Violetta la timida
di Giana Anguissola
Mursia, 1970
pp. 273
Giana Anguissola
(Travo, Piacenza 1906 – Milano 1966) comincia a scrivere a sedici anni,
collaborando al “Corriere dei Piccoli” sul quale pubblica romanzi e racconti. Il
suo romanzo più famoso è “Violetta la Timida” del 1963, che vince il premio
Bancarellino.
Violetta è
soprannominata dalle compagne di scuola “mammola mansueta”, cammina con gli
occhi bassi ed ha le orecchie perennemente in fiamme, perché affetta da “coniglite
acuta”, quella che oggi, probabilmente, uno psicologo definirebbe fobia sociale.
“La Signorelli, una ragazza che è tutto il contrario di me: energica, simpatica, importante, disinvolta, con un bel cognome… Cioè, mica che Signorelli sia un gran bel cognome: è il mio che è brutto: Mansueti, e allora tutti gli altri cognomi mi sembran belli. E poi mi chiamo anche Violetta che, messo insieme a Mansueti, non poteva dar per risultato altro che un coniglio. Infatti sono timidissima.” (pag.11)
Un giorno viene chiamata
dal preside della scuola: la giornalista Giana Anguissola in persona sta
cercando una ragazzina che sia brava in componimento e lei lo è, lei è studiosa,
creativa, intelligente, ambiziosa, ma goffa e imbranata come tutti i timidi..
“La prima cosa che, naturalmente feci, fu quella d’inciampare in un gran tappeto blu rischiando di cadere lunga e distesa davanti alla scrivania del preside. Per cui, non appena ritrovato l’equilibrio, rimasi lì ad occhi bassi, con le guance che mi cuocevano come due cotolette, senza aver neppure avuto il tempo di guardarmi intorno. (pag. 12)
L’Anguissola - che da
quel momento in poi Violetta chiamerà signora A. - le chiede di scrivere pezzi
per adolescenti sul “Corriere dei piccoli”, raccontando la propria semplice
vita di ragazza normale, fra la casa, la scuola, i genitori, il nonno Oreste, l’amico
grasso e goffo Terenzio, la compagna antipatica Calligaris, le prime
festicciole fra bambine. Accorgendosi subito di come la timidezza e l’ansia
inficino ogni prestazione di Violetta e le condizionino la vita, la signora A.
le consiglia, o meglio le impone, di fare proprio tutto ciò che la spaventa,
affrontando gli ostacoli, svincolandosi dalla sindrome da evitamento cronico.
“Per quest’altra volta e per sempre, il tuo compito, te l’ho già detto, è quello di affrontare ogni situazione che t’intimorisca o ti faccia soggezione, a meno che non si tratti di un leone, sarai guarita dalla timidezza.” (pag.30)
Sarà così che Violetta,
da inibita, si trasformerà quasi in prepotente, fondando il “club dei timidi”
(oggi sarebbe un gruppo Facebook) per aiutare chi ha il suo stesso problema.
Ecco che un esercito d’insospettabili – fra cui l’amico/aspirante fidanzato
Terenzio - s’iscrive al suo club e invade la città, un esercito disposto a
tutto pur di superare ansie e timori.
A parte l’improbabilità
che tale miracolosa guarigione avvenga, specialmente nel caso della fobia
sociale, se il libro ci catturava all’epoca per lo stile divertente, spigliato,
ironico, una rilettura odierna ci offre uno spaccato sul mondo educativo dei
primi anni sessanta, che si considerava moderno e progressista ma era, in
realtà, ancora rigido, influenzato dalla chiesa cattolica e dai programmi
ministeriali dell’allora imperante DC, una scuola dove si parlava quasi ogni
giorno di religione, dove si narravano storie di santi e martiri.
“La signorina Carbone, poi, vedendo che addirittura deturpavate dei visi già perfettamente dipinti dal buon Dio, ha avuto mille ragioni di sdegnarsi e mandarvi a lavare!” (pag.241)
Nella breve
introduzione alla vita e all’opera dell’autrice nell’edizione Mursia del 1970, leggiamo,
infatti, che l’Anguissola:
“contribuì a combattere i fumetti e a rieducare i ragazzi a letture sane e artisticamente valide.”
L’intento edificante è
evidente e disseminato ovunque, specialmente alla fine di ogni capitolo, che si
pone come lezioncina di vita:
“Errore sarebbe da parte dell’adolescente seguire ancora gli istinti dell’infanzia che si spengono e peggiore errore sarebbe seguire di già gli istinti della giovinezza che sorgono. Perché se può ispirare una sorridente indulgenza l’adolescente che indugia a giocare, ispira una pietà mista a repulsione l’adolescente che si atteggia precocemente a donna o uomo, intendo nelle sue manifestazioni esteriori come vestire da tali o parlare o fumare da talaltri.” (pag. 240)
Era tuttavia, quello,
un mondo pulito, pieno di speranza, dove tutto sembrava avanzare verso un miglioramento
della società, dove l’aggettivo “moderno” era sinonimo di progresso e civiltà. Al boom economico corrispondevano
aspettative sempre più alte, scolarizzazione di massa, mezzi di trasporto per
tutti, vacanze, frigoriferi, automobili, supermercati, industrie che assumevano
giornalmente, emigrazione dalla campagna in città. (E sarà proprio la differenza fra città
e campagna l’argomento del seguito, “Le straordinarie vacanze di Violetta.)
A quel mondo lontano e scomparso
ci piace volgerci ogni tanto e ricordarlo come l’unica stagione di totale speranza
vissuta dalla nostra nazione.
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