Il torto del soldato
di Erri De Luca
Feltrinelli, 2012
11 €, pp. 96
Il torto del soldato è un testo coinvolgente. Si legge e si assapora tutto d'un fiato, come quando si prende una boccata d'aria fresca di montagna. E non è un caso che, anche stavolta, a fare da cornice alle parole di Erri De Luca siano i profili rocciosi delle Dolomiti, alternati al mare e ai profumi delle estati di Ischia. A questi scenari si contrappone il grigiore cupo della Varsavia del 1943, dei campi di sterminio nazisti. Sono i tristi quadri del passato e hanno i colori drammatici della Storia contempoeanea. Il romanzo, che si legge come un racconto lungo, si costruisce anche come un dramma a tre tempi. Ognuno dei personaggi principali ha un suo spazio di sviluppo autonomo, ma al principio e alla fine del testo, tutti e tre sono stretti nella stessa morsa. Si ritrovano, una sera di fine estate, seduti ai tavoli di una locanda di montagna, ognuno con i propri misteriosi silenzi. Il primo è uno scrittore che ha con sé dei fogli di racconti che deve tradurre dall'yiddish all'italiano. Napoletano di nascita, crede che ci sia una certa vicinanza con il suo dialetto d'origine e l'yiddish, per lui, è una chiave per leggere la realtà, un canto di libertà: L'yiddish è stato rinchiuso, soffocato: ha bisogno d'aria. Le sue lettere si rianimano sotto gli occhi e vogliono sgranchirsi sulle labbra. Vogliono libertà. Ama il silenzio che avvolge le sue giornate, tra scalate e lettura, riceve dai libri quel calore quotidiano che gli manca (I fogli con i caratteri ebraici, tenuti tra il gomito e le costole, facevano la giusta supplenza al braccio di una donna che non c'era. Andavo accompagnato da loro, mi davano il calore di un fianco).
di Erri De Luca
Feltrinelli, 2012
11 €, pp. 96
Il torto del soldato è un testo coinvolgente. Si legge e si assapora tutto d'un fiato, come quando si prende una boccata d'aria fresca di montagna. E non è un caso che, anche stavolta, a fare da cornice alle parole di Erri De Luca siano i profili rocciosi delle Dolomiti, alternati al mare e ai profumi delle estati di Ischia. A questi scenari si contrappone il grigiore cupo della Varsavia del 1943, dei campi di sterminio nazisti. Sono i tristi quadri del passato e hanno i colori drammatici della Storia contempoeanea. Il romanzo, che si legge come un racconto lungo, si costruisce anche come un dramma a tre tempi. Ognuno dei personaggi principali ha un suo spazio di sviluppo autonomo, ma al principio e alla fine del testo, tutti e tre sono stretti nella stessa morsa. Si ritrovano, una sera di fine estate, seduti ai tavoli di una locanda di montagna, ognuno con i propri misteriosi silenzi. Il primo è uno scrittore che ha con sé dei fogli di racconti che deve tradurre dall'yiddish all'italiano. Napoletano di nascita, crede che ci sia una certa vicinanza con il suo dialetto d'origine e l'yiddish, per lui, è una chiave per leggere la realtà, un canto di libertà: L'yiddish è stato rinchiuso, soffocato: ha bisogno d'aria. Le sue lettere si rianimano sotto gli occhi e vogliono sgranchirsi sulle labbra. Vogliono libertà. Ama il silenzio che avvolge le sue giornate, tra scalate e lettura, riceve dai libri quel calore quotidiano che gli manca (I fogli con i caratteri ebraici, tenuti tra il gomito e le costole, facevano la giusta supplenza al braccio di una donna che non c'era. Andavo accompagnato da loro, mi davano il calore di un fianco).
Il
secondo è un uomo anziano, un criminale di guerra nazista che vive
in clandestinità, interiorizzando la paura di essere scoperto al
punto da vedere ovunque segnali di una possibile fine, di una
vendetta. Vive questa sua esistenza nascosta senza parlare,
diffidando di tutti, il suo rapporto con un passato non rinnegato e
mai pienamente rielaborato lo ha spinto a sviluppare un'ossessione per la
Kabbalà. Ripete in maniera maniacale che “il torto del
soldato è la sconfitta, la vittoria giustifica tutto”, quasi per trovare, così, un senso al fallimento suo e del nazismo.
Lo
accompagna una donna che ha saputo solo tardi di essere
figlia di un criminale di guerra e che ha preso su di sé il compito
di accudire quell'uomo, per stargli accanto nella fase finale della
sua vita, senza domande, senza alcuna condivisione, consapevole
soltanto di accompagnarlo verso un “salto nel vuoto”. L'autore
abbozza un racconto delle loro vite, tracciandone linee essenziali,
narrandolo per stati d'animo e scene staccate. Vite così distanti, a
prima vista, ma accomunate da una stessa solitudine e da paure e
ossessioni che si somigliano. La donna rivedrà, in quell'uomo
incontrato alla locanda, le espressioni e le mani di un giovane di
Ischia che, nelle lontane estati dell'infanzia, toglieva peso al suo
corpo di bambina, insegnandole a galleggiare sull'acqua. Riscoprirà,
in questo sguardo, quella parte di sé che gli anni passati e la sua storia
familiare hanno sepolto. Lo scrittore troverà in quel sorriso
femminile un conforto nel quale aveva smesso da tempo di sperare (Mi
guardò e le partì un sorriso, un colpo di corrente che apre una
finestra). L'anziano scorgerà
in quei fogli in yiddish sparsi sul tavolo un indizio della fine
imminente. Un gioco di sguardi tra tre personaggi che non hanno
bisogno di parlare per comunicare.
Ma
il vero gioco è quello che Erri De Luca crea con la sua scrittura di
rimandi incrociati, che si muove abile tra passato e presente, corre
su piani linguistici diversi, si fa lettera dell'alfabeto, segno,
simbolo, paesaggio. È la sua tipica scrittura spezzata che sulle
prime appare sfuggente ma dopo qualche pagina ti avvolge, con il suo ritmo scandito.
Ma, soprattutto, è una parola libera.
Il
protagonista dice, ricordando le proprie letture dell'infanzia, che esse
aumentavano la sua capacità d'aria dei polmoni. Il torto
del soldato fa proprio questo, è
come la scalata di un'alta montagna, solo che è stranamente agile e leggera, perché a
sorreggerti nell'ascesa c'è la parola potente ed evocativa di un
grande scrittore contemporaneo.
Claudia
Consoli