1Q84
Murakami Haruki
traduzione di Giorgio Amitrano
Einaudi, 2011(I ed. 2009)
pp. 722
€ 20,00 (e-book € 9,99)
Di questo romanzo di Murakami Haruki [1] si è parlato molto e non mi lascerò attrarre dall’ipnosi delle frasi fatte dicendo «forse troppo», non solo perché anch’io sto depositando il mio mattoncino di parole intorno ad esso, bensì perché sono convinto che le discussioni su questo libro non possano che far bene alla letteratura e alla cultura. 1Q84 è stato e continua ad essere un successo planetario: ha conquistato milioni di lettori comuni e ha suscitato reazioni e discussioni anche tra gli intellettuali e i lettori professionisti. Alcuni quotidiani e alcune riviste hanno proposto pagine di “sì”, di “ni” e di “no”. E non sono mancate scene di fanatismo in occasione dell’uscita in Giappone del terzo e ultimo libro (da poco disponibile in inglese e non ancora disponibile in italiano). Dico subito che, secondo me, questo romanzo non sarà un best-seller effimero ed ha una natura e una qualità del tutto diverse da quelle cui siamo abituati (insomma nulla a che vedere con le molteplici sfumature di molteplici colori: in 1Q84 non si troveranno frasi del tipo “ogni volta che lo avvicinavo il mio corpo era percorso da fitte di desiderio”). Per altro, devo aggiungere che, non avendo potuto leggere il terzo e ultimo libro, il mio mattoncino va un po’ considerato sotto cauzione, sebbene quanto andrò dicendo non credo dipenda dall’epilogo dell’intreccio narrativo, ma dai dati oggettivi della scrittura di Murakami, sui quali lo scioglimento dell’intreccio dovrebbe avere un’incidenza relativa.
Tra i commenti incontrati prima di dedicarmi direttamente al romanzo due mi sono tornati in mente più volte mentre lo leggevo: Vittorio Coletti (schierato, se non ho mal compreso, tra i “ni”) sull’Indice dei libri del mese ha iscritto il romanzo di Murakami in quell’ampia categoria letteraria (narrativa, in particolare) del “romanzo globale”, una forma romanzesca che avrebbe perso le caratteristiche nazionali per ambientarsi e conformarsi a un mondo omologato e i cui intrecci possono svolgersi indifferentemente a Tokio, a Parigi, a New York o a Londra. Mentre Franco Cordelli su La Lettura - Corriere della Sera (decisamente tra i “no”) ha rimproverato a Murakami una troppo scoperta e strumentale malizia nella costruzione a tavolino del grande successo internazionale. Va da sé che due sguardi così acuti e competenti hanno le loro buone ragioni e s’appoggiano su dati testuali che non possono essere sottovalutati, ma che, a mio parere, vanno integrati e valutati anche in connessione ad altri dati altrettanto, se non più, importanti.
1Q84. Libro 1 e 2. Aprile - Settembre si compone di due libri di 24 capitoli ciascuno: i capitoli dispari hanno per protagonista la giovane Aomame, quelli pari seguono il coetaneo Tengo. Le vicende dell’una e dell’atro, inizialmente separate e indipendenti, vanno progressivamente sovrapponendosi, anche se, almeno in questi primi 2 libri, i personaggi non si incontrano mai e solo al capitolo 21 del secondo libro entrambi sono presenti sulla stessa scena narrativa, senza però riuscire ad incontrarsi. Aomame è una sportiva e apprezzata fisioterapista che ha una vita segreta: omicida seriale di uomini che non meritano di vivere per essersi macchiati di gravi violenze nei confronti delle donne; Tengo è un aspirante scrittore che viene coinvolto in una specie di frode letteraria: riscrivere il romanzo di una giovanissima scrittrice che alle qualità non comuni della fantasia e dell’intreccio non ha saputo aggiungere una forma stilistica appropriata. Aomame e Tengo, benché ancora trentenni, hanno alle spalle un passato travagliato e tortuoso, piuttosto romanzesco, fatto di scelte difficili e di solitudine ed entrambi custodiscono, una all’insaputa dell’altro, un tenerissimo ricordo del loro incontro a 10 anni, quando in circostanze del tutto particolari, Aomame ha stretto con forza la mano del suo compagno di scuola, Tengo, appunto, guardandolo fisso negli occhi e senza dire una parola. Su queste basi, Murakami costruisce un intreccio narrativo molto complesso dentro il quale finiscono un discreto numero di altri personaggi e situazioni che, in questa sede, non è il caso di seguire nel dettaglio. Si tratta comunque di un intreccio molto avvincente che la chiarezza, la luminosità e l’estrema precisione dello stile rendono particolarmente gradevole e comprensibile. Murakami poggia delicatamente una mano sulla nuca del lettore e lo invita a non distogliere l’attenzione, a credere in quello che legge, a non lamentarsi della mancanza di sentimentalismi piagnucolosi o di sesso spiattellato, e ad accettare come plausibili e necessari quegli elementi fantastici e irrealistici lentamente e progressivamente agglutinati all’intreccio e che diverranno il fulcro stesso della narrazione.
