Manni Editori, Lecce 2011 |
di Anna Laura Longo
Manni Editori, Lecce 2011
C’è una coppia di oggetti ossidata nel tempo,solo in parte sfumabile: densamente emanacellule di fascinazione. Una lettera è incisa-Deve restare – per la sua erogazione calma,quasi di maschera. Una coppia di oggetti
malleabili ed a stento ritmati, perforantinel loro resistere, quando invece è sui macchinariche assetati si sveglia, troppo ancora si tesse o si discute.C’è una lettera incisa (in un camion).Non la propaggine o la forma ornamentale.Non la norma ossidata nel tempocon capace posa di stucco.
Questo
è solo un esempio dello “studio di vocaboli trascorrenti” che mette in piedi
Anna Laura Longo in questa sua raccolta poetica, pregna di intense sinestesie e
di rimandi sintattici quasi estenuanti, esasperatamente timbrici.
Sembra
non trovare mai posa il vigore creativo della Longo, quasi costantemente pervasa
da una smania espressiva curiosa e multifocale, poco arginabile entro i
canonici schematismi della letteratura tout court.
Sono
già note a molti, infatti, in Italia come in Belgio, in Svizzera e in Francia, le
performances teatrali e musicali che la vedono impegnata sia come pianista
concertista che come autrice di allestimenti visuali e creativi.
L’aspetto
che qui, in questa sede, andiamo ad analizzare più nel dettaglio, però,
pertiene principalmente la sua indole poetica, sebbene sia sempre difficile
scindere realmente i vari campi espositivi che contribuiscono alla creazione di
un solido e ben studiato percorso artistico.
Dico
ben studiato non a caso, perché fin dall’impaginazione del libro della Longo,
Procedure Esfolianti, appunto, salta subito all’occhio un’estrema perizia negli
intenti poetici, unita a una raffinatissima cura nel dettaglio dell’elaborazione
editoriale.
La
raccolta è infatti impreziosita da disegni e collages in rilievo, che
restituiscono al lettore proprio quella sorta di contatto doppio con gli
oggetti di cui si parlava nei versi che ho citato in apertura.
Oggetti,
quelli raccontati, più ancora materializzati o per meglio dire diffratti dalla
scrittura, pur abbastanza concettosa e altisonante, della Longo, che hanno il
pregio bifronte di rivelarsi tanto “malleabili”, e dunque confortevolmente
accoglienti, quanto più “perforanti nel loro resistere”.
A
cosa vanno resistendo, dunque, questi oggetti poetici? Alla cruda quotidianità
dei tempi? All’oscurantismo di cui parrebbe vittima un più puro sapere critico?
O non è forse una resistenza quasi tutta privatizzata, quella che sembra
mettere in atto la Longo, arroccandosi nella costruzione quasi martiriologica
di un discorso poetico senza tregua, senza sospensioni sintattiche, senza
riprese di fiato?
Leggendo
questi versi si percepisce l’acuirsi verticale di una sorta di sofferenza
panica, che però non rimane mero ripiegamento intimista nei mali del nostro
tempo, bensì veste i panni combattivi di un camion che slabbra i pertugi dell’esposizione
fonematica, e imprime una semiotica del disappunto che è solida, sostanziale e
non ornamentale, come una “colata di gesso”.