«Sono nata a Venezia ma vivo a Napoli – così inizia a raccontarsi Ida
Verrei, autrice del romanzo Le Primavere
di Vesna, recensito
proprio qui, sulle pagine di Critica
Letteraria – una città che mi è molto cara e dalla quale
credo di aver assorbito tutte le mille contraddizioni. Tutto quanto è accaduto
nella mia vita – prosegue – è stato
fuori tempo: o troppo presto o troppo tardi».
Anche se involontariamente, queste
prime righe di presentazione sembrano riecheggiare proprio Vesna: Napoli e Venezia sono le città tra cui la protagonista si
divide e quel “troppo presto o troppo
tardi” richiama non poco il carattere delle sue scelte, esistenziali e non
solo. «A vent’anni – ci racconta – ho
vinto il concorso magistrale e ho iniziato la mia carriera di insegnante. Avevo
già un bambino di un anno. E tre anni dopo è arrivata la seconda figlia. A
quaranta, quando i figli erano già quasi adulti, mi sono laureata in Pedagogia, con una tesi sperimentale in Psicologia
dell’Età Evolutiva».
«Sin da bambina – così inizia a parlare di una delle sue più grandi
passioni – sono sempre stata una lettrice
appassionata; da adolescente mi tuffavo di nascosto nella biblioteca di mio
padre e divoravo tutto quello che trovavo, in modo confuso e disordinato. Ho
amato moltissimo gli scritti di Hemingway, Scott Fitzerald, Steinbeck. Ma
leggevo di tutto, e anche ora, non ho un genere preferito, ho degli autori che
amo più di altri, rileggo sempre volentieri gli scritti della Morante, della
Ortese, sono innamorata di Erri De Luca, ma qualche volta mi accosto anche a
nuovi autori premiati, come la
Muggia o Veronesi».
Ida, però, non ama soltanto
leggere: come qualsiasi buon lettore, ha scritto e scrive ancora oggi
moltissimo: «Ho sempre scritto molto, ma
i miei scritti – precisa – nel
passato erano soprattutto inerenti il mio lavoro e la mia formazione:
pedagogia, metodologia, didattica, psicologia, con qualche saltuaria incursione
in attività più creative, come sceneggiature e riduzioni teatrali per le
scuole. Al romanzo sono arrivata tardi e per caso: pensionamento, figli
sposati, una camera-soppalco tutta per me, un PC e, finalmente, un po’ di tempo
a disposizione. Il mio primo libro Un, due, tre, stella! è un romanzo di formazione, con molte concessioni
all’autobiografia; cosa che mi ha creato qualche problema, perché, pur avendo
avuto un discreto successo tra i lettori, ha spesso suscitato interesse per le
vicende della mia vita, piuttosto che fermare l’attenzione sul valore
letterario dell’opera. Ma, in fondo, riuscire a risvegliare la curiosità del
lettore è pur sempre un merito!».
Come è nato Le Primavere di Vesna? – le chiedo – Lo hai scritto di getto oppure
è "venuto fuori" pian piano? C'è un episodio particolare che ti ha
spinto a scrivere?
«Proprio la curiosità di alcuni dei miei lettori è stata la molla che mi
ha spinto a scrivere il secondo, Le Primavere di Vesna. Molti chiedevano: “E poi?...” “ci
racconterai il seguito?” Non ci ho pensato neanche lontanamente! Non l’ho fatto
e non lo farò. Ma mi è venuto in mente che avrei potuto affabulare, a modo mio,
il “prima”. E ho scoperto che mi piace molto raccontare le persone che, in
qualche modo, hanno attraversato la mia vita. Qui non c’è autobiografia, la
storia del secondo romanzo si svolge in gran parte in un’epoca in cui io non
c’ero ancora e forse non ero neanche un progetto. Mi è piaciuto raccontare,
piuttosto che ciò che è stato, ciò che sarebbe potuto essere, con qualche
memoria rubata, e molta fantasia. Solo alcuni dei personaggi, luoghi ed eventi
appartengono alla realtà. Ho manipolato la
verità e l’ho dipinta di finzione».
La protagonista del romanzo, Liana, è il
simbolo della "rinascita". Il suo soprannome, d'altra parte, è "Vesna",
un essere mitologico, come tu scrivi, che "al suo arrivo porta la primavera". Perché hai sentito l'esigenza
di mandare un messaggio di speranza al lettore?
«Non ho mai avuto l’intenzione di lanciare
messaggi al lettore, ma a me stessa. Mi sono spalancata una porta, anche se è
alle mie spalle».
Ho adorato sua madre, il suo pudore e il
suo amore incondizionato, che poi è tipico di tutta la famiglia di Liana. Ho
odiato, invece, il secondo compagno di lei: credevo l'avrebbe resa felice
davvero, ma si capisce sin da subito che non sarà così. A quale personaggio sei
più affezionata? E di quale faresti a meno, se fossi costretta a scegliere?
