Cronaca del terzo giorno a Gavoi
a cura di Gabriele Tanda
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Pinuccio Sciola e le pietre che suonano
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Anche l’ultimo giorno del Festival di Gavoi si apre al
balcone di S’antana ‘e susu. Questa volta però l’incontro è preceduto da una
sorpresa:
Pinuccio Sciola, l'artista delle “pietre che suonano”, è qui per
regalare al pubblico uno dei suoi brani. Con le mani ruvide e nodose inizia a
sfiorare gli strumenti, creando un’atmosfera sognante, che ben si accorda alle
prime ore della giornata e all'aria assonnata di buona parte degli astanti: gli
spettatori ammutoliscono e si concentrano su quel suono così particolare,
delicato e simile a quello dell’armonica a bicchieri, forse appena più caldo.
Il granito tagliato vibra, e il suono si diffonde tra le persone e le case,
anch’esse di granito, che assorbono lentamente quella che mi piace chiamare “la
musica delle carezze”. L’applauso finale suggella un momento di incantamento
generale.
Si torna alla “normalità”: l'autore che precederà ogni
incontro di oggi è
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Sandra Petrignani e Alessandra Casella
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Antonio Tabucchi, e
Marina Massironi ne legge un breve racconto.
A seguire ecco l’incontro, moderato da
Alessandra Casella, con
Sandra
Petrignani. Per chi non la conoscesse, la scrittrice è un'autentica poligrafa:
oltre a racconti, ha scritto interviste, reportage di viaggio e saggi
narrativi. Di tutto, insomma, ma non romanzi, a cui dichiara di non credere, e
che, confessa, nemmeno apprezza, sentendoli superati. Suona strano, detto da
una donna che ha conosciuto grandi autori come Moravia e Calvino e che è stata
inserita anche in quella comunità letteraria che, fino a qualche decennio fa,
esisteva ancora e decretava il valore delle nuove leve! Qualche malfidato – e
dunque non io – si potrebbe chiedere come mai, essendo ancora viva e in salute
Sandra Petrignani, quella comunità non esista più, e perché nessuno si sia
preso l’onore-onere di portarne avanti l’eredità.
Glissons. La
Petrignani si sofferma poi sulla sua centrale esperienza all'interno di un
femminismo in cui si è sempre sentita a casa, perfettamente rispecchiata nelle
sue battaglie di emancipazione e libertà; racconta dei suoi viaggi e dei suoi
incontri, affascinando e temo anche intimidendo il pubblico, al punto che ho
quasi il sospetto che l’effetto, dato l’insistere su grandi nomi quasi per
accumulazione (credo di averne sentito il maggior numero rispetto a tutti gli
incontri), non sia del tutto involontario. Qui, lo ammetto, il malfidato sono
io.
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Chiara Valerio, Giovanni Maria Bellu e Luca Beatrice
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A mezzogiorno ritroviamo
Pinuccio Sciola, che nel ripetere
la sua magia di inizio mattina precede la lettura di un Tabucchi sempre più
impregnato di forza civica, secondo un
trend che conoscerà un crescendo
per tutta la giornata. L’incontro moderato dal solito
Giovanni Maria Bellu è
sulla superbia, e i suoi ospiti sono
Chiara Valerio e Luca Beatrice: come ha
detto bene Fois, si tratta forse dell’incontro più “onomastico” della storia
del Festival. Come avrete capito dai miei precedenti resoconti, la mia
preferenza è per un tipo di dibattito che sia degno di questo nome: uno scambio
vero, serio, articolato, addirittura polemico e duro se necessario, purché
costruttivo e scevro da manie di consenso. Posso dire che dopo due incontri in
cui Bellu ha dato il meglio di sé dimostrandosi un vero e proprio moderatore
troppo moderato, se non addirittura “estremista di centro”, forse alla terza
occasione le cose sono andate sensibilmente meglio. Anche se, e questo non va
certo a suo onore, il merito va tutto ai due interlocutori. Se questo incontro
mi è piaciuto molto, infatti, è per il bello scambio dialettico che si è venuto
a creare tra Chiara Valerio – donna ma dal cognome maschile, gesti nervosi,
rappresentante di una cultura di sinistra colta, cordiale e non altezzosa – e Luca
Beatrice – uomo ma dal cognome femminile, rilassato nei movimenti,
rappresentante di una cultura di destra colta, pungente e non (troppo) cafona.
Per la Valerio la superbia – che insieme alla lussuria è uno dei pochi vizi
capitali di cui ci si possa vantare – deriva da un difetto di percezione del
sé: invece di farsi dare valore da altri, il superbo se lo auto attribuisce.
