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#Pillole d'Autore - I diari di un egocentrico, fastidiosissimo genio

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Come non restare urtati dalla personalità sconvolgente di Salvador Dalì (Port-Lligat, 1904-1989)? Grandissimo pittore, in dialogo e scontro con il surrealismo fino a diventarne il massimo rappresentante, scultore, designer, stilista (come non ricordare i suoi modelli per il ballo veneziano di Beistegui?), amante di cinema (il suo Chien Andalou su tutti), ma anche mononumentale costruttore di sè. Salvador Dalì è passato all'immaginario popolare per i suoi baffi straordinari, immortalati da Philippe Halsman, per le sue polemiche acri e bizzarre, per la sua stramberia continua, forse non compresa fino in fondo ma amata dalla compagna di vita Gala, ex-moglie del poeta francese Paul Eluard, poi musa ispiratrice e unico punto fisso nella vita dell'artista. Unico punto fisso insieme a Port Lligat, patria dell'artista, vero e proprio porto dove far ritorno dopo i tanti viaggi.
A questa costruzione del personaggio-Dalì concorrono le interviste, i video, nonché le scritture autobiografiche, che tanto spesso fanno parlare di sè sui giornali: non c'è pudore nell'autobiografia di La vita segreta di Salvador Dalì, così come manca qualsiasi filtro nella più tarda raccolta diaristica Diario di un genio, edita nel 1964, con brani tra il 1952 e il 1963, da cui abbiamo scelto una campionatura di testi. 
Il diario non è raro tra gli artisti, né raro nella metà del '900, ma questo riunisce caratteristiche insolite da trovare insieme: innanzitutto, si tratta di una pubblicazione pensata per il pubblico (e dunque smentisce l'istanza privata e la sincerità presunta del genere diaristico); inoltre l'artista apre il suo atelier ai lettori - si passa dall'ideazione dei quadri fino a seguire giorno per giorno (costanti le annotazioni di data, luogo e talvolta orario) il loro divenire, tra picchi umorali sregolati, alla Dalì, appunto, annotazioni sugli effetti (anche fisici e fisiologici!) che provocano i quadri, i progressi o gli incagli emotivi e tecnici,... E poi c'è l'amore per la sua donna-musa Gala, ma anche tanta dissacrazione nei confronti dei 'colleghi' surrealisti e degli altri artisti contemporanei, verso cui spesso indirizza un'ironia pungente. 
Non mancano annotazioni di incontri importanti, improvvise prese di coscienza del significato di questo o quel quadro, ma anche autoesaltazioni da superuomo super-partes, irritante nell'autocelebrazione estrema della propria dichiarata genialità (il titolo del diario, infatti, è d'autore!). 
Senza vergogne né forme di filtri razionali, Dalì è in grado di passare con la stessa tranquillità di penna a parlare dei propri escrementi, come dei quadri o di spettacolari progetti di lavoro. L'obiettivo è sempre affermare la propria individualità, e se far questo occorre rompere la tradizione e l'ordine morale costituito, tanto meglio. 
Il diario è consigliato agli amanti del pittore, a quelli senza pregiudizi, che possono ridere divertiti della stranezza di Dalì, e non sentirsi offesi dalla personalità sferzante dell'artista. 

Si permetta, da ultimo, di consigliare a tutti di andare a visitare la mostra romana "Dalì: un artista un genio" a Roma, nel complesso del Vittoriano. Una vera esperienza, di cui vi alleghiamo un paio di scatti rubati.


(Testo di riferimento: Salvador Dalì, Diario di un genio, trad. it. a cura di Fausto Gianfranceschi, Milano, SE, 1996 [1964])



Ben inteso, qui non dirò tutto. Ci saranno delle pagine bianche in questo diario che copre gli anni dal ’52 al ’63 della mia vita ri-segreta. Su mia richiesta e d’accordo con il mio editore, alcuni anni e alcun giorni devono restare inediti per il momento. I regimi democratici non sono adatti alla pubblicazione delle rivelazioni fulminanti che mi sono abituali. Gli inediti compariranno più tardi negli altri otto volumi della prima serie del Diario di un Genio, se le circostanze lo permetteranno, oppure nella seconda serie, quando l’Europa avrà recuperato le sue monarchie tradizionali. In attesa di questo momento, voglio che il mio lettore si tenga in esercizio e conosca sull’atomo di Dalì tutto quello che può già sapere.[1]
[…] tutte le pagine seguenti, dal principio alla fine (e senza che io c’entri per nulla), saranno geniali in modo ininterrotto e ineluttabile[2]
Quando i surrealisti scoprirono nella casa di mio padre, a Cadaqués, il quadro che avevo appena dipinto e che Paul Eluard battezzò Scherzo lugubre, furono scandalizzati dagli elementi scatologici e anali dell’immagine rappresentata. Gala, soprattutto, disapprovò la mia opera con una veemenza che quel giorno mi irritò, ma che, in seguito, ho imparato ad adorare.[3]

