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Modamorte

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ModaMorte
di Erika Polignino
Mursia 2012

€ 15,00



Se si potesse descrivere un libro semplicemente con delle tonalità di colore, direi che il romanzo di Erika Polignino è nero, parecchio viola e rosso tramonto.  È nero perché goth, genere che l’autrice porta avanti collaborando con il Moonlight Festival, che ha in parte contribuito a farla conoscere e che promuove la musica goth, new wave ed electro; è nero anche perché la protagonista ha sentimenti oscuri, un carattere molto deciso e un pizzico volubile. Si tinge di viola perché anche questo è un colore che torna molte volte, tra vestiti e atmosfere, il rosso tramonto è invece il colore con cui l’autrice dipinge i boccoli della protagonista, di nome Musette. Italianissima, della grigia Milano, lei e i suoi amici hanno nomi insoliti. Miyako è giapponese, Soledad e Daniel hanno un’impresa di pompe funebri che colora di ombre la loro vita. Ma per conoscerli a fondo e trovare finalmente la sua strada, Musette dovrà aspettare qualche capitolo un po’ più piatto, fatto di giorni alla scuola d’arte in cui viene costantemente mal giudicata, qualche pomeriggio in solitudine, un paio di notti in cui “vende eros” per poter soddisfare i suoi capricci di giovane stilista, perennemente in conflitto con la sorella che non trova nell’arte nessun fascino e nessuna utilità. La sua solitudine si alterna spesso ad un’amicizia scontrosa, un rapporto conflittuale con Miyako, compagna di pregiudizi subiti da parte dei professori, di ore e ore passate alla macchina da cucire e di amore per l’Arte; ma mentre  Miyako subisce il fascino dell’arte classica, oltre la quale vede solo misere, basse imitazioni, Musette vuole andare oltre, inventare qualcosa di nuovo, per lei l’arte classica è solo la base per costruire qualcos’altro.
A metà tra una bambina desiderosa di peluches e una giovane donna che sa bene cosa vuole, Musette è volitiva, determinata e affascinante, col look da bambina procace e le labbra carnose, una lolita dark coi codini, è sempre in cerca della sua ispirazione, non si accontenta di sopravvivere e solo quando crea qualcosa di nuovo riesce a sentirsi viva.
Musette non voleva limitarsi ad Esistere. Voleva vivere la vita, tutta, fino in fondo. In quel frangente di tempo si domandava se lo stesse facendo davvero o se era solo una sua proiezione e stava vivendo come tutti gli altri. Come-tutti-gli-altri.
Se non era nessuno, voleva essere qualcosa. Sentirsi qualcosa.
Sprofondata nel suo turbato essere, si sdraiò sul letto. Tenne gli occhi chiusi.

