La mia seconda giornata
di Festival Letterario è iniziata con la conoscenza di Ramona Parenzan, Valbona Jakova e Lidia Dascalu che hanno lavorato (come
curatrice e autrici) al libro Babel Hotel,
edito da Infinito Edizioni nel 2011 che, già da una prima occhiata, ho
trovato interessante per la progettualità e la ricerca che vi sta alla base.
Lavoro di scrittura collettiva, di presa di parola sul tema della città
plurale, dell’accoglienza, dell’immigrazione. Parla di un fatto e di una
situazione reali (dietro il Babel Hotel si nasconde l’Hotel House di Porto
Recanati) ma lo fa attraverso la narrazione e la poesia. Quando la letteratura
riesce a parlare della realtà più dell’inchiesta stessa. Le ringrazio per
la gentilezza che hanno dimostrato nei miei confronti e per quello che sono
riuscite a raccontarmi di loro, in quel poco tempo passato insieme. Mi
riprometto di recensire Hotel House al
più presto!
Alle 19.00 mi sono spostata al Vinodromo per parlare di libri in rete e futuro
dell’editoria digitale insieme ai ragazzi di Ledita e di GenerazioneRivista,
interessanti realtà del web che ci hanno introdotto i loro progetti e le idee
nelle quali credono. Ledita (http://www.ledita.it/) è un gruppo che racchiude una
decina di persone interessate a studiare, capire, innovare il futuro del libro
nei suoi molteplici aspetti: dal ruolo dei lettori, alla lettura digitale, al
rapporto editori-lettori, alle questioni dei diritti e dei contratti fino alla
letteratura accademica, ai formati, ai supporti. Un sito intelligente che seguo
da un po’ che, finalmente, affronta questioni come il digitale in modo critico,
approfondito, mai banale. Il gruppo Ledita è stato anche l’inventore di
Librinnovando, un convegno che ogni novembre fa il punto sul futuro
dell’editoria, che è nato a Milano ma quest’anno ha avuto una replica anche a
Roma. Insieme a loro, ieri erano presenti anche i due redattori di Generazione
Rivista (http://genrivista.wordpress.com/), giovane rivista di cultura e letteratura, nonché blog,
presente in rete dal 2008.
Insieme ci hanno presentato il progetto #lettera22 (hashtag di Twitter)
a cui avevano dato inizio il 31
maggio. L’idea era quella di lanciare una serie di domande ad autori, editori e
lettori sul futuro del libro e riunirle in uno storify che permettesse di averne una visione globale. Il dialogo e
la risposta breve come forma di indagine per sondare il modo con cui vengono
percepiti i cambiamenti in atto e quali sono le previsioni riguardo al futuro. Come cambia la scrittura? Come immaginate
il vostro lavoro tra cinque anni? Grazie all’e-book si legge di più? Ci
siamo divertiti a leggere alcune risposte e a discuterle insieme affrontando
temi quali la paura del cambiamento, i canali, la scrittura frammentaria, il
boom delle case editrici native digitali, i timori degli editori italiani, le
abitudini dei lettori, l’ampliamento della possibilità di scelta, la
moltiplicazione delle occasioni di fruizione e di lettura. Quel che mi è piaciuto di più è l’approccio dialettico che questi
ragazzi usano nel proprio lavoro, l’idea che un cambiamento come quello che il
digitale comporta non debba spaventare ma debba essere accolto, compreso,
studiato con lungimiranza (quella stessa che editori e scrittori italiani
spesso si rifiutano di mostrare). Per far questo occorre essere informati sulle
nuove tecnologie, sulle applicazioni, sulle possibilità del digitale e capire
che dietro l’e-book non sta solo la trasposizione di un testo letterario su un
dispositivo di lettura ma un lavoro complesso di digitalizzazione, scelta di
formati, studio delle forme testuali. Solo ponendosi queste domande e guardando
– con un pizzico d’invidia – a quei paesi nei quali il digitale costituisce una
realtà significativa e in crescita costante, potremo sviluppare previsioni e affrontare
questo fantomatico “mostro digitale” con la consapevolezza che alcune cose
stanno cambiando e non ha senso chiudersi in una tanto banale quanto inutile falsa dicotomia tra tradizione e digitale,
amanti del profumo della carta vs. amanti delle tecnologie. Continuando a leggerlo solo come un contrasto non si rischia di rimanere
fermi?
La mia giornata si è conclusa alla Libreria Popolare di
via Tadino dove ho avuto il piacere di partecipare a quello che potrebbe essere
definito un contemporaneo salotto di conversazione. Ospiti della serata Roberta Mani e
Roberto Rossi, giornalisti e autori di Avamposto.
Nella Calabria dei giornalisti infami, edito da Marsilio nel 2010. Ci hanno
parlato del progetto Ossigeno per l’informazione (http://www.ossigenoinformazione.it/)
istituito
nel 2008 dal FNSI (Sindacato unitario dei giornalisti italiani) e dall’Ordine
dei giornalisti con l’obiettivo di monitorare e osservare la situazione delle
minacce a giornalisti e cronisti da parte della mafia, e non solo. Ma
soprattutto ci hanno spiegato come è nato e si è sviluppato il loro reportage
sulla Calabria, che diffidenze hanno dovuto vincere, il lavoro umano che hanno
compiuto una volta arrivati lì. Il titolo del libro deriva dall’idea che questi
giornalisti che continuano a scrivere quello che c’è dietro gli arresti, quali
sono le collusioni, gli affari e chi coinvolgono, che operano lontano dalle
redazioni centrali, nel pericolo di essere vittima di atti intimidatori e di
violenza, costituiscono degli avamposti
di democrazia, delle torrette di
libera informazione in un mondo non libero. Il libro nasce come raccolta di
racconti ma è diventato racconto globale che offre lo spaccato di una terra,
della sua mentalità, dei retroterra socio-culturali che sottendono il potere
mafioso.
Il clima raccolto e
informale, la gentile accoglienza del libraio Guido Duiella, il fatto che
fossimo pochi, raccolti in cerchio e circondati dai libri, ha permesso lo sviluppo
di un dialogo che ci ha coinvolti tutti, uno scambio di opinioni che mi ha
stimolato e interessato come pochi. Abbiamo confrontato le nostre idee sulla
mafia, dai loro racconti abbiamo appreso di storie e vicende che ignoravamo.
Senza porsi in cattedra, come fanno a volte autori e giornalisti che parlano
del proprio lavoro, ci hanno spiegato i meccanismi di controllo del territorio,
gli scambi di favore mafia-politica, le modalità di infiltrazione in Lombardia.
Abbiamo appreso dell’alto numero di giornalisti che operano in Calabria e che,
minacciati non denunciano o, se lo fanno, non intendono far conoscere la
propria storia. Ma soprattutto mi sono confrontata con persone che amano la
propria professione, la svolgono con passione e coscienza sociale e civile, non
hanno avuto paura di indagare in terreni scomodi e che si battono per la libera
informazione. Confronto che è continuato, a fine serata, davanti a una pizza,
raccontandoci di noi, dei nostri studi, delle nostre città d’origine.
Tornata a casa, non ho
potuto che riflettere su quanto mi sentissi soddisfatta e fortunata per gli
incontri che la giornata mi aveva regalato.
Claudia Consoli