La bella del Chiaravalle
di Dario Crapanzano
Fratelli Frilli Editore
pp. 215
"Alle sette di una bella mattina di maggio, Attilio Robotti uscì dalla Magneti Marelli di Sesto San Giovanni, dove lavorava come operaio specializzato" (5)
Comincia così La bella del Chiaravalle (Fratelli Frilli Editore, 2012), secondo libro dello scrittore milanese Dario Crapanzano con protagonista il Commissario Mario Arrigoni.
Un inizio che sembra già un marchio di fabbrica, se confrontato con l'incipit de Il giallo di via Tadino, recensito sempre su Critica Letteraria il 25 aprile scorso.
Attilio Robotti, dopo aver smontato dal turno di notte in fabbrica, rientra nel suo appartamento e trova distesa sul pavimento la nipote Lina, uccisa brutalmente a colpi di forbici. L'arma del delitto, ovviamente, non si trova e sono anche sparite le chiavi di casa e una bicicletta Olmo nera da donna, che era parcheggiata nell'androne del portone.
Da qui inizia l'indagine di Arrigoni, che si muove negli stessi ambienti sociali della precedente: Robotti vive nel quartiere di Greco, sul Naviglio della Martesana, in una tipica casa di ringhiera; Lina, sua nipote, dopo una precoce vedovanza e qualche anno da mondina, inizia a fare la vita nelle case di tolleranza di diverse città, tra cui il Chiaravalle di via Chiaravalle, in pieno centro a Milano.
Le circostanze del delitto sono misteriose e costringono Arrigoni ad addentrarsi in uno spaccato della vita milanese -e italiana- che non esiste più: quello delle case chiuse, anche conosciute come casini.
Crapanzano è ben cosciente di toccare un tasto delicato della nostra vita sociale, su cui si sono versati fiumi d'inchiostro dalla vena ipocrita. Non che sia da lodare, il casino, ma è sbagliato demonizzarlo: di fatto questi luoghi ricevevano quotidianamente almeno una visita da parte delle Forze dell'Ordine e le ragazze che vi lavoravano erano controllate da un medico due volte la settimana. Inoltre - e qui pone l'accento Crapanzano - spesso il casino era l'ultima tappa di un cammino iniziato nella più profonda miseria: ragazze di provincia, sfruttate dai padroni dei campi nei quali lavoravano, che preferivano invertire i ruoli ed essere loro ad avvantaggiarsi delle debolezze del sesso maschile.
È il caso di Lina e della sua amica Veronica, che consapevoli della loro bellezza decidono di sfruttarla a loro vantaggio. Un giorno, e spesso succedeva, avrebbero risparmiato abbastanza da aprirsi una loro attività, come una profumeria o una trattoria. In questo modo il casino diventava una tappa intermedia di un percorso di ascesa sociale.
Come nel precedente romanzo, la vittima è una donna che si prostituisce, anche se in questo caso le ragioni che hanno spinto la Lina a questa vita sono ben più serie del narcisismo e dell'avarizia di Clara Bernacchi (vittima ne Il giallo di via Tadino, ndr). E forse anche per questo il Commissario non rimane indifferente nei suoi confronti e nei confronti delle altre ragazze del Chiaravalle. Arrigoni sa bene cosa significhino fame e miseria: le sue umili origini e la fatica che gli è costata una laurea da studente lavoratore gli permettono di guardare al mondo senza pregiudizi. E questa è la forza di un personaggio verso il quale il lettore inizia anche ad affezionarsi.
La Milano di Arrigoni/Crapanzano inizia a prendere una sua forma precisa: gli anni '50 - siamo nel 1952 - sembrano essere la decade d'oro di una città in piena ricostruzione post-bellica. A tratti nostalgica, la prosa di Crapanzano recupera, nei movimenti e nelle abitudini di Arrigoni, la memoria di un tempo quasi perduto. Non possiamo fare a meno di notare ciò quando l'autore sottolinea che la pausa pranzo, nel 1952, durava ben due ore, a fronte dell'oretta scarsa del 2012.
Il quartiere di Porta Venezia - popolare e borghese allo stesso tempo- si conferma, quindi, lo scenario ideale per gli spostamenti del Commissario, il cui personaggio assume ora una fisionomia chiara e precisa: rispetto al precedente romanzo, infatti, Crapanzano aggiunge numerosi dettagli alla personalità del burbero Arrigoni, ma anche a quella dei suoi assistenti Mastrantonio e Di Pasquale, che ci ricordano i Mimì e Fazio di Andrea Camilleri.
Ma sarebbe errato pensare che lo scrittore milanese sia alla ricerca di un Montalbano in salsa meneghina. Lo schema è quello classico del poliziesco seriale e d'autore; del resto lo stesso Camilleri non nasconde il suo debito nei confronti di Manuel Vázquez Montalbán, il creatore di Pepe Carvalho. Questa è la letteratura e già Terenzio nel II secolo a.C. scriveva: nullum est iam dictum, quod non sit dictum prius.
La bella del Chiaravalle è un bel giallo che lascia delle porte aperte sulle vite dei suoi personaggi principali. C'è da augurarsi, quindi, che Crapanzano continui su questa strada e ci dia da leggere quanto prima la terza indagine del Commissario Mario Arrigoni.