Di António Lobo Antunes
Feltrinelli, 2009 (1979)
Ia edizione italiana Einaudi, 1996
pp. 176
Traduzione italiana di Maria José de Lancastre
La guerra è sempre una faccenda ingiusta, sporca e crudele. Una guerra coloniale lo è in particolar modo, perché agli orrori del conflitto in sé sovrappone odi razziali, violenze, sopraffazioni e massacri ai danni di intere popolazioni già sottomesse.
Dal 1961 al 1974 il regime salazarista portoghese inviò migliaia di soldati in Angola, Mozambico, Guinea Bissau e negli altri possedimenti per reprimere i movimenti di liberazione nazionale che lottavano per affrancarsi dal colonialismo, analogamente a quanto era già accaduto praticamente ovunque negli altri Paesi africani e asiatici, il cui processo di decolonizzazione da Francia, Belgio e Gran Bretagna, iniziato alla fine della seconda guerra mondiale, era già terminato. Quello che spesso viene definito “il Vietnam portoghese” provocò circa novemila morti fra i soldati portoghesi e centomila fra i civili africani, e costituì uno dei principali fattori di sgretolamento dell’Estado Novo, il regime parafascista portoghese che, in auge dal colpo di stato del 1932 alla Rivoluzione dei Garofani del 1974, si rivelò la dittatura più longeva d’Europa.
Di questo parla In culo al mondo di António Lobo Antunes, della sanguinosa guerra combattuta in Angola, rivissuta attraverso la voce di un reduce in un interminabile e a tratti surreale monologo in cui inframmezza amare riflessioni sul presente, avance a una donna incontrata in un bar e ricordi dell'esperienza traumatica della guerra.
Un lungo monologo dunque, una sorta di flusso di coscienza in cui affiorano particolari cruenti che in un modo o nell'altro si legano al presente, condizionandolo e appesantendo il già carico fardello della quotidianità, spesa nel rimpianto e nell'abbrutimento alcolico. La vicenda prende le mosse al bancone di un bar e termina nel letto del protagonista; tuttavia è un percorso nella nebbia, non sappiamo se davvero vi è un interlocutore – la donna – o se quello che pare realtà sia invece una gigantesca distorsione percettiva, somma di desideri e immaginazioni.
Ciò che vi è di drammaticamente nitido è la memoria, che indugia sugli episodi vissuti dal narratore, spedito in Angola come medico militare e quindi testimone diretto, impotente di fronte alle devastazioni, sia fisiche che psichiche, causate dalla guerra. Impotente nel veder morire ragazzi saltati sulle mine o suicidi per la disperazione, ma anche – e soprattutto – nell'assistere alle torture e alle esecuzioni sommarie operate dalla polizia politica governativa e dai coloni portoghesi.
Lobo Antunes, nato nel 1942, laureato in medicina, prestò servizio militare in Angola all'inizio degli anni Settanta come ufficiale medico; è quindi facile intuire che i ricordi evocati dal protagonista sono in realtà quelli dello scrittore stesso. La guerra do ultramar rappresenta infatti un tema importante nel percorso letterario di Lobo Antunes, già affrontato in Memória de Elefante e Conhecimento do Inferno, risalenti allo stesso periodo di questo libro.
In culo al mondo, pubblicato in Portogallo nel 1979, giunse in Italia solo nel 1996 grazie ad Antonio Tabucchi che fece conoscere Lobo Antunes al pubblico italiano. La pregevole traduzione del romanzo è opera di Maria José de Lancastre, moglie dello stesso Tabucchi.
Perché (ri)leggerlo, quindi? semplice: affrontare un libro di Lobo Antunes è sempre un'avventura, un inoltrarsi in una giungla densa e impenetrabile, dimora di ossessioni e paure, cui in questo caso si aggiunge la vicenda del conflitto coloniale e della perdita dell'impero, ferita aperta nella memoria collettiva del Portogallo, che solo ora, a distanza di anni dal ritorno alla democrazia, inizia a metabolizzare il frangersi dei miti dell’iperidentità e della predestinazione, presenti in modo ubiquo e pervasivo fin dai tempi di Camões.
Stefano Crivelli
Stefano Crivelli
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