Ho appena fatto cenno alla chiarezza dello stile, alla precisione quasi geometrica della scrittura di Murakami, in effetti ciò che colpisce subito è la capacità dello scrittore di fornire ampi e realistici dettagli descrittivi alle scene che mette sotto gli occhi e l’intelligenza del lettore, e a questa capacità non sfuggono, anzi in qualche modo ne risulta potenziata, gli elementi fantastici e irrealistici. Più volte Murakami aggiunge un particolare o una notazione in apparenza superflua rispetto alla funzione della scena nell’intreccio: come se lo scrittore sentisse il bisogno di certificare a se stesso e al lettore la realtà di quanto sta raccontando. E spesso in questi particolari, in queste notazioni lo scrittore raggiunge livelli di virtuosismo stupefacenti. E nella vera letteratura il virtuosismo, la prodezza stilistica non è mai fine a se stessa, ma è il risultato di un’esigenza profonda dello scrittore e del testo ed esprime spesso i significati più profondi dell’uno e dell’altro. Faccio due esempi, il primo, diciamo così, normale, il secondo un vero gioiello. «Komatsu tirò fuori dalla giacca un pacchetto di Marlboro, si mise una sigaretta tra le labbra e l’accese con i fiammiferi del locale»: perché quell’aggiunta “coi fiammiferi del locale?, viene da chiedersi. Durante una cruciale conversazione, Aomame ha bevuto un bicchiere di the freddo e prima di andar via lo lascia sul tavolo: «Sul tavolo, il bicchiere di vetro molato cominciava a trasudare». Insomma lo scrittore e il lettore sono lì, dentro quella stanza, altrimenti perché notare un dettaglio del genere? Progressivamente, queste notazioni si intensificano e sorprendono sempre più: all’inizio sembra che la loro funzione sia quella di immergere la narrazione in un’aurea misteriosa, come se quei dettagli volessero rimandare a qualcosa che verrà svelato in seguito; poi si potrebbe pensare che abbiano una funzione simbolica, che vogliano alludere a significati ulteriori. Pian piano, finalmente, si arriva a pensare, in connessione con lo svolgersi dell’intreccio e con gli elementi fantastici e irrealistici che lo caratterizzano, che quei dettagli abbiano un valore assoluto, siano cioè il canale di comunicazione tra la realtà e la finzione letteraria, sono in un certo qual modo la porta di comunicazione tra il mondo dell’autore e del lettore e quello creato dalla finzione romanzesca. Nel romanzo, il mondo fantastico e irrealistico, il tempo parallelo, il 1Q84, appunto, comunica con il mondo reale e il 1984 (il tempo storico dell’intreccio) attraverso porte di comunicazione (la bocca di una capra morta, personaggi percepienti e riceventi, ecc.), così come quei dettagli, magistralmente cesellati, gratuiti e inutili allo sviluppo dell’intreccio narrativo, immergono autore, lettore e testo in un mondo condiviso e riconoscibile: un mondo altro, il mondo della letteratura.
Questa analogia introduce ad un'altra caratteristica peculiare della prosa di Murakami: la frequente corrispondenza tra micro- e macrostruttura (in altre parole, le frequenti mise en abîme). Ancora un esempio: parlando del romanzo, ingenuo e grezzo, della giovane scrittrice, il consulente editoriale, ideatore della fraudolenta riscrittura, e l’incaricato di essa, Tengo, dicono
«voglio dire che la storia è raccontata in modo estremamente realistico e minuzioso, e questo diventa un elemento di grande forza per il romanzo. – E così lei, riscrivendolo, vorrebbe dare attraverso il suo stile una forma più chiara a quel qualcosa a cui la storia allude. Giusto?»
A ben vedere tutto il romanzo “reale” (quello che stiamo leggendo) è percorso dal tentativo di dare chiarezza a ciò cui vuole alludere. Più volte Murakami dà l’impressione di voler riprodurre in piccolo, in una frase, in un episodio, ciò che ha intenzione di fare in grande, più volte lascia sul tavolo le chiavi di lettura delle sue intenzioni.