Beatrice, da parte sua, vede invece con favore i superbi, in quanto maggiormente
decisi e determinati, e alla fine più interessanti nella loro stessa natura,
anche nella fattispecie di personaggi letterari. E quando la Valerio ammette
che è vero, i superbi hanno un loro fascino, basta che non usino il loro potere
per controllare gli altri, ecco che il discorso scivola lentamente nelle
colossali paludi della politica, facendo deflagrare le tensioni interne a un
pubblico vistosamente schierato a sinistra. Beatrice, che ne è ben consapevole,
lancia a questo punto una prima frecciata poco fumosa: «Preferisco un superbo
coi suoi errori, piuttosto che un grigio funzionario senza coraggio»,
rischiarata subito dall'ammissione della sua posizione politica. E il pubblico,
come è facile immaginare, contesta a bocca piena, al punto che è possibile
sentire distintamente frasi come: “A casa Berlusconi!” e “Ha governato per
troppo tempo!”. C’è anche chi, per sottolineare come il tutto stia degenerando
in una specie di rissa da stadio pseudo-intellettuale, grida “Forza
Balotelli!”. A creare un contraltare razionale a Luca Beatrice ci pensano
Filippo La Porta e la stessa Valerio: il primo nota come sia fuori luogo un
apologo della superbia in un paese che è ormai pieno di Marchesi del Grillo, e
come il primo e più pernicioso effetto della superbia sia quell'irrealtà che fa
sparire il mondo circostante e rende incapaci di valutarlo; la Valerio, da
parte sua, annovera invece tra le colpe principali della sinistra quella di
aver lasciato al monopolio della destra un patrimonio simbolico condiviso: lo
avrà fatto per la sua incapacità di condividere superbamente quei valori che un
tempo erano e dovevano essere di tutti? Nessuna vera conclusione, ma meglio
così.
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Una sedia per Rossella Urru
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Giulio Cavalli
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Dopo pranzo ecco l’ultimo reading del festival. È strano
come gli appuntamenti conclusivi di una rassegna sembrino sempre e solo gli
ultimi, mai i terzi o i quarti di una serie, quasi che la fine aggiungesse un
senso ustorio allo spettacolo. Un valore che brucia ancor di più perché ormai,
in questa terza giornata di Festival, si inizia a percepire una sensazione di
sconfitta o di smobilitazione. Arriva l’annuncio tanto atteso, il nome
dell’ultimo ospite:
Rossella Urru. Si, proprio la cooperante di Samugheo rapita
in Algeria da più di duecento giorni. Lei non ci sarà, come è purtroppo ovvio,
ma gli ospiti dell'Isola delle Storie proporranno delle riflessioni per lei. La
sorpresa è palpabile tra il pubblico, ma nessuno si lamenta (e ci
mancherebbe)... Eppure si capisce che la finale degli Europei stia già pesando
sulla programmazione dell’orario di partenza di molti. Ma ecco, insomma, il
reading, una lettura impegnata seppur ironica, anzi pirandellianamente
umoristica. L’autore-attore è
Giulio Cavalli, che reciterà direttamente dal suo
libro
L’innocenza di Giulio. Andreotti
non è stato assolto. La lettura è preziosa perché il fluire di date e dati
riesce a ricreare collegamenti altrimenti sfuggenti, sottolineati da battute
capaci di lasciare un riso amaro nella gola, e sulle labbra un sorriso obliquo.
Gli anni ricostruiti sono quelli dei fratelli Salvo, di Salvo Lima e dei loro
legami con Andreotti. Cavalli sottolinea a più riprese come nella sentenza di
ultimo grado del 2004 si sostenga che il “divo” Giulio sia stato legato alla
mafia fino al 1980, ma che il reato sia caduto in prescrizione, e come buona
parte dei media, a tutto detrimento delle verità processuali, abbia affermato
la sua totale assoluzione. Quello lanciato da Cavalli è un invito importante:
«bisogna fare in modo che la mafia sia noiosa e poco attraente e fare diventare
pop la cultura antimafia». Solo attraverso questa via sarà possibile
conquistare l'attenzione e il cuore delle giovani generazioni, così come il suo
spettacolo riesce a fare con la piccolo folla durante un'ora scarsa di
spettacolo. Una bella lezione da parte di un attore e scrittore costretto a
vivere sotto scorta per il suo impegno politico e civile, e che mi piacerebbe
vedere messa in pratica da un Massimo D’Alema, beneamato e bendifeso da Bellu
nel precedente incontro.