L’autrice ama anteporre quasi sempre gli aggettivi alle parole cui si riferiscono e ama anche creare neologismi, come Nudoartefilia, Necrostilefilia, Artefilia. Sono come i nuclei della storia.
Miyako e Musette, infatti, oltre all’amore per la moda, hanno in comune l’Artefilia, la visione dell’arte è talmente forte che l’emozione si trasforma in qualcosa di fisico, un’eccitazione sensuale che reclama a gran voce di essere soddisfatta nello stesso ambiente in cui si trova l’opera, ossia il museo, in cui la Polignino ambienta qualche passo del romanzo. Un passo su un ricordo di Miyako bambina, recita:
Singhiozzando alzò il capo e vide davanti a sé il capolavoro: la Venere di Botticelli.
Quella nudità femminile della dea dai capelli d’oro le sconvolse la sensibilità infantile. Prima di quest’incontro era una bambina dai pensieri puri e casti,  ma quella lussuriosa Venere aveva osato prendere un dildo di plastica e farglielo penetrare fin dentro l’anima e sverginarla con un sol colpo.
Erika Polignino
La Nudoartefilia sfiora la blasfemia nella citazione di un San Sebastiano particolarmente affascinante. Legato com’è, non può che rievocare i rapporti di Musette con Soledad, la giovane con gli occhi di ghiaccio che trucca i morti, maestra nell’arte del bondage. La loro è un’amicizia speciale, in nome dell’Arte, dei loro sguardi e delle gelosie di Musette.
Insieme a Soledad, Musette scopre la sua ispirazione. Poco lontana da Milano, la trova in una ditta di pompe funebri a conduzione familiare, scoperta per caso grazie a Daniel, uno dei proprietari, che porta lei e Miyako a casa sua, nel piccolo paese di Corinaldo per le vacanze natalizie. Per niente infastidita dalla vista dei defunti, Musette scopre invece di volerli vestire, di volerli abbellire nella morte, dà vita alla Necrostilefilia. Cuce vestiti per loro, facendosi aiutare da Miyako, per presentarli poi ai cari nei funerali in stile americano, con la bara aperta.
L’inaspettato successo – sarebbe lecito chiedersi chi sarebbe disposto a lasciar vestire i propri cari defunti da uno stilista così originale – rivela il talento di Musette, incrementa gli affari dei due fratelli.
E così, dopo aver trovato l’ispirazione fuori da quella città in cui si va per cercare successo, Musette torna a Milano per fare carriera nella moda goth. 
Lo stile goth affonda le radici nel lontano medioevo fino al diciottesimo e diciannovesimo secolo, in cui il filone letterario si arricchisce di motivi come vampiri, atmosfere oscure, misteriose, cimiteri, castelli abbandonati e famiglie maledette, popolando romanzi come quello di Walpole, Il castello di Otranto, considerato uno dei capisaldi, in tal senso. Ma il goth abbraccia altre arti oltre alla letteratura, come la musica, in particolare quella punk del Regno Unito, da cui prende le mosse lo stile gotico, con evidenti richiami anche nella moda.
In Modamorte familiarità dell’autrice con gli strumenti dello stilista, dai cartamodelli alla macchina per cucire, non mente: anche lei è una creatrice di moda. Non solo, è un’appassionata di filosofia e di mitologia, come si deduce dai riferimenti nelle sue pagine: vere e proprie citazioni di interi passi di poesia, come quello della laminetta del II secolo dopo Cristo, ritrovata ad Ipponio, importante testimone della spiritualità orfica,  o l’uso di un linguaggio che implica una certa consapevolezza della filosofia.
Musette era attratta dalle cose imperfette e instabili più che da quelle immutabili e ineccepibili. Le chiamava con il nome di Luttuosa Bellezza Arcaica e lo storpio faceva parte di questa complessa costellazione. A proposito di costellazione, le antiche religioni pagane non ci hanno forse insegnato che gli Dèi trasformavano in stelle coloro che avevano un difetto, una debolezza, un vizio, una tristezza mai risolta? E anche quelli che avevano una manchevolezza fisica o carenza intellettuale?
Ora sono tutti lì, a splendere perennemente nel cielo.
Chi non rimane stregato dal mistero di questi astri? Sono la sinfonia dei poeti, degli scultori, dei pittori e di ogni altro microcosmo vivente che abbia un minimo di sensibilità.
Frasi che ricordano subito il primo romanzo di Erika Polignino, Nero Fluorescente (del 2009), che l’ha resa celebre negli ambienti alternativi italiani, in cui narra del disagio crescente di Viola, sorda e goth.
Musette oscilla tra la noia della quotidianità e la ricerca incessante di qualcosa che la faccia pensare di vivere davvero, senza per forza omologarsi al resto della gente, la maggior parte della quale resta inebetita di fronte a cose cui lei non dà la minima importanza; non sopporta che la sua insegnante di moda voglia piegare la sua ispirazione alla logica della vendita di massa:

Tutti devono pensare la stessa cosa.
Tutti devono avere gli stessi stati d’animo.
Un monopolio di sentimenti e di pensieri.
Lavori precari in vendita al barattolo.
Al chilo, all’etto, al grammo.
Era questo che proponeva la prof a cui piaceva sfoggiare Impressionisti cappelli di taglia mignon dai colori assurdamente accesi? Era questo che voleva suggerire? Che i prodotti dovevano essere nati da esigenze del mercato globale, del consumismo e del guadagno e non dall’aspirazione puntando sulla creatività?

Con uno stile leggero e godibile, il lettore viene coinvolto nell’oscillare dei suoi stati d’animo, del suo modo di pensare, in attesa di un colpo di scena che non arriverà per come forse ce lo si aspetta. All’autrice goth non dispiace il lieto fine.


Lorena Bruno