Il 26 gennaio 2012 è uscito in Italia per Aìsara Sono una vecchia comunista!, l'ultimo romanzo dello scrittore rumeno Dan Lungu. Ho letto in anteprima il libro e ne ho accompagnato l'uscita con una entusiastica recensione. Ma non è finita qui: Dan ha accettato di incontrarci per raccontare ai suoi lettori italiani un po' di sé e del suo romanzo. Luogo dell'incontro, come sempre, il Salotto di CriticaLetteraria...
Caro Dan, per prima cosa ci tengo a ringraziarti per aver accettato di partecipare a quest’intervista esclusiva per la rubrica “Il salotto”!
Grazie per l’invito, cara Laura! È un privilegio avere la possibilità a parlare con i lettori italiani.
Cominciamo parlando un po’ di te. Sei sociologo e narratore. Se dovessi tirare le somme del tuo percorso intellettuale dagli esordi fino a ora, come lo descriveresti?
Posso riassumere il mio percorso letterario in una sola parola: incredibile! È incredibile quello che mi è successo, non avrei mai osato sognare fino a questo punto. Per capire le ragioni della mia affermazione è necessario mettersi nei panni di un adolescente che vive in una città di provincia durante una dittatura. Ho vissuto sotto il regime di Ceauşescu gli anni in cui si sogna di più, in un certo senso, cioè fino ai vent’anni. Naturalmente, sognavo di diventare uno scrittore. Anzi, ero sicuro che avrei fatto questo, ero determinato. Solo che a quel tempo, la fantasia di un ragazzino come me non poteva spingersi troppo lontano in termini di "carriera letteraria". All’epoca un autore debuttava con un volume a trenta o quarant’anni: era questa l’età media di un giovane scrittore. A diciott’anni, io potevo considerarmi solo uno scrittore in fase embrionale. A sessant’anni eri già un autore maturo. E dopo la morte entravi nei libri scolastici o scomparivi del tutto. Esagero un po’ ma era questa la logica del regime. Per me, la rivoluzione dell’89 ha reinventato il mondo. Ho pubblicato molto prima di quanto potessi immaginare e il fatto di essere tradotto in altre lingue è qualcosa che non avevo mai pensato possibile. Dovevi essere un pazzo per immaginare la possibilità di arrivare, come scrittore, a un pubblico francese, tedesco o italiano. A volte quando giro per l’Europa mi sembra di sognare.
Senza dubbio, il mio percorso intelettuale è cambiato radicalmente dopo l’89. Ho scoperto tanti nuovi autori, ho respirario l’aria letteraria europea, ho senz’altro ridisegnato le mie coordinate letterarie. Ho capito che la letteratura è una terra più aperta, con molti più santi rispetto a quelli canonizzati della cultura rumena. Naturalmente lo sapevo già, in teoria, ma è tutta un’altra cosa scoprirlo concretamente, viaggiando e parlando con persone che appartengono ad altre culture.
Due eventi importanti nella tua formazione?
Col passare del tempo i momenti salienti del nostro passato tendono a cambiare, a essere rivalutati, quindi non vorrei che ciò che dirò sia preso per definitivo. È solamente una foto del momento della mia formazione. Per scegliere solo due momenti, mi soffermerei per prima cosa al 1996, quando a Iaşi con un gruppo di amici abbiamo dato vita al Club 8, un movimento letterario alternativo di cui si è parlato molto e che ha lanciato molti autori di primo piano della letteratura rumena contemporanea. Il secondo momento sarebbe il 2005, quanto per la prima volta il mio romanzo Il paradiso delle galline è stato tradotto in francese e sono stato invitato a partecipare al programma Les belles étrangères, insieme ad altri undici autori rumeni, tra cui mostri sacri della letteratura del mio Paese: quello è stato il momento in cui sono entrato in Europa. Dopo, sono arrivate molte altre traduzioni.
Il 26 gennaio 2012 è uscito per Aìsara Sono una vecchia comunista!, ma sei già presente nel mercato italiano dal 2010 con Il paradiso delle galline (Manni, 2010). Da anni le tue opere vengono tradotte in tutta Europa. Come valuti il tuo incontro col mercato internazionale? E con quello italiano?
L’Italia è un Paese in cui i rumeni hanno seri problemi d’immagine. Non discutiamo qui se siano legittimi o meno, o le ragioni di questo. È un dato di fatto che l’onda di traduzioni di letteratura rumena in Italia è arrivata più lentamente e con un maggiore ritardo che in altri Paesi… Comunque, la critica letteraria l’ha recepita, anche se con un certa timidezza. No so se per il lettore medio i cliché sui rumeni si riflettono anche sugli scrittori rumeni. Resta da scoprire.
Il tema principale della tua narrativa è sempre stato la società rumena post-comunista e post-rivoluzionaria, e la sua evoluzione liberale. Come convivono nella tua narrativa la ricerca sociologica e l'inventio finzionale?