Eppure, capita talvolta che, liberandosi dalla leggera pressione esercitata dalla mano dello scrittore sulla sua nuca, il lettore possa percepire qualche incongruenza che, in un romanzo così perfettamente costruito e passato sotto l’occhio vigile dell’autore e di chissà quanti altri lettori professionisti, sorprende e lascia perplessi. Tengo, in treno, di domenica, vede salire sul suo vagone un gruppetto di studenti «reduci forse da una prova d’esame». Di domenica? Aomame ha appena fatto la scoperta di uno degli elementi fantastici e irrealistici della “sua” realtà, ovvero la presenza in cielo di due lune, vorrebbe comunicare con qualcuno, le viene in mente la sua amica Ayumi, ma ci rinuncia perché non può darle troppa confidenza (lei è un’omicida seriale, la sua amica una poliziotta), ma, volto lo sguardo lontano dalla pagina, il lettore si chiede: “cosa le impedisce di chiamare l’anziana signora che le commissiona gli omicidi?”. Ancora: Tengo riceve una grossa somma di denaro per il suo lavoro di “revisore” del romanzo della giovane scrittrice e parlandone lo stesso giorno ad un altro personaggio dice: «Giorni fa (corsivo mio) ho trovato una grossa somma di denaro accreditata». Leggère sfasature, dettagli, pignolerie, se vogliamo. Eppure io non credo che siano disattenzioni dell’autore e dei lettori professionisti; credo che siano volute e che rappresentino, per analogia, il contraltare nel mondo della letteratura delle sfasature e delle incongruenze del mondo reale (una femmina di cane lupo ingorda di spinaci, un tassista che fa discorsi sibillini, l’assenza di buone maniere in molti interlocutori di Tengo, ecc.).
L’ingranaggio narrativo di 1Q84 è saldamente piantato su un binario temporale che procede in un’unica direzione: su questo binario l’autore applica gli elementi del passato che servono a comprendere le azioni e le situazioni dei personaggi, nonché le frequenti digressioni, spesso di pregevolissima fattura e natura letteraria. Non ci sono flash-back, anticipazioni o inserzioni estranee alla rigorosa progressione cronologica. Quasi tutti i capitoli sono costruiti in modo da far avanzare lo sviluppo narrativo e fornire informazioni sul passato dei personaggi. Il tempo narrato è sempre perfettamente a fuoco e il lettore non può dubitare se ciò che sta leggendo si riferisca al passato, al presente, se sia un sogno o un pensiero. Il romanzo occidentale contemporaneo ci ha abituato alle frammentazioni cronologiche, all’inserzioni ex abrupto di visioni oniriche, alle frantumazioni della realtà spazio-temporale. Il monologo interiore, il flusso di coscienza, la soggettivizzazione parossistica della percezione ne sono, in qualche modo, l’aspetto espressivo più caratterizzante. Murakami salta a piè pari tutto questo: racconta una storia complessa e impegnativa sgranandola in pezzi compiuti e perfettamente squadrati. I suoi personaggi non sono mai trafelati, non corrono, non bestemmiano, non accusano il mondo di non essere come dovrebbe essere, non gridano, non hanno reazioni scomposte o istintuali, non riempiono le pagine dei loro desideri e delle loro interiezioni. Alla fine risultano fors’anche un po’ algidi, un po’ piatti, ma sono perfettamente funzionali e coerenti con il progetto narrativo che li accoglie, che dà loro spessore e profondità. Alla stessa maniera lo spazio disegnato dallo scrittore è sempre perfettamente riconoscibile e determinato. La narrazione procede alternando dialoghi, soliloqui (rigorosamente contrassegnati dalle virgolette), descrizioni e azioni. La ripetitività dello scenario e dei dettagli entro cui si svolgono i dialoghi, i soliloqui, le descrizioni e le azioni è un tratto saliente di tutto il testo. I dialoghi si svolgono sempre tra due sole persone (l’eventuale terza è silente) sedute una di fronte all’altra, le conversazioni telefoniche sono precedute spesso dal minuzioso conteggio degli squilli di telefono che le hanno precedute, i soliloqui avvengono spesso durante la preparazione del pasto. Spessissimo i personaggi rappresentati bevono qualcosa, e la varietà delle bevande, dall’acqua fresca a superalcolico, fa pensare che l’attenzione vada non tanto a cosa si beve quanto al gesto stesso di bere. Insomma sembra quasi che la lenta e calibrata sgranatura dell’intreccio narrativo abbia bisogno di una scenografia fissa e di gesti predeterminati e ripetuti. Un rito, una sorta di cerimonia del the, che accoglie i passaggi narrativi, lo scatto dell’ingranaggio che fa avanzare la narrazione.
La realtà, il mondo accoglie l’opera letteraria, che ne è al contempo parte e separata. Una e l’altra entrano in comunicazione attraverso le sfasature, le “porte comunicanti”, interagiscono, si condizionano, si certificano e si riconoscono come diverse ma intimamente interdipendenti. La vita dello spirito, dell’astrazione, della speculazione filosofica si svolge dentro la realtà materiale, quotidiana, comune e, senza farne il fine ultimo, non disdegnano una sana capacità di intrattenere.
Paolo Mantioni
[1] Anteponiamo il cognome al nome dell'autore, seguendo l'uso della lingua giapponese applicato anche dall'editore.↩