della Letteratura italiana, 1978
Rita Verdirame La Rosa di Gèrico, La Sicilia fantastica da Linares a Brancati, Dimensione Cosmica anno 7, luglio/agosto 1991