Cronaca del secondo giorno
a cura di Gabriele Tanda
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Paesaggio gavoese
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Evelina Santangelo e Alessandra Casella
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Sabato mattina a dare il buon giorno al popolo del Festival
ci sono le parole di
Tonino Guerra, che verrà omaggiato con varie letture
durante tutta la giornata. Subito dopo è il momento dell'incontro tra
Alessandra Casella e Evelina Santangelo. La scrittrice siciliana, editor per
Einaudi e insegnante alla Scuola Holden, apre con una riflessione sulla
quotidianità del fatto mafioso: quando il diritto diventa un favore, la logica
mafiosa sta vincendo sulla civiltà e sulla giustizia, quando l’adattarsi a questo
modo di vivere vince sulla voglia di cambiamento, la mafia sta vincendo sulla
giovinezza e sulla speranza; una riflessione che la Casella ritrova così
perfettamente rappresentata nell’ultimo libro della Santangelo –
Cose da pazzi – da spingersi a consigliarlo
come lettura scolastica. La Santangelo, del resto, sa bene di che cosa parla:
ha vissuto la Palermo del ’92, dell’esplosione della rabbia antimafiosa. Ma la
scelta del tema non è stata affatto scontata o naturale, tutt'altro: il suo è
stato un avvicinamento lento e ben meditato, tant'è che proprio
Cose da pazzi è il primo romanzo
ambientato nella sua terra natale. Dopo il preambolo, la Casella inserisce un
tema molto dibattuto nel campo letterario, cioè l’uso e l’utilità delle scuole
di scrittura. La Santangelo, a scanso di pregiudizi, è molto netta: se la
scrittura è una guerra contro l’oscurità, le scuole di scrittura servono ad
avere coscienza e pratica di tutti gli strumenti che possono essere utili in
questa battaglia. Non per niente reputa l'editing l’atto di più alta scrittura,
soprattutto l'editing “subito”. Il pregiudizio diffuso è, si sa, che la
scrittura sia solo una questione di talento, e che lo stile sia un suo frutto.
Ma come non ammettere che la scrittura è imperniata di tecnica, e che senza
tecnica non si potrebbe nemmeno scrivere un articolo giornalistico? Il rischio,
che la stessa Santangelo ammette, è però che le scuole (le peggiori) diano ai
propri frequentatori una sorta di “impronta dogmatica”. Rimane così da
chiedersi: sono meglio migliaia di scrittori mediocri che sbagliano le basi
della tecnica narrativa oppure migliaia di scrittori mediocri che però almeno
non fanno strabuzzare gli occhi per le storpiature della lingua? Personalmente
mi schiero a favore delle scuole di scrittura: il talento – se di talento si
tratta – sa superare le regole e le influenze (che tutti bene o male seguono,
Bloom
docet); ma se il talento non c'è, se non altro le case editrici
non saranno più intasate di odioso e spesso inutile lavoro.
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Marco Belpoliti, Carlo A. Martigli, Giovanni Maria Bellu e
Michael Braun
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Alle 12, nel salotto di Sant’Antiocru ritroviamo
Giovanni
Maria Bellu pronto a moderare un incontro con Carlo Martigli – ex banchiere e
ora scrittore – Micael Braun – giornalista
freelance e corrispondente in
Italia per il giornale berlinese
Taz: è lui che ieri ha intervistato
Peter Probst – e
Marco Belpoliti – saggista e scrittore. Il tema è
l’inadeguatezza. Dopo essersi concentrati sulle incomprensioni e sulle
difficoltà dei rapporti tra italiani e tedeschi con dei simpatici aneddoti
portati da Braun e volti a evidenziare l' “inadeguatezza” di entrambi i popoli
a comprendersi reciprocamente, Belpoliti avanza una riflessione che allarga il
campo: «Citando Levi: l’inadeguatezza è il non avere strumenti adatti.
