André Breton ( 1896 – 1966),
saggista e critico d'arte francese, noto come poeta e teorico
del surrealismo, scrisse un racconto autobiografico, Nadja, uscito presso Gallimard nel
1928,
e in edizione rivista dall'autore nel 1963. In italiano nella traduzione
di Giordano Falzoni
e con una nota di Lino Gabellone, è uscito nella collana
"Einaudi Letteratura" nel 1972,
quindi nella "Nuovi
coralli" nel 1977, e nella "Letture", con prefazione di Domenico
Scarpa
nel 2007, presso Einaudi. Un estratto.
Chi eravamo noi di fronte alla realtà, a questa realtà che ora so accucciata come un cane sornione ai piedi di Nadja? A quale latitudine potevamo mai trovarci, in preda a tal punto al furore dei simboli, in preda al demone dell’analogia, fatti segno visibilmente a interventi esterni, a singolari, a speciali attenzioni? Come si spiega che proiettati insieme, una volta per tutte, così lontano dalla terra, nelle brevi tregue che ci lasciava il nostro meraviglioso stupore, abbiamo potuto scambiarci vedute incredibilmente concordi da sopra le macerie fumose del vecchio pensiero e della sempiterna vita? Dal primo all’ultimo giorno, ho considerato Nadja un genio libero, qualcosa come uno di quegli spiriti dell’aria che certe pratiche di magia consentono di legare momentaneamente a sé ma che è impensabile sottomettere. Quanto a lei, so che le è accaduto nel pieno senso della parola di prendermi per un dio, di credere che fossi il sole. Mi ricordo anche – niente in quell’istante avrebbe potuto essere ad un tempo più bello e tragico – mi ricordo d’esserle apparso nero e freddo come un uomo folgorato ai piedi della Sfinge. Ho visto i suoi occhi di felce aprirsi al mattino su un mondo in cui il palpito d’ali della speranza immensa si distingue appena dagli altri rumori che sono quelli del terrore e, su quel mondo, non avevo ancora visto, fino allora, se non degli occhi che si chiudevano.
F. Fiorletta
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