Mentre leggevo Auguste Comte per fondare su solide basi la mia nuova religione, Gala si rivelava la più positivista fra noi due. Trascorreva infatti le sue giornate dai negozianti di colori, dagli antiquari e dai restauratori di quadri per procurarmi i pennelli, le vernici e tutto il materiale che mi avrebbe consentito di dipingere veramente, quando mi fossi deciso a smettere di incollare sulle mie tele pezzi di carta e stampe a colori. Naturalmente, io non volevo sentir parlare di tecnica, mentre creavo la cosmogonia daliniana con i suoi molli orologi che profetizzavano la disgregazione della materia, con le sue uova al piatto senza piatto, con i suoi allucinanti e angelici fosfeni, reminiscenze del paradiso uterino, perduto nel giorno della nascita. Non avevo neanche il tempo di dipingere tutto come si deve. Bastava che fossero evidenti le mie intenzioni.[4]
Ho un’idea! Un’idea che scandalizzerà tutti e in particolar modo i surrealisti.[5]
Si tratta di Lenin. Voglio dipingerlo con una natica lunga tre metri, sostenuta da una gruccia. Mi servirà una tela di cinque metri e mezzo… Dipingerò il mio Lenin con la sua appendice lirica anche se mi varrà l’espulsione dal gruppo surrealista. Terrà in braccio un ragazzino, che sarò io. Mi guarderà con occhio cannibalesco e io griderò: “Mi vuole mangiare!”. […] Con mia grande delusione, la natica di Lenin non scandalizzò gli amici surrealisti. Ma questa delusione mi fu d’incitamento.[6]
Nel frattempo Hitler hitlerizzava, e un giorno dipinsi una sferruzzante balia nazista, inavvertitamente seduta in una grande pozzanghera. Per l’insistenza di alcuni fra i miei più intimi amici surrealisti, dovetti cancellare il bracciale con la svastica. Mai avrei sopettato l’emozione che la croce uncinata doveva scatenare.[7]
E a Gala: «Portami l’ambra all’olio di spigo e i pennelli più fini del mondo. Niente sarà abbastanza raffinato per dipingere alla maniera ultra-retrograda di Meissonier il delirio super-nutritivo, l’estasi mistica e carnale che s’impadronisce di me quando cerco di rendere sulla tela l’impronta di questa docile bretella di cuoio sulla carne di Hitler».[8]
Dipinsi un quadro profetico della morte del Führer. Era intitolato: L’enigma di Hitler, il che mi valse una scomunica da parte dei nazisti e gli applausi degli attivisti antinazisti, benché il quadro – come d’altra parte tutta la mia opera, e lo proclamerò fino alla fine dei miei giorni – fosse privo di ogni significato politico cosciente. Nel momento in cui scrivo queste righe, confesso di nonaver ancora decifrato io stesso quel famoso enigma.[9]
Sì, io credo d'essere il salvatore dell'arte moderna, l'unico capace di sublimare integrare e razionalizzare imperialmente e in bellezza tutte le esperienze rivoluzionarie dei tempi moderni, nella grande tradizione classica del realismo e del misticismo, che sono la missione suprema e gloriosa della Spagna.[10]
Sarà un capitolo di un nuovo libro, forse il mio capolavoro: «Della vita di Salvador Dalì considerata come un’opera d’arte».[11]
Il 29 giugno [1952]
Grazie a Dio, in questo periodo della mia vita, dormo e dipingo ancor meglio e con più soddisfazione del solito. Devo dunque preoccuparmi di evitare le screpolature che mi si formano agli angoli della bocca, conseguenza fisica inevitabile della saliva accumulata dal piacere che mi procurano questi due divini abbandoni.[12]
 Poi ho scritto a carboncino sul bordo della tela queste parole che riporto nel diario. Trascrivendole, le trovo ancora migliori:
«Gli errori hanno quasi sempre un carattere sacro. Non provare mai a correggerli. Al contrario: razionalizzali, comprendili integralmente. Dopo di che ti sarà possibile sublimarli. Le preoccupazioni geometriche tendono all’utopia e sono favorevoli all’erezione. D’altronde ai geometri si rizza poco».[13]
Riaccompagnando Pla, gli dico: «Questi baffi finiranno per sfondare! In meno di mezz’ora si è deciso di pubblicare cinque libri che mi riguardano! La mia strategia provoca numerosissimi scritti sulla mia personalità, e l’importante resta che i miei baffi antinietzschiani si drizzino sempre nel cielo come le torri della cattedrale di Burgos. A causa mia, un giorno si sarà costretti a occuparsi della mia opera. È ben più efficace che cercare a tentoni le personalità attraverso l’opera […]».[14]