L’inadeguatezza è la vergogna dei tempi passati. Ma se prima era un sentimento riferito ad
un’etica comunitaria, ora l’inadeguatezza scatta a causa del fallimento, quando
non si ha successo». La vergogna è, d’altronde, un sentimento inespiabile, come ben dimostra la conclusione del
Processo
kafkiano. La conseguenza della vergogna è così il rancore sociale, oppure il
conformismo, sentito come unico e più semplice rimedio al malessere del vinto;
un malessere che in Italia, precisa Belpoliti, si declina in un individualismo
collettivo. Martigli, già sereno reo confesso di essere uno dei banchieri che
ha rovinato l’economia, tenta a questo punto di fare un elogio
dell’inadeguatezza, ma la partita è persa in partenza: immediatamente viene
ridimensionato da Belpoliti, che invece precisa che ciò di cui sta parlando
l’autore di
999 L’ultimo custode
altro non è se non la diversità. Nessun modo sarebbe stato più efficace per
mostrare al pubblico un esempio lampante di inadeguatezza, di carenza degli
strumenti adeguati. Perché è questa l'impressione che Martigli dà di se stesso:
un interlocutore inadeguato alla discussione, un ex-banchiere che ammette
candidamente di aver commerciato in titoli spazzatura, e che ora, pentitosi,
trova libertà nello scrivere (e io spero che la qualità dei suoi libri sia
migliore dei vecchi prodotti bancari) per guadagnarvi la stessa cifra del
passato o poco più. L’intento è quello di destare simpatia, ma il pubblico
mostra evidenti segni di fastidio e rabbia nei confronti di un ex colletto
bianco di prestigio che ora sembra giocare a fare lo scrittore e che come piano
B a un eventuale fallimento letterario, confessa, potrebbe mettere in piedi
un'industria di mozzarelle: come chiamarla se non inadeguatezza dei mezzi? Per
concludere, stuzzicato da una domanda dal pubblico, Braun parla di quei
politici italiani che, senza alcuna distinzione, non sentono la loro
inadeguatezza, e anzi sentono piuttosto quella del popolo, alle loro grandi
capacità di uomini di e per lo Stato. Ne è spia il comportamento verso il
Movimento 5 Stelle, respinto e non capito nelle sue ragioni di fondo, chiamato
denigratoriamente “antipolitica” o con altri epiteti simili. Insomma, citando
Brecht, i politici italiani vorrebbero delle elezioni per potersi scegliere il
popolo da governare. Già, ma chissà se troverebbero dei candidati disposti ad
un così duro compito!
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Davide Enia alla conclusione del reading
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Dopo pranzo un nuovo reading aspetta il popolo festivaliero:
sale al leggio del giardino di Binzadonnia
Davide Enia, scrittore siciliano
dalla
verve comica molto pronunciata che propone dei brani dal suo
ultimo libro,
Così in terra edito
dalla Dalai. La vicenda altro non è che la storia della sua famiglia, segnata
da generazioni dal pugilato e da una città violenta e comica come Palermo,
teatro di sparatorie di mafia, ma anche di epifaniche frasi sui muri come:
“Uomo, senza parrucca e senza gonna, che donna sei?”. La canicola opprimente
sembra quasi sparire grazie alla capacità di Enia di suscitare sempre un
sorriso grazie all’uso espressionistico del vernacolo siciliano. Niente di
nuovo sotto il sole, diciamocelo: i richiami camilleriani si sentono tutti,
eppure perché condannarli? La gestualità istrionica da attore aumenta l’effetto
di spettacolo cabarettistico, in un'atmosfera liberatoria di svago: un fresco
intrattenimento, insomma, per una brina che sembra colare solo dalle fronti
degli spettatori accaldati.