«Mi piace un personaggio secondario, uno di
totale fantasia, uno che non viene citato quasi mai nelle recensioni che
ricevo: l’anziana maestra slovena Vera. Per me rappresenta l’incarnazione dei
luoghi di cui parlo, è l’antico, la tradizione. È quella che dà il soprannome a
Liana, quella che ne intuisce la natura selvaggia e solare, insieme. Ma anche
la forza di rinascere mille volte. Farei a meno, invece del personaggio di
Flora, ma il corso degli eventi, forse, sarebbe cambiato. Non mi piace perché
rappresenta una categoria di donna che detesto: quella che può distruggere un
uomo, avvolgendolo di un amore soffocante ed esclusivo e annientandogli la
volontà; quella che, alla fine, un uomo finisce col temere più che amare».
Più delle sequenze descrittive, sono i
dialoghi uno tra i punti di forza del romanzo. Li hai costruiti in modo
spontaneo oppure ci hai ragionato su? Ce n’è qualcuno a cui sei legata in modo
particolare?
«Sai che non lo ricordo? Penso siano nati
spontaneamente. Se riesci a “diventare” i tuoi personaggi, riesci anche a
parlare come farebbero loro. Più che ai dialoghi, sono legata ai monologhi
interiori di Liana-Vesna, specie a quelli finali, nella chiesa. Penso che la
rappresentino davvero: c’è la nostalgia, il rimorso, l’ansia di madre, la
religiosità e la superstizione. C’è la speranza di una nuova primavera».
Parlavamo di "punti di forza". Quali
sono quelli de Le Primavere di Vesna?
«Credo siano in quello che tu indichi al
termine della recensione: l’assenza di riflessioni personali. Non amo i romanzi
pieni di dissertazioni filosofiche, di messaggi in codice o disquisizioni
dotte, preferisco sia il lettore a riflettere spontaneamente. Diversamente mi
sembrerebbe di dare una chiave di lettura precostituita che toglierebbe la
libertà di interpretare, scegliere e “sentire” la storia come propria».
E i "punti deboli", invece?
«Forse nella caratterizzazione di alcuni
personaggi minori? Flora e Manuel li ho resi così sgradevoli che non mi andava
neanche di parlarne troppo…».
Cosa non hai apprezzato della recensione?
Avresti scritto qualcosa in più? Cosa, invece, ti è piaciuto particolarmente e
perché?
«Ho apprezzato molto la recensione. Mi sembra
una lettura attenta e competente; ho apprezzato soprattutto quello che ho
sottolineato sopra: che sia stata messa in rilievo la fluidità della
narrazione, senza la presenza ingombrante del narratore (narratrice). E mi
piace che un giovane lettore di talento abbia saputo cogliere con sensibilità
tutte le sfumature del mio romanzo».
Quanto di te c'è in questo tuo secondo libro, quanto di ciò che pensi del mondo e quanto, invece, di chi ti è (o ti è stato) vicino? In relazione al romanzo, c'è qualcuno a cui ti senti di dire "grazie"?
Quanto di te c'è in questo tuo secondo libro, quanto di ciò che pensi del mondo e quanto, invece, di chi ti è (o ti è stato) vicino? In relazione al romanzo, c'è qualcuno a cui ti senti di dire "grazie"?
«C’è la madre, la figlia, la donna. Ma mi è
purtroppo estranea la positività della protagonista. C’è anche, forse, una
considerazione dell’uomo come compagno di vita, viziata da un vissuto
personale. Si, devo senz’altro dire “grazie” a mia sorella Olga e a mia figlia
Giovanna. Hanno sempre creduto in me e mi hanno sostenuta con continue
“iniezioni” di entusiasmo».
Dicevi che nel 2008 hai scritto anche il
romanzo Un, due, tre, stella! Non sei
proprio una esordiente, insomma. Qual è il tuo rapporto con la scrittura? Hai
mai attraversato un periodo di crisi? Cosa ti ha spinto ad andare avanti e
tenere duro?
«Credo di avere con la scrittura un rapporto mutevole,
ma sostanzialmente sano. Scrivere mi fa stare bene, alcune volte mi esalta,
altre mi rasserena, altre mi fa anche soffrire, ma è una sofferenza cercata,
anche se consuma energie. Penso sia così per tutti. Non ho avuto periodi di
crisi quando scrivevo Vesna, di
incertezza, forse, ma questo dipende dall’alternanza dell’autostima. Il periodo di crisi è quello attuale, ma
soltanto perché, per motivi contingenti, non riesco a dedicarmi alla scrittura
come vorrei».
Prima di pubblicare Le Primavere di Vesna, hai ricevuto delle porte in faccia? Come hai
reagito?
«No, nessuna porta in faccia. Ho pubblicato
il secondo libro con lo stesso editore del primo».
Cosa consiglieresti a un esordiente?
Cosa consiglieresti a un esordiente?
«L’umiltà».
Una scrittrice così in gamba avrà
sicuramente dei progetti futuri...
«Grazie per “la scrittrice così in gamba”! Mi
piace che un romanzo venga definito “un progetto”… Dà l’idea di qualcosa di
predisponibile e certamente realizzabile. Io ho sempre pensato al romanzo come
a una avventura che inizia senza che se
ne conosca l’esito finale. E
in una nuova avventura mi sono lanciata, non so come andrà a finire, devo
rubare il tempo, e questa volta, superare tante crisi…».
Intervista di Michele Rainone a Ida Verrei