di Federica D'Amato
Edizioni Noubs, Chieti 2012
pp. 82
€ 10
Poesie
a Comitò si compone di 5 sezioni: Dove sei Comitò, il cui nucleo tematico sta nel rapporto tra l’io
lirico e l’espressione poetica e in quello della poesia con il mondo: il suo
ruolo, la sua funzione, il suo posto nell’epoca contemporanea che quasi la
bandisce preferendo al Poeta lo scienziato che documenta instancabilmente “che
al mondo un modo c’è di campare/senz’avere il bisogno di doverlo raccontare”; Personae separatae, breve canzoniere di
un incontro d’amore mancato, che segna l’irreversibile separatezza del Poeta
dal mondo e dai suoi sgraziati o aggraziati abitanti; Fermagli, dove l’impulso a farsi cantore delle improvvise
accensioni epifaniche è tanto forte da superare l’ostacolo della separazione; Chiose, prose poetiche che
ricostruiscono le origini letterarie ed esistenziali di alcune delle poesie
–ovvero quelle occasioni poetiche per le quali Vittorio Sereni trovò la
splendida definizione di Immediati
dintorni della poesia; Tentazioni haikai,
7 componimenti che rivisitano alcune delle poesie di fermagli nella fulminante dimensione dell’haiku. Il tutto contenuto
in un’ottantina di pagine, comprensive di una breve prefazione di Massimo
Pamio.
Nonostante
il velo sperimentale, presente, ma non eclatante (inedite soluzioni lessicali,
riuso parodico o frammentario e quasi insignificante della rima, prose
poetiche, haikai, ecc.), queste poesie di Federica d’Amato suscitano questioni
e riflessioni più sul piano tematico e concettuale che su quello
dell’espressione. Perciò, contrariamente alla mia convinzione che di un testo
letterario si debba ascoltare più il modo di dire che le cose dette, mi
soffermerò su alcuni temi e concetti che la poetessa ha sentito di dover
esprimere. E lo farò citando per intero una delle poesie che mi pare contenga in vitro il buono e il meno buono di
questo libro.
Amicizia
Attica
chioma liberata
Dalle
indigeste servitùDi doverti servire al mio fianco,
la vanità del soliloquio
impone che un tuo ritratto
magnifichi questo breviloquio,
cui bellezza col verso io contratto
Monete diffuse nella mano,
velocità polverosa delle strade,
mistero occultato lungo la durata,
non c’è che un languore disumano
in questo cielo senza te che sciogli la diade
di assenza e tormento nel tuo, o librata
creatura che mi passasti accanto
e nella gola avevi l’amaro disincanto
di che sa bene le regole del pianto:
stringe, bacia, dimentica dormendo,
piano piano.
Di sicuro una bella poesia, una bella
immagine che, però, il Poeta sente il bisogno di introdurre, spiegare, giustificare.
Vissuto un momento così bello e poetico, lo vuole trarre dalla “vanità del
soliloquio”, quasi scusandosi dell’irresistibile impulso.
In
queste poesie ci sono molte belle immagini, molti bei pensieri versificati, ma
la trama concettuale entro cui sono accolti sembra quasi voler negare loro un
valore assoluto, autosufficiente. Come se non potessero bastare a se stessi.
Insomma i temi e i concetti che ho sommariamente riassunto introducendo queste
impressioni di lettura – la separatezza del poeta e della poesia dal mondo,
l’incontro d’amore mancato, le emergenze epifaniche che impongono l’espressione
poetica, la difficile traduzione dell’esperienza esistenziale impoetica nella
scrittura, ecc. – sembrano prevalenti o più urgenti rispetto alla loro
espressione poetica. A me sembra che a dispetto delle indubbie doti di sensibilità
e di elaborazione intellettuale, la poesia di Federica d’Amato debba ancora
incominciare: comincerà quando non sentirà più il bisogno di giustificarla,
quando saprà definitivamente affrancarla dalla prosa, quando vi si abbondonerà
fiduciosa che il verso sa e può dire di più del pensiero o dell’immagine che ne
sono all’origine. Sarà poesia quando la sua ragione di esistere come poetessa
non sarà la ricerca di una mano amica che tragga l’io lirico dal “putridume del
mondo”. Sarà poesia quando sarà vinta, sciolta nel mondo attraversato e da
attraversare, la separatezza da esso. Sarà poesia quando il cuore della
poetessa sarà la mano offerta a sé, al mondo e al lettore. Non si dà poeta
senza separazione dal mondo e si dà poesia solo quando la scrittura ne
rielabora e ne scioglie il nodo, in forma il più delle volte provvisoria. Sono
d’accordo con Massimo Pamio, sono poesie della gioventù (e per quello che
intendo non hanno nessun rilievo i dati anagrafici della poetessa). Sono poesie
che traggono dalla giovinezza la perentoria e irreversibile segregazione del
Poeta dal mondo, sono poesie che, come i giovani, chiedono amore, più che
darne. Sono anche il frutto della nostalgia del Poeta epico, del giovane aedo capace
di interpretare il sentimento di una comunità. Così, mi piace immaginare questo
libro di d’Amato come il diario giovanile, in versi e prosa, di una futura
grande, o comunque, buona poetessa.
Paolo Mantioni
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