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Alberto Masala, Serge Pey e Patrick Le Masson (traduttore)
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Alle 17,15 a Sant’Antiocru è il momento dell'incontro poetico
moderato da
Alberto Masala. Gli ospiti sono notevoli: il primo è
Jacek
Napiorkowski, poeta polacco dalla lunga esperienza statunitense, autore di
testi di sapore avanguardista; il secondo è
Serge Pey, autore francese ma
“adottato” dalla comunità gavoese (perché di una gavoese innamorato). Vengono
lette alcune poesie e il dibattito ruota attorno alle tematiche proprie della
versificazione. É da questo momento che iniziano a vedersi le prime sedie
vuote, come se la poesia, purtroppo, fosse destinata a scontrarsi sempre per
suo statuto con una barriera insuperabile di incomprensione. L’atmosfera di
smobilitazione cresce, si sente come una generale delusione per un finale che
si è rivelato in sordina rispetto alle aspettative: i pronostici davano la
presenza di Roberto Saviano o addirittura un premio Nobel. Voci e ciance,
ovviamente, niente di ufficiale. Ma il pubblico si aspettava – come dire –
qualcosa di più. Sono certo che agli organizzatori non è sfuggita questa
sensazione di deriva e di abbandono provocandogli una comprensibile e
giustificabile delusione.
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Marcello Fois al balcone di S'antana e susu
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Alle 19 dunque, ecco che
Marcello Fois si sostituisce ai
poeti per raccontare le difficoltà dell'edizione giunta ormai al suo epilogo. I
fondi sono stati tagliati drasticamente, tanto da mettere in dubbio la tre
giorni del prossimo anno. C’è il rischio che si faccia un giorno con due o tre
ospiti, nulla più. C’è il rischio che l’Isola delle Storie diventi un' “isola
che non c’è più” per colpa di politiche culturali che non ci sono mai state, in
un Paese che non programma niente e che sembra sempre più navigare a vista. La
sensazione che si era percepita all’inizio del pomeriggio si rafforza e brucia
ancora di più: potrebbe essere l’ultimo anno di un Festival davvero fantastico,
che nei suoi alti e bassi ha portato fermento culturale in un piccolo centro
che è isola nell'Isola. Sicuramente se ne riparlerà molto presto, nella
convinzione che se non è possibile “fare le nozze con in fichi secchi”, il
prezzo da pagare sarà la scrittura di un triste epitaffio di morte (precoce)
per una manifestazione che da nove anni a questa parte ha saputo coniugare
cultura e intrattenimento senza mai scadere nell'intellettualismo o, vicecersa,
nel populismo.
Iniziano le letture e le riflessioni per la liberazione di
Rosella Urru. Il momento è breve e intenso, poco meno di mezz’ora in cui si
alternano sul palco, oltre a Marcello Fois, Michela Murgia, Giulio Cavalli,
Evelina Santangelo, Sandro Bonvissuto, Chiara Valerio, Alberto Masala e Sandra
Petrignani. L’elenco non è e non vuole essere un j’accuse nei confronti di chi non è intervenuto: la volontà, è bene
ricordarlo, spesso si scontra con la possibilità, eppure mi sembra giusto
sottolineare chi ha voluto dare il proprio contributo. Mentre i volontari
impilano le prime sedie, si vedono molti visi commossi: il Festival è finito.
Che bilancio trarre da questa nona edizione? Senza dubbio si
è trattato di un Festival nettamente più umile rispetto a quello dell’anno
2011, forse con meno grandi nomi, ma con più scrittori puri. Sono stati
trattati temi importanti, e si è riso molto meno. Un Festival che risente della
“crisi” (di una crisi) non è un male assoluto, perché anzi questa urgenza lo
avvicina alla quotidianità, facendogli in un certo senso riscoprire le sue
origini. Sono certo che questa non sarà l’ultima edizione. L’Isola delle Storie
ha un suo carattere ben preciso e già troppo radicato per essere eliminata con
un semplice taglio di bilancio o essere ricollocata in qualche contesto magari
più cittadino e,
latu sensu, più comodamente borghese: è inserita in un
territorio periferico, ma dalla grazia estrema; ha un'ampia varietà di proposte
(oltre a quello che ho cercato di descrivere c’è un Festival parallelo, che per
le sovrapposizioni non ho potuto seguire, tutto dedicato alla letteratura
d’infanzia e giovane, e che continua negli spettacoli teatrali, nelle
proiezioni cinematografiche e nelle mostre) che riescono a fondersi
mirabilmente e in un ritmo che rilassa e concilia la riflessione. Tutti gli
incontri sono gratuiti e l'intero paese collabora per la riuscita della
kermesse
mantenendo prezzi modici e accogliendo con grande affetto ogni visitatore. Per
ben nove anni il Festival è stato un punto di riferimento per tutta la
Sardegna, una speranza per lo sviluppo della periferia all’insegna della
cultura e dell’onestà. La sua morte sarebbe la morte di questa speranza. Ed è
questo, soprattutto, che davvero non possiamo permetterci.
Gabriele Tanda
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