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Ileana M. Pop (traduttrice), Dan Lungu, Chiara Valerio
e Giovanni Montanaro
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Alle 17,15 nel nuovo spazio di Mesubidda, Chiara Valerio
incontra
Dan Lungu – scrittore rumeno conosciuto in tutta Europa e qui
pubblicato da Aìsara – e Giovanni Montanaro – finalista al Campiello di
quest’anno con il libro
Tutti i colori
del mondo. Partiamo dal giovane narratore veneto: il suo libro parla
dell’incontro a Gheel (un paesino belga
sui generis, in cui i pazzi
hanno libera cittadinanza, onore e rispetto) tra il pittore Van Gogh e una
ragazza di nome Teresa Senzasogni, musa dalla fittizia pazzia che farà scoprire
i colori al grande artista. Il colore è un codice, sia della natura, sia della
comunità umana, e Teresa, nel mostrare questo linguaggio a Vincent, gli renderà
possibile un’evoluzione poetica decisiva. Peccato però che l’intervento
dell'autore ricordi solo una gamma indistinta di grigi, e abbia tutta l’aria di
un qualcosa di pronto e studiato: battute e chiusa finale sono dette senza
grande entusiasmo o convinzione. Fiaccarello, il ragazzo dell'83. E del resto,
come fargliene una colpa, dato il lungo, costante e continuo pellegrinare per
la promozione del Campiello? Immaginate ripetere come un mantra le stesse idee,
le stesse parole, varie volte alla settimana: credo che ben presto pure io
finirei cittadino onorario a Gheel, e con pessime intenzioni! Più fresco e
sorprendente invece Lungu, che presenta il libro
Sono una vecchia comunista, ritratto di una anziana signora rumena
che di fronte alle prime elezioni libere mostra tutta la sua nostalgia per il
vecchio regime. Lungu, da parte sua, è sincero, e confessa di non aver alcun
rimpianto per Ceausescu, ma ammette che alcuni, nel suo paese, guardano in
maniera ancora più positiva al vecchio regime: i soliti luoghi comuni di
efficienza nei trasporti e lavoro per tutti, non crediate chissà che... Lo so
che cosa state pensando: a che cosa non era disposto l’uomo medio pur di avere
la garanzia di un treno puntuale e di un lavoro pur che fosse! Ma per fortuna i
tempi sono cambiati.... O sbaglio? Insomma:
Sono
una vecchia comunista oltre a voler essere un ritratto di queste persone,
mira anche a rappresentare la mentalità e i costumi rumeni in genere, e
soprattutto una cosa che non conoscevo affatto: lo humour rumeno. Infatti,
secondo Lungu, in Occidente perdura un pregiudizio rispetto ai vecchi paesi
comunisti, e cioè che si trattasse di realtà totalmente monocordi, bigie e
inespressive. Niente di più sbagliato: in ogni luogo e in ogni epoca, anche se
alle prese con mille difficoltà, perdura nell’uomo la volontà di ridere ed
essere felice. Il sorriso di Longu la dice lunga.
Alle 19,30 è di nuovo il turno di La Porta, che incontra
Alessandro D’Avenia, già autore di Bianco
come il latte, rossa come il sangue, e ora di Cose che nessuno sa, editi entrambi da Mondadori. L’incontro non
potrebbe essere tra personalità e approcci più diversi: critico professionista
La Porta, convinto della necessità di una letteratura di stile e di pensiero
problematico, giovane scrittore e professore di liceo D’Avenia, sostenitore
della semplicità e dell’incontro con l'universo adolescenziale. Entrambe
posizioni di tutto rispetto, ci mancherebbe, ma D’Avenia è, per i miei gusti,
un po' troppo piacione nell'abuso accattivante di una retorica buonista e
giovanilista. Per intendersi: è vero che i giovani sono il futuro e in loro
tutto è capitale, ma un po’ di critica e di distacco da un autore ormai sui
trent'anni non guasterebbe. La Porta risponde addentrandosi – ma non troppo –
nel campo del giovane scrittore: presenta, anche lui, le proprie esperienze di
vita, ma al contempo punzecchia l’interlocutore con affermazioni e domande
insidiose del tipo: «La tua letteratura è come un incontro tra Moccia e Brizzi.
