Il palazzo di Cnosso
di Mauro Ponzi
Robin edizioni, Roma 2012
€ 10
pp. 173
Questo è un libro sul mito: indaga minuziosamente sulle origini più profonde della cultura classica, scova – o, per lo meno, tenta di intercettare – la retorica che soggiace all’attuale concetto di autorità, smuove e riscopre un passato lontano ma mai pago, non statico, in continuo movimento.
Questo è un libro sul viaggio: l’eterno fluire degli eventi e delle speculazioni filosofiche di ogni tempo si accompagna ad una narrazione lenta ma tutt’affatto intrisa di pigrizia, volta alla costruzione di una moderna allegoria dell’essere, esperenziale e culturale insieme.
Questo è un libro, pima di tutto, sulla parola. Ed è una parola che ferisce e sconcerta, per la lucida visione prospettica con la quale esprime le tribolazioni, etiche e estetiche, della società contemporanea; è una parola contaminata dalla presa di coscienza sulla situazione sociale e politica presente, nonché dal dubbio sulle sorti umane e culturali dell’immediato futuro.
Sostanzialmente, dunque, siamo di fronte a un discorso che si materializza proprio nella vaporizzazione di se stesso, e che si sviscera – chissà da quanto tempo, e per quanto altro tempo ancora – in un precario ma stolido equilibrio tra il frammento poetico e l’indicibile moto ragionativo.
Tre sezioni compongono l’opera, o dovrei meglio dire il percorso critico e artistico di Mauro Ponzi: Albe laconiche, Il palazzo di Cnosso e Pietre Laviche.
Dagli albori della conoscenza, alla durezza dell’esistere, l’autore si prova in una sorta di riscrittura benjaminiana della realtà, non lesinando al lettore i suoi più intimi propositi:
Se arranco sui gradinidel linguaggio è per lasciare un segnosulle mura di cartaper gli eredi di Omero.
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