Gottfried Benn (1886-1956)
esordisce nell'avanguardia letteraria Berlinese nel 1912 con la
raccolta di poesie Morgue,
che si inserisce nella corrente espressionista dell'epoca. Ufficiale
medico uscito dalla Kaiser-Wilhelm-Akademie, si congeda ben presto
dall'esercito, per divenire, nel 1913, assistente di patologia nelle
cliniche berlinesi. Inizialmente aderisce al movimento
nazionalsocialista, come testimoniano alcuni suoi discorsi trasmessi
per radio nel 1933, anno in cui i gerarchi nazisti gli assegnano
l'incarico di dirigere la sezione poetica dell'accademia di Prussia,
incarico che svolgerà fino al 1935 quando verrà espulso
dall'accademia a causa dei suoi scritti giovanili, macabri e brutali,
che poco si sposavano con l'ideale nazista di poesia. Da quel momento
in poi prenderà definitivamente le distanze dal nazismo e si
allontanerà da Berlino. Alla sua morte verrà ricordato come maestro
di lirica moderna irta di contrafforti sperimentali, di
contraffazioni ironiche e di un linguaggio brutale ed espressivo,
fondamentale per esprimere gli orrori della guerra e la seduzione
della decadenza.
I
testi presentati appartengono alla prima raccolta di poesie Morgue
(obitorio)
caratterizzata da liriche ambientate per lo più tra i padiglioni
dell'ospedale, tra malattia, autopsie, sangue e morte. Grande
sostenitore di miti regressivi e di pre-coscienza, Benn esalta nella
raccolta il potere creativo degli stati alterati, come sogno, follia
e droga, convinto che solo in essi l'uomo possa trovare il suo vero
Io e ricongiungersi alla natura.
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Piccolo Astero [1] (1912)Venne issato sul tavolo un autista di birreria morto annegato.Qualcuno gli aveva messo a forza tra i dentiun astero gridellino chiaro-ambrato.Quando partendo dal pettodi sotto la pellecon un lungo coltellorasecai lingua e palato,devo averlo urtato, perché scivolòsul cervello lì accanto.Glielo sistemai nel cavo del toracetra i trucioli di legnoquando si ricucì.Bevi a sazietà nel tuo vaso!Riposa dolcementepiccolo astero!
Requiem (1912)Due su ogni tavolo. Di traverso tra loro uominie donne. Vicini, nudi, eppur senza strazio.Il cranio aperto. Il petto squarciato. Orafigliano i corpi un'ultima volta.Tre catini ricolmi ciascuno: dal cervello ai testicoli.E il tempio d'Iddio e la stalla del demonioora petto a petto in fondo a un secchioghignano a Golgota e peccato originale.Il resto giù nelle bare. Tutte nuove nascite:gambe di uomini, petto di fanciulli e capelli di donna.Vidi, di due che fornicavano un tempo,là se ne stava, come sortito da un utero.
Sala delle partorienti (1912)Le donne più povere di Berlino- tredici bimbi in una stanza e mezzo,puttane, detenute, reiette -inarcano qui il loro corpo e guaiscono.In nessun altro luogo sofferenza e penasono del tutto, come qui, ignorati,poiché qui appunto dura sempre il grido.<< Spinga, signora! Mi capisce o no?Lei non è qui per divertirsi.Non la porti tanto per le lunghe.A spingere viene anche da evacuare!Non è qui per riposarsi lei.Non viene da sé. Deve fare qualcosa! >>Eccolo che sta venendo: piccolo e bluastro.Impiastricciato d'urina e feci.Con un piagnucolio a mo' di salva lo salutanoundici letti di lacrime e sangue.Soltanto da due occhi erompe al cieloun coro di jubilate.Passerà tutto – afflizione e gioia -per questa cosa piccola di carne.E se tra rantoli e spasimi gli accadrà di morire,ce n'è un'altra dozzina in questa sala.
Oh notte -: (1915)Oh notte! Ho preso già cocaina,e scissione del sangue sta avanzando,bianchi si fanno i capelli, gli anni si perdono in fuga,io devo, devo ancora una volta traboccandofiorire prima del dissolvimento.Oh notte! Non voglio poi così tanto,un grumo solo di raddensamento,una nebbia del vespero, un fermentodi sottigliezza di spazi, di sentimento dell'Io.Papille tattili, orlo di cellule rosse,un va e vieni e con esso profumi,da rovesci straziato di parole e nubi -:troppo fondo nel cervello, troppo angusto nel sogno.Sfiorando la terra s'involano le pietre,verso una piccola ombra si dilata la bocca del pesce,nel farsi delle cose solo pencolamaligno lo spolvero del cranio.Oh notte! Non voglio che tu ti dia pena!Solo una scheggia esigua, un fermagliodi senso dell'Io – traboccando, ancora una voltafiorire prima del dissolvimento!Oh notte, prestami fronte e capelli,sciogliti intorno a ciò che nel giorno muore;sii tu colei che per rifarmi calice e coronami generò dal mito di nevrosi.Oh taci! Sento un oscuro voltolarsi fievole:in me – senza sarcasmo – s'effondono costellazioni:Io, visione: me, dio solitario,un immenso adunarsi intorno a un tuono.
Sintesi (1917)
Tacita notte. Taciturna casa.Ma stella io sono delle più silenti,riverso ancora la mia stessa lucefuori di me nella mia stessa notte.Cerebralmente son io rimpatriatoda antri, cieli, sozzura e bestie.Anche quel che alla donna ancor si donaè cupo onanismo dolce.Rotolo mondi. Rantolo rapina.E a notte nella gioia mi denudo:non torcimento di morte, non fetidume di polvereme, io-concetto, riavvinghia al mondo.
[1] L'Astero è un fiore appartenente alla famiglia delle Asteraceae, dall’aspetto di piccole erbacee annuali o perenni dalla tipica infiorescenza simile alle margherite.
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Introduzione e selezione testi a cura di A. Dario Greco
(Testo di riferimento, Gottfried Benn, Morgue, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1971)
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