Il festival a casa del boss
Di Pietro
Nardiello
Phoebus
edizioni, 2012
239 pp.
13,00 €
Giornalista free-lance, partenopeo, Pietro Nardiello
collabora con Repubblica ed Articolo 21 ed è l’autore del libro Il festival a casa del boss. Il suo è il
racconto dell’ideazione e della realizzazione del Festival dell’Impegno Civile
(www.festivaldellimpegnocivile.it), una rassegna che si svolge interamente
nelle terre e nei beni confiscati alla camorra e che nel 2012 è giunta alla sua
quinta edizione.
Tra Casal di Principe, Sessa Aurunca e Castel Volturno
ogni anno si incontrano giornalisti, musicisti, studenti e professori per
discutere di una possibile ricostruzione dei territori in mano alla camorra. “A
casa del boss” si fa teatro e si fa musica. E lo si fa nel nome di don Peppe
Diana, il sacerdote ucciso dalla camorra nel 1994 a cui il Festival è dedicato
(e a cui, tra l’altro, Saviano riserva un capitolo di Gomorra).
Il libro, pubblicato a maggio 2012 da Phoebus Edizioni,
alterna capitoli sul festival e interviste ad alcuni dei protagonisti
dell’evento. Dopo averlo letto, volevamo sentire la voce dello stesso Pietro
Nardiello raccontarci il suo festival e la sua terra. L’abbiamo contattato
telefonicamente, ed è con grande onestà e molta simpatia che ha risposto alle
nostre domande.
Nelle prime pagine
del libro racconti dell’incontro con Mauro Baldascino e Valerio Taglione del
Comitato don Peppe Diana, che ti proposero di organizzare il festival. Scrivi «Andiamo subito al sodo, mi propongono
di ideare un festival. […] Sarà una rassegna dell’Impegno Civile che ci vedrà
coinvolti per puntare al bene comune». Ma raccontaci meglio com’è nata l’idea
di fare un festival nei beni confiscati alla camorra, e poi come e perché è
nata l’idea di scriverne un libro.
Mauro e Valerio, membri del Comitato e di Liberacaserta volevano un evento che
coinvolgesse l’intera provincia di Caserta e hanno chiesto aiuto a me, che lavoravo
nell’ambito dello spettacolo. Fare il festival solo nei beni confiscati voleva dire dare un segnale preciso. Non
si trattava di non voler coinvolgere le piazze e le strade, ma la natura del
progetto era proprio quella di riutilizzare i beni immobili confiscati alla
camorra come luogo di cultura e di impegno civile.
Il libro, invece, è nato per due motivi. Innanzitutto in
cuor mio avevo in mente il progetto di pubblicazione fin dall’inizio di
quest’avventura. Poi è diventata anche una necessità, per fare capire di chi
fosse la paternità del progetto del festival, ora che non faccio più parte del
comitato organizzativo.
Oltre alla cronaca
della creazione del festival tocchi tanti temi interessanti nel tuo libro: il
problema dell’ “obolo” abituale che si versa ai parcheggiatori abusivi, il
fenomeno della nuova canzone neomelodica che celebra clan e camorristi (ne
aveva parlato anche Saviano in un articolo apparso su Repubblica il 12 febbraio 2012), insisti molto anche sul collegamento
tra camorra e immigrazione. Come sei riuscito a condensare cronaca e retroscena
del Festival, temi sociali e progetti in un libro?
Ho potuto constatare che purtroppo la produzione
letteraria antimafia molto spesso si risolve con l’auto-esaltazione
dell’autore. Sentivo la necessità di andare oltre al Festival, non volevo
venire lodato per averlo organizzato. Volevo piuttosto fare degli
approfondimenti e collegarmi alla realtà in cui mi sono mosso. Se continuiamo a
parlare di Zagaria e di Schiavone non abbiamo fatto niente, bisogna invece
trovare il modo di parlare al ragazzo che vive di fronte alla casa del boss,
rivolgersi a lui direttamente e in modo appropriato. Il libro vuol essere un
osservatorio del territorio e ciò che ne emerge è che il problema è politico.
A tal proposito è
indicativo il fatto che, come scrivi tu, «il Festival funziona ovunque tranne
che a Casal di Principe »…
Basta considerare che il sindaco di Casal di Principe ci
ha sempre boicottati nell’organizzazione del festival. Ed è ancora più strano
che nessuno – nessun giornalista, nessuna autorità cittadina – ci abbia mai
chiesto “e come mai non si fa il festival a Casal di Principe?”. E tutto questo ci può solo far immaginare
quanto potesse essere difficile la vita di Don Peppe Diana… Pensa inoltre che
perfino l’apertura della pizzeria sociale a Scampia, a cui saranno devoluti i
diritti d’autore del mio libro, sembra essere boicottata…
Quando si parla di
letteratura e di impegno sociale non si può non pensare a Roberto Saviano. È
stato scritto tanto sul fenomeno dell’ “intellettuale pop-star”, che va in
televisione e che raggiunge la fama. Mentre, invece, per sua natura,
l’intellettuale si definisce proprio in contrapposizione all’opinione pubblica
dominante. Tu cosa ne pensi?
Innanzitutto io non sono un intellettuale, ma un giornalista-scrittore.
Io non ho mai conosciuto Saviano, che secondo me è una persona preparata ma che
poi, probabilmente, non ha saputo gestire la sua fama. Il problema secondo me è
di tipo giornalistico. Dopo il passaggio di Gomorra
molti hanno pensato di riservarsi uno spazio e chi crede di fare dell’antimafia
in realtà ha contribuito alla formazione di una casta, dove tutti se la cantano
e se la suonano da soli! E questo brusio a volte è più un pericolo che un
vantaggio. In realtà basta stare attenti: non c’è bisogno di pseudointelletuali
che ci dicano le cose. Ad esempio Daniela De Crescenzo, giornalista del Mattino, nel suo Confessioni di un killer riporta il racconto di un pentito secondo
il quale Matteo Garrone, per girare Gomorra
alle Vele di Scampia, avrebbe pagato un pizzino. Ma già due anni fa ne avevano parlato in una loro canzone i "Co' Sang", un gruppo musicale proveniente proprio da quel rione. Ecco perché sostengo che bisogna fare più attenzione.
Ringraziamo Pietro Nardiello che, prima di salutarci,
tiene a sottolineare come l’intervista immaginaria a Don Peppe Diana, che
chiude il libro, sia stata ideata e scritta da una donna. «Perché così doveva essere»
dice Nardiello, riferendosi alle accuse infamanti, postume e smentite su don
Diana e su sue presunte relazioni con donne.
Dopo aver letto il lavoro di Nardiello, la curiosità di vivere di
persona il Festival dell’Impegno Civile è tanta e il libro per sua natura rappresenta
sicuramente un must per tutti coloro che intendono partecipare alle prossime
edizioni dell’evento. Tuttavia i validi e interessanti approfondimenti presenti
rendono godibile la storia di questa «utopia
concreta» anche per un vasto pubblico di lettori ed è per questo che ci
sentiamo di consigliarne la lettura non solo in quanto preparativa al Festival.
Ricordandosi, vale la pena menzionarlo ancora una volta, che i diritti d’autore
saranno devoluti all’associazione Resistenza
Anticamorra per la creazione di un ristorante pizzeria sociale a Scampia,
in cui lavoreranno ragazzi del territorio minorenni in attesa di giudizio.jj