Lo zen e l’arte della cerimonia del tè
di Kakuzo Okakura
Feltrinelli 1998 (1964)
99 pp.
7,00 euro
In origine il tè fu medicina, per poi trasformarsi in bevanda. Nella Cina dell’VIII secolo entrò a far parte del regno della poesia, come uno dei passatempi raffinati. Nel XV secolo il Giappone lo elevò a religione estetica - il teismo.
Il popolo occidentale, anzi ormai mondiale, si divide in due categorie: chi a colazione beve il caffè e chi preferisce il tè. Mauriel Barbery li definisce come “l’incanto e l’eleganza contro la cattiveria e i giochi di potere degli adulti”. Questo libello è per il “popolo del tè”.
Immaginiamo per un momento di essere nel Giappone di fine Ottocento: le frontiere e le barriere erette per proteggersi dalla penetrazione occidentale sono ormai crollate. Il governo ha avviato un’importante politica di modernizzazione; non tutti sono contenti di questi inevitabili cambiamenti. C’è che ritiene che questo modo di agire possa far scomparire le tradizioni del fragile mondo color dei ciliegi in fiore. Uno degli esteti che si battono perché ciò non avvenga è l’autore di questo piccolo trattato. Kakuzo Okakura, discendente di una famiglia di samurai, studente della Tokyo Imperial University sotto Ernest Fenollosa, suo mentore e ispiratore per The book of tea.
Sono solo novantanove pagine, lettura critica e note incluse. Parrebbe un volumetto da bere tutto d’un fiato e invece si corre il rischio di scottarsi e non riuscire a coglierne la fragranza. L’opera esce nel 1906 ed è l’elaborazione di un uomo che ha alle spalle un importante e nobile retaggio e ha studiato ed è cresciuto nel periodo di pieno processo occidentalizzante. L’autore è preso tra due mondi apparentemente inconciliabili e decide così di tentare di spiegare agli occidentali gli aspetti della cultura orientale utilizzando il tè come simbolo. Ancora oggi Lo zen e l’arte della cerimonia del tè è considerato il perfetto “manuale” di avvicinamento alla cultura giapponese.
Che cos’è il tè per gli orientali? Everett F. Bleiler, l’autore dello scritto in chiusura del trattato, lo paragona al sale per gli occidentali. Il sale conferisce sapore e gusto a cose che altrimenti sarebbero scialbe e senza mordente. Lo stesso fa il tè per gli orientali. E’ modo di dire comune infatti che una persona sia “con troppo tè” o “senza tè” in base al suo carattere più o meno passionale. Mentre però noi occidentali abbiamo reso il sale una sorta di moneta di scambio (la parola “salario” indica ancora oggi lo stipendio), per l’Oriente il tè è prima di tutto raffinatezza, silenzio e armonia. Per poter degustare al meglio una tazza anche l’ambiente che ci circonda deve essere perfetto: una sala da tè deve essere Dimora del Vuoto, con pochi elementi posti solo in virtù di un preciso motivo estetico e deve accogliere non più di cinque persone “Più delle Grazie e meno delle Muse”. Semplicità e purezza sono le parole d’ordine. Gli strumenti per la preparazione della bevanda devono essere sempre scrupolosamente puliti e utilizzati con gesti precisi e misurati. Si devono ascoltare i fiori di ciliegio che cadono a terra.
Okakura cerca di farci capire tutto questo, vuole che gli Occidentali capiscano, e capendo, accettino. Un libro da leggere alla sera, per sciacquare via dalla mente lo stress e le preoccupazioni della giornata, in completo silenzio, se proprio non avete in giardino un ciliegio in fiore.
Giulia Pretta