di Giuseppe Ayala
Mondadori
pagg. 168,
€ 12,00
Vorremmo smettere di leggere articoli sulla mafia, sulla corruzione della politica e della magistratura. Vorremmo smettere di avere paura di subire le estorsioni della criminalità organizzata, di temere di testimoniare e denunciare. Purtroppo il fenomeno delle mafie è così radicato nella nostra cultura (o non-cultura) che anziché elencare i progressi fatti per sconfiggerla e usare il passato per raccontare gli eventi tragici, siamo costretti a subirne ancora la violenza ogni giorno. Quando, come in questi giorni, la cronaca riporta le notizie di magistrati corrotti, quando ascoltiamo i dettagli delle loro conversazioni telefoniche con i boss della ‘ndrangheta calabrese, allora pensiamo con speranza e un po’ di conforto a figure integerrime che hanno dato il loro fattivo contributo per sconfiggere il male più insidioso che affligge il nostro paese. Figure come quelle di Giuseppe Ayala che nel suo “Troppe coincidenze” scrive, come recita il sottotitolo di “mafia, politica, apparati deviati, giustizia: relazioni pericolose e occasioni perdute”.
“Troppe coincidenze” esce nel ventesimo anniversario delle stragi mafiose di Capaci e via d’Amelio, nelle quali morirono i giudici Falcone e Borsellino, suoi colleghi nel pool antimafia nella procura di Palermo, e ne analizza origini e conseguenze. L’ex pm ricorda come quelle stragi hanno segnato un punto di svolta non solo nella storia della mafia, ma nella storia dell’Italia. Analizza il rapporto tra mafia e politica, la cui connessione risulta molto più forte di quanto anche nei peggiori incubi dovrebbe.
Giuseppe Ayala nel libro pone interrogativi, tenta delle risposte ed alla fine arriva alla conclusione che esistono troppe coincidenze, troppe per poterle considerare tali. Perché la mafia decide di rinunciare all’attacco allo Stato? Quale ruolo hanno avuto le Istituzioni nel lungo periodo di ‘pax mafiosa’ che dura da vent’anni?
Attraverso il racconto della sua esperienza politica, quattro legislature che lo hanno visto deputato, senatore e sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2000, ricostruisce la storia della politica e di uno Stato che si lascia governare da forze esterne, che chiedono uno scambio di favori, che non hanno come fine quello di beneficiare la collettività, ma il cui risultato è solo quello di lacerare una società e lasciare che la criminalità prenda il sopravvento.
“Ai contemporanei che, come me, vivono a disagio nella contemporaneità. Ma non si arrendono.” Con questa dedica Giuseppe Ayala apre il suo libro, lasciando al lettore il conforto della speranza.