di Susanna Agnelli
Mondadori, 1998
€ 9.50
Nel 1975 Susanna Agnelli, Suni come la chiamavano in famiglia, pubblicò Vestivamo alla marinara, un libro destinato a vendere migliaia di copie.
Si tratta di un racconto, scritto in prima persona, che rievoca l'infanzia, ma soprattutto la giovinezza della scrittrice, ai tempi della Seconda Guerra Mondiale fino al matrimonio con Urabano Rattazzi, avvenuto alla fine del conflitto. Figlia di Edoardo Agnelli e nipote del Senatore e fondatore della FIAT Giovanni, Susanna apparteneva a una delle più importanti dinastie industriali italiane. Fu cresciuta insieme ai fratelli nella grande casa di Torino, dove la sua educazione era affidata alla governante inglese, Miss Parker.
Gli anni dell'infanzia vengono descritti in modo molto cupo, la disciplina a cui i bambini dovevano sottostare era rigida. Così si legge già dal primo capitolo:
Dopo colazione facevamo lunghe passeggiate. Attraversavamo la città fino a Piazza d'Armi dove i soldati facevano le esercitazioni. Soltanto se pioveva ci era permesso camminare sotto i portici ( i famosi portici di Torino ) e guardare le vetrine dei negozi. Guardarle senza fermarsi, naturalmente, perchè una passeggiata è una passeggiata e non un trascinarsi in giro che non fa bene alla salute.
L'evento che segnò l'infanzia di Susanna fu la morte del padre in un incidente. La madre Virginia lottò a lungo contro il Senatore per la tutela dei figli; trasferitasi definitivamente a Roma, chiese udienza a Mussolini per ottenere il suo appoggio, ma alla fine fu costretta a cedere alla richiesta di affidamento del suocero. Durante il periodo di lontananza, Suni e i suoi fartelli soffrirono molto, una frase più di tutte è significativa per capire quello che doveva essere il loro stato d'animo:
Non studiavamo più. Non facevamo alcun senso. Dicevamo sempre di no.
Solo dopo lunghe insistenze dei nipoti, il Senatore si arrese, affermando che:
Se una donna era riuscita a farsi amare in quella maniera dai suoi figli, per dio, doveva pure in qualche modo essere diversa da come lui pensava.
Dopo questi eventi, ci fu dunque per la giovane Susanna un periodo felice, trascorso tra Roma e la Costa Azzurra, e poi il soggiorno in un collegio inglese, dal quale si ritirò dopo una permanenza infelice, a causa della disciplina, quasi medievale, che le veniva imposta e che reprimeva ogni suo slancio creativo e curiosità intellettuale.
Superate le vicende dell'infanzia, si apre la parte più interessante del libro, quella che tratta della giovinezza. Questa fu segnata da un senso costante di frustrazione, dovuto ad una forte inquietudine esistenziale. Appena diciottenne, Susanna si iscrisse ad un corso per diventare infermiera e si diplomò, pur non avendo ancora raggiunto l'età minima di ventuno anni richiesta per svolgere quel compito. Arruolata nel corpo della Croce Rossa Italiana, quando scoppiò la guerra lavorò sulle navi ospedale inviate nei luoghi dei combattimenti. In Africa fu a contatto con i malati, con realtà disumane e si scontrò in più occasioni con la mancanza di pietà usata nei confronti di soldati che appartenevano agli schieramenti nemici. La caratteristica forse più straordinaria di questa donna è proprio il non arrendersi mai davanti alle ingiustizie, lottare per rendere le cose un po' più simili a come avrebbero dovuto essere, senza lasciarsi scoraggiare da chi le diceva che non poteva cambiare il mondo. A vent'anni aveva già vissuto più di quanto non facciano molte persone in una vita intera.
Pur essendo sconvolta dagli orrori della guerra, non smise mai di dare il propro aiuto a chi ne aveva bisogno. Insieme ad un gruppo di volontarie e con alcune macchine Fiat a disposizione, creò un'unità di soccorso mobile, allestendo i veicoli come fossero stati ambulanze. Riuscì a ottenere dali Alleati la benzina necessaria e iniziò a trasportare feriti e morenti agli ospedali o nelle loro case.
Il suo coraggio si mostrò in più occasioni. Durante il suo servizio di infermiera, lavorando a Firenze, rischiò la propria vita mentre trasportava, con alcune colleghe, la salma di una donna fuori dalle mura dell'ospedale. In quel periodo, infatti, si diceva che i cecchini appostati nei palazzi della città risparmiassero la vita solo a chi portava le insegne della Croce Rossa. Sempre nello stesso periodo, su richiesta di un partigiano, si introdusse un una casa abbandonata per verificare che non ci fosse all'interno alcun nemico pronto a fare fuoco su chi capitava a tiro.
Non si può non rimanere colpiti dal carisma di una figura che, ancora così giovane, fece tanto per gli ideali che serviva. Le pagine che raccontano da vicino la guerra sono senza dubbio angoscianti: la paura per la propria vita, per quella dei propri cari, il terrore di non vedere il domani venivano affrontati e messi a tacere attraverso il lavoro continuo prestato tra i malati, a volte senza dormire per giorni. Punto di svolta della narrazione è il momento della liberazione. Seduta sulla jeep di Puccio Pucci, che serviva l'esercito alleato, Suni vide per la prima volta la nuova Firenze liberata:
Ero follemente curiosa di vedere questo esercito alleato che avevo atteso con tanta ansia. Era come un appuntamento alla cieca con un ragazzo che si immagina favoloso: non sono rimasta delusa. Intanto erano un'infinità e poi non sembravano affatto in guerra (...) tutti erano socievoli. Nessuno faceva domande o chiedeva documenti (...). Non ne rinvenivo.
Con questo episodio volge al termine anche la narrazione e dopo tanto dolore, il fianle è pieno di speranza. Nel 1945, Susanna sposa il conte Urabano Rattazzi a Forte dei Marmi e le ultime parole della storia riguardano lui:
Ho guardato nei suoi occhi verdi e ho pensato che la vita sarebbe stata un prato verde, verde come i suoi occhi, pieno di bambini che correvano.
Francesca Cioce