di Eugenio Garin
Laterza, Roma-Bari 1994
pp. XVIII-275
€ 10.00
L'Umanesimo.
Questa è stata la parola che mi ha affascinato e mi ha permesso di
accostarmi ad un classico della critica di un grande autore come
Eugenio Garin1.
Approfondire
l'Umanesimo è significato compiere uno sforzo di studio
interdisciplianare perché non se ne può parlare se non riprendendo
in mano i libri di letteratura, di filosofia e di storia. Questo
impegno però elargisce dei frutti abbondanti perché mette dinnanzi
alla bellezza di un periodo storico fervente e ricco di idee
apportatrici di consolazione nel contesto come il nostro che sembra
essersi appiattito sull'orizzontale, sul banale.
La
prima vera “scoperta” è stata l'affermazione secondo cui
l'Umanesimo parte dalla rinascita carolingia, con Alcuino e le
riforme di Carlo. Il ritorno alle lettere, allo studio degli autori e
della lingua e tutto l'impegno che ha caratterizato il regno di Carlo
Magno sono il paradigma di ciò che è avvenuto nel XV secolo in
Italia. Il Medioevo, giustamente, viene descritto come è ovvero un
tempo esteso in cui il genio dell'uomo ha raggiunto delle vette
ineguagliate. Il Medioevo è quindi liberato dal mito dei secoli
“bui” e del dominio del “barbaro” invasore ed incivile (anche
se guardando ai Normanni si nota come questo sia soltanto un
illusorio tentativo di caratterizzare un'epoca lontana secondo
paradigmi stantii e falsi).
Una
riflessione attira l'attenzione: il Medioevo leggeva i classici, li
amava e li ha trasmessi alla modernità. Il Medioevo si “cibava
dell'antichità e la fece propria”(p. 22). Allora nella cultura
medioevale si percepisce la continuazione di quella antica.
I
barbari non erano tali perché ignoravano i classici ma perché non
comprendevano la forza del contesto storico in cui gli antichi
avevano parlato!
“Gli umanisti scoprono i classici perché li staccano da sé tentando di definirli senza confondere con il proprio il loro latino” (p. 24).
Garin
espone anche un metodo, una chiave di lettura del periodo
rinascimentale reindirizzando le menti alla novità:
“l'Umanesimo ha veramente scoperto gli antichi, siano essi Virgilio o Aristotile, pur notissimi nel Medioevo, perché ha restituito Virgilio al suo tempo ed al suo mondo e ha cercato di spiegare Aristotele nell'ambito dei problemi e delle conoscenze dell'Atene del quarto secolo avanti Cristo” (p. 24).
Dalle
litterae
l'attenzione si sposta sulla filosofia:
il pensiero umanista subisce un radicale nuovo orientamento verso
Platone. Aristotele, che aveva dominato la sfera scientifica,
letteraria e filosofica fino al XV secolo, continua ad essere
studiato, glossato ed approfondito soprattutto grazie all'accesso
diretto alle fonti originali, al greco. Ma Aristotele gradualmente
non è più “il Filosofo” che va accettato per puro dogmatismo,
insindacabile. Al suo posto viene studiato e diviene fonte di
ispirazione Platone:
“La filosofia di Platone fu al centro di una cultura perché rifiutava le antiche sicurezze, che spingeva un mondo chiuso, ordinato, fisso; che si trovava in una crisi storica ove le venerande unità andavano in frantumi il mondo ed i rapporti umani cambiavano” (p. 20).
La
civiltà cambia, il mondo comincia ad essere affrontato in modo del
tutto differente dal passato e qui si crea una rivoluzione di idee
che non è sovversione ma è materia in fermento tanto da far
lievitare un'intera societa, quella italiana dei secoli XV e XVI.
Garin
continua la sua analisi affermando:
“Così ad un certo momento dire Paltone significò soprattutto spazzare l'oppressivo mondo aristotelico, chiuso, gerarchico, finito, e conquistare contro tutte le sistemazioni uno spirito nuovo di ricerca, spregiudicato e veramente libero, mentre il tema ubi spiritus, ibi libertas, si incontrava con il nuovo programma iuvat vivere” (pp. 20-21).
La
“rivoluzione” dell'Umanesimo si estende non solo al campo degli
studiosi e dei letterati, che cominciano ad acquisire una nuova
fisionomia ma si riverbera con forza anche sulla vita
civile.
Si
inizia a riflettere sul valore dell'impegno civile e si giunge a
riconoscere che chi è letterato non può rimanere chiuso nel suo
mondo, seppur eccelso. L'uomo che si dedica alle sue lettere non
spende la sua vita chiuso tra mura di libri e di fantastiche visioni.
La sua solitudine è un mezzo per far nascere una fervente vita
sociale, una vita attiva volta al bene comune, dal tavolo di studio
all'impegno politico, sociale, militare in difesa della patria e
delle proprie preogative. Lo studio delle litterae
non esula dall'impegno nella società degli uomini, non si
concretizza in una vita sciolta dal legame matrimoniale ed impegna in
una vita che la patria e la società richiedono.
Il
rinnovato platonismo si oppone allo stoicismo, generalmente rifiutato
e disprezzato. In questo periodo viene attacca fortemente la scelta
religiosa del monastero: l'ascetismo stoico e la solitudine della
cella eremitica o monastica sono considerati atteggiamenti che vanno
contro l'uomo e la sua natura, sociale ed impegnata perché la
contemplazione delle realtà superne non appartiene pienamente a
questo mondo. Si muovo in questo senso sia il Niccoli secondo cui le
litterae hanno
giovato ad vitam et mores, e
Gianmichele
Bruto che nel De laudibus
historiae afferma:
“Ci educa non il filosofo che langue inattivo ma Scipione armato e non nelle scuole di Atene ma negli accampamenti di Spagna, e ci educa non con i discorsi ma con gli atti e con gli esempi” (p. 75).
Alla
concezione della vita civile come massima espressione delle lettere
si oppone un'altra opposta interpretazione del Platonismo: l'impegno
ascetico, contemplativo rimane eccellente rispetto a quello attivo e
ciò che le litterae riescono
a modulare e formulare, sono pensieri che durano per generazioni così
che oggi noi possiamo leggere Virgilio, Cicerone, Platone e tutti i
grandi della flosofia, della letteratura e della scienza perché essi
hanno parlato e scritto per i contemporanei ed il loro pensiero ha
superato i secoli. Le azioni degli uomini valorosi, per quanto
meritorie, sono azioni che sopravvivono per breve tempo perché il
loro ricordo non è stato fissato sulla carta o legato a parole
immortali.
In
questo senso si assiste ad un Platonismo che prende le sembianze di
un pendolo le cui oscillazioni vanno dall'elogio della vita attiva
fino alla sua massima estensione opposta nella dichiarata supremazia
della contemplazione e dell'ascetismo. Platone, che viene riscoperto
e ristudiato a partire dalle fonti, tra Umanesimo e Rinascimento
viene letto ed interpretato secondo le esigenze dei lettori e dei
commentatori creando le basi della moderna società e del moderno
pensiero dalla critica textus
al metodo scientifico dei nostri giorni.
Francesco Bonomo
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1 L'indicazione
delle pagine nelle citazioni si riferisce ad un'edizione speciale
del testo per i tipi de “Il Sole 24 Ore”.