Credo che tutto ciò che facciamo nella nostra vita quotidiana influenzi indirettamente la scrittura. Se siamo sposati o no, se abiamo dei figli o no, se ci siamo vegetariani, buddisti o cristiani, se siamo sociologi, medici o ingegneri, se ci piace viaggiare o no – tutti questi fattori influenzano quello che scriviamo, perché non ci siamo robot non è possibile staccarci dalla vita e collegarci alla letteratura. Ma siamo influenzati in una maniera non essenziale, in quanto è un’influenza sul contenuto e l’esperienza non è incorporata direttamente nella nostra estetica. In questo senso le ricerche sociologiche sono in grado di fornire temi, ragionamenti o dettagli, ma il valore letterario di un libro non sta in questo.
Adesso veniamo al tuo ultimo libro, Sono una vecchia comunista! (Aìsara, 2012) Domanda secca: tre aggettivi per descrivere questo romanzo.
Problematico, divertente, equilibrato.
Potresti raccontarci la genesi di questa storia?
Il libro è nato da un incontro con una vecchia nostalgica, che poi è diventata un modello per me. Mi stupì che lei rimpiangesse la dittatura e restai affascinato dalla veemenza e coerenza con cui sosteneva la propria versione del passato. Mentre lei si entusiasmava parlando del suo passato, io ne ero più terorizzato. Volevo capire. Alla fine, da tutto questo e uscito fuori un romanzo.
Emilia è un personaggio forte, così come la focalizzazione interna del racconto autobiografico. Vedere il mondo con gli occhi di un altro attraverso la finzione narrativa: come vivi quest’esperienza? Come una lotta o come un viaggio?
Vedere il mondo attraverso gli occhi di un altro è un esercizio di empatia. È piu simile a un viaggio che una lotta. Quando c’e un conflitto l’empatia scompare. Per me è stato anche un esercizio di tolleranza, perché non condivido molte delle convinzioni di Emila, il personaggio principale. Così ho sentito il bisogno di inventare Alice, la figlia andata in Canada. Attraverso di lei ho mostrato il mio punto di vista!
Il romanzo è scritto in forma omodiegetica, quindi in prima persona, ma ci sono anche alcune finestre narrative, le storielle dello zio Mitu, in cui Causesçu in prima persona è rappresentato come una figura macchiettistica, quasi comica. C’è qualcosa dietro queste storie in cui la favola diventa satira?
La maggior parte delle battute su Ceauşescu circolava già ai tempi del regime, solo in un modo più schematico, più brutale... C’era una vera e propria satira popolare sul regime, una cultura di derisione, deliziosa a suo modo, ma non ha portato ad azioni concrete contro il governo. Può sembrare paradossale, ma la gente rideva di Ceauşescu. Tuttavia questo non significa che la gente non avesse paura di lui.
Sono una vecchia comunista! come “romanzo a tesi” di ricerca e critica agli ideologismi: sei d’accordo con questa definizione?
Riconosco che il libro fornisce interessante materiale per studiare le ideologie, ma non credo che sia un romanzo a tesi. Il discorso nostalgico di Emilia è minato da lei stessa, dal di dentro. Quando ci dice che lei è stata bene al tempo del comunismo, le crediamo. Quando dice ancora che aveva tutto, anche il caffè, cominciamo a sorridere. Quando ci dice che non ha mangiatto banane, ma che ne conosceva il sapore perché aveva un dentifricio al gusto banana, cominciamo a ridere e non crediamo più che stava così bene al tempo del comunismo. Poi, il discorso di Emilia è bilanciatp da quella della generazione più giovane, espressa attraverso la voce di Alice. Quello che inizialmente appare come una tesi diventa un problema attraverso un doppio meccanismo di decostruzione.
Per concludere, parlaci un po’ dei tuoi programmi per il futuro. Stai lavorando a qualche nuovo progetto? Ti vedremo presto in Italia?
Spero di arrivare presto in Italia al Salone Internazionale del Libro di Torino a cui ho sempre partecipato negli ultimi anni. Adesso sto lavorando a un progetto insieme a un fotografo svizzero, Didier Ruef, un volume sull’emigrazione rumena in Italia. Io sto scrivendo il testo, una specie di diario di viaggio, mentre Didier si occupa degli immagini. Si tratta di un progetto sovvenzionato dall’Istituto Culturale e di Ricerca Umanistica di Venezia.
Ci terremo aggiornati sulle novità che ti riguardano, allora! Ti ringrazio ancora a nome della redazione e dei nostri lettori. Spero che tu possa ottenere anche in Italia la visibilità che meriti, per la qualità del tuo lavoro.
Grazie a voi!
intervista a cura di Laura Ingallinella
traduzione dal rumeno a cura di Alice Valeria Boldut