[...] In Italia c’è forse un problema di narrazione dell’emozione amorosa?». Lo
scontro è interessante, quasi agonistico direi. E il problema sorge spontaneo:
c’è proprio bisogno di scrivere per gli adolescenti? Per l’infanzia posso
capire, ma per l’adolescenza no: se gli adolescenti (mi dispiace ma trovo che
la categoria young-adult sia uno degli anglismi più inutili!) vivono
un’età che tende verso quella adulta e che come tale vuole essere presa sul
serio, perché allora trattarli da adulti malriusciti, da adulti a metà? Il mio
vero avvicinamento alla letteratura è
stato con la lettura di Dostoevskij: i vari tentativi fatti prima con libri
d’avventura o per ragazzi mi annoiavano, perché preferivo i film di Indiana
Jones o quelli drammatici (mi ricordo ancora la grande commozione alla fine di Balla coi lupi), se non addirittura i
video giochi: le sensazioni erano più o meno le stesse, se non addirittura
maggiori, ma ottenute con meno sforzo! Ho preso sul serio la letteratura solo
quando mi sono sentito preso sul serio. Quando ho percepito che non capivo
tutto e che dovevo sforzarmi di rendere chiaro qualcosa che mi avrebbe chiarito
e sostenuto nel cammino di tutti i giorni. La mia esperienza mi ha dato la
prova che è un meccanismo valido non solo per me (ho collaborato per tre anni
ad un corso in una scuola superiore) e che il rischio, a mio modesto parere, è
quello di creare un falso e facile percorso verso risposte che in realtà
ciascuno di noi dovrebbe costruire da sé. Insomma, un’edulcorazione di
contenuti ostici e ruvidi che, proprio per le loro qualità, sono molto
appetibili per tutti quegli adolescenti che infatti adorano scassarsi i timpani
di rap e rock pestone. Parlo ovviamente per grossi numeri:
esistevano ed esistono ragazzi che vogliono essere accompagnati con più garbo
alla maturità, ma rimango tuttavia del mio parere perché non so quanto giovi
essere troppo garbati nel parlare di “cose” che purtroppo garbate non sono.
Aggiungo che, quando ero adolescente e vedevo tra gli scaffali delle librerie
romanzi dove il protagonista era un giovane o un bambino, proprio da
adolescente non li compravo: eppure erano i più consigliati dalle
professoresse. Libri che spesso mostravano tutta la nostalgia dei loro autori
per gli anni prima della maggiore età e il loro intento didascalico; il tutto
però nascosto da una maschera di ragazzo. Lo confesso: nell’unico libro che ho
concluso (per poi rimuoverlo immediatamente) ho tifato fino alla fine per la
disgrazia.
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Matteo Galli, Friedrich C. Delius e Soledad Ugolinelli (traduttrice)
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Dopo cena, e prima del “Mirto con gli autori”, si torna a
Sant’Antiocru per incontrare
Friedrich Delius, scrittore tra i più importanti
del panorama tedesco e fregiatosi fin da giovanissimo del riconoscimento e
della stima di autori come Böll, Gunter Grass ed Enzensberger e che, sempre
giovanissimo, ha fatto parte insieme a loro del gruppo ’47. Insomma: un pezzo
da novanta. Il momento, però, non è dei più favorevoli: l’ora tarda e il
successivo appuntamento con la risata garantita aiutano poco, e il popolo del
festival latita. Per essere sinceri ed equi, e capire ancora meglio le ragioni
del pubblico, bisogna però ammettere che al moderatore manca la verve teatrale
per fare un po' di “spettacolo”, tanto da dare l’impressione che l’incontro
stenti a decollare. A ciò si aggiungano i tempi della traduzione simultanea,
che inevitabilmente rallentano il ritmo del dialogo: il risultato è
un’occasione mancata, per molti, di incontrare uno scrittore di pregio, dalla
carriera lunghissima e dai frequenti successi, che ha raccontato la sua nazione
nelle epoche più diverse, dalla seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri,
inserendosi al contempo nelle vicende letterarie più importanti del suo Paese.
Insomma, un grande intellettuale, oltre che un grande scrittore.
Per chiudere la giornata
più lunga del festival ecco il tanto atteso Mirto con gli autori, incontro
ormai attesissimo dell’Isola delle Storie in cui sul palco dei giardini
comunali di Binzadonnia gli scrittori vengono chiamati da Marcello Fois a
confessare le più strane debolezze e le più segrete perversioni. Un dopo cena
lungo e costellato di gag, sorprese e, come è ovvio, di tanto divertimento. Un
incontro che però – sadicamente, lo ammetto – non racconterò, nell’augurio che
anche voi possiate assistere in prima persona a uno spettacolo come questo, di
intelligente intrattenimento. E poi perché costringermi alla prolissità proprio
in questo caso? Spero saremo tutti d'accordo nell'affermare che le barzellette,
così come le poesie, non si spiegano che da sole.