 Un libro viene come un bisogno naturale. Dirò addirittura che si riposa scrivendo un libro.[17]
Non preoccuparti d’essere moderno. È l’unica cosa che disgraziatamente, comunque tu agisca, non potrai evitare.[18] (15 luglio 1952)

Penso che la libertà più soave per un uomo sulla terra consista nel poter vivere, se lo vuole, senza lavorare.
Ho disegnato, dal levar del sole sino a notte, sei volti d’angelo matematici, esplosivi, e di una bellezza così grande che ne sono rimasto estenuato e sfinito. Andando a dormire, mi son ricordato di Leonardo quando paragona la morte, dopo una vita appagata, al sopraggiungere del sonno dopo una lunga giornata di lavoro.[24] (2 maggio 1953)
 Il 5 (maggio 1953)
Come epigrafe del mio libro sull’artigianato ho scritto: Van Gogh si tagliò l’orecchio; prima di tagliarvi il vostro, leggete questo libro. Leggete questo diario.
 Braque ed io – come Voltaire con il Buon Dio – ci salutiamo, ma non ci parliamo![25] (il 16 maggio 1953)
 Dalla più tenera infanzia, ho la viziosa tendenza di considerarmi diverso dai comuni mortali. Anche questo sta per riuscirmi.[26] (il 26 maggio 1953)
Il 13 [agosto 1953]
Port Lligat è giallo e arido. È quando salire dal fondo del mio essere le seti ataviche e arabe che amo supremamente Gala.[28]
lo scandalo si scatena là dove arrivo.[31] (18 ago 1953)

(il 1° settembre 1953)
Settembre settembrerà sorrisi e corpuscoli di Gala. «Corpus Hypercubicus» ottobrerà. Ma – e soprattutto – è il mese di settembre a dover ipergaleare.
Dipingo la parte alta del petto del Cristo. Rimango quasi a digiuno durante il lavoro.[34]
 (12 maggio 1956)

La critica è una cosa sublime. È degna soltanto dei geni. L’unico uomo che poteva scrivere un pamphlet sulla critica ero io, perché io sono l’inventore del metodo paranoico critico. E l’ho fatto.[39]
 (10 settembre 1956)
Bisogna che io racconti tutto, anche se è incredibile. La mia personalità esclude qualsiasi possibilità di fandonia o di mistificazione, poiché sono un mistico, e mistica e mistificazione sono cose formalmente opposte per via della legge dei vasi comunicanti.[40]
(2 settembre 1958)
E se nella nostra epoca di quasi-nani, lo scandalo colossale di avere del genio ci consente di non essere lapidati come cani o di non crepare di fame, sarà soltanto per la grazia di Dio.[42]
La vita deve essere fitta di questo genere di densi miscugli di casualità e di deliranti destrezze! (5 novembre 1962)[44]


[1] p. 13.
[2] p. 14.
[3] p. 20.
[4] p. 24.
[5] p. 24.
[6] p. 25.
[7] p. 25.
[8] p. 26.
[9] p. 27.
[10] p. 33.
[11] p. 33.
[12] p. 35.
[13] pp. 36-7.
[14] p. 45.
[15] p. 45.
[16] p. 46.
[17] p. 50.
[18] p. 51.
[19] p. 51.
[20] p. 51.
[21] p. 62.
[22] p. 83.
[23] p. 63.
[24] p. 83.
[25] p. 86.
[26] p. 87.
[27] p. 93.
[28] p. 97.
[29] p. 97.
[30] p. 99.
[31] p. 99.
[32] p. 100.
[33] p. 100.
[34] p. 105.
[35] p. 107.
[36] p. 109.
[37] p. 111.
[38] p. 125.
[39] p. 136.
[40] p. 144.
[41] pp. 157-160.
[42] p. 174.
[43] p. 179.
[44] p. 192.

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Selezione dei testi e introduzione di Gloria